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Il golpe di Bruxelles

Notiamo con interesse che che la parola “golpe” ricorre sempre più di frequente nei commenti ad atti che le “istituzioni internazionali” vanno prendendo per esautorare i poteri statuali di singoli paesi. La crisi è sempre un’occasione, ricordiamo. Che rompe il vecchio gioco e permette – permette, non garantisce – l’instaurazione di nuove regole e obiettivi strategici.

La costruzione dell'”imperialismo europeo” avviene in questo contesto. E non ha – non può avere – nessuna caratteristica “democratica”. Il suo modo di superare la “sovranità nazionale”, un residuo delle fasi precedenti, non assume la ricerca del consenso delle popolazioni del Vecchio Continente, ma per “forzature” dall’alto. Da parte di poteri senza alcuna legittimazione democratica, puri esecutori di volontà che si formano in luoghi extraistituzionali.

Interessante anche la rassegna della stampa  estera fatta da Francesco Paternò, sempre per “il manifesto”. La questione della “sovranità violata” viene elegantemente – e in modo apertamene complice – glissata su tutti i media pricipali. Soprattutto su quelli alle dirette dipendenze delle multinazionali più potenti o dei gruppi di potere ai vertici della piramide.

A sinistra sarebbe ora almeno di mettere a tema questo passaggio storico che cambia la natura delle nostre società e la funzione delle istituzioni “puramente nazionali”. Banalmente: ha ancora un senso cercare di vincere alle elezioni per “governare” il paese secondo un programma e un’agenda che non puoi neppure discutere?

Il golpe di Bruxelles

Galapagos

«La Grecia è salva» hanno commentato i politici europei al termine di una trattativa durata 12 ore. Monti è voluto andare oltre affermando «l’Europa ha dimostrato di esistere». Un bel quadretto, ma i dubbi non mancano. È sufficiente ricordare ciò che ha scritto il New York Times: «La Grecia potrebbe aver evitato il default con l’accordo dell’ultima ora ma dubbi sulla sua capacità di ripagare il debito restano, alimentando i timori sulla necessità o meno di nuovi fondi di salvataggio». Insomma, «per ora» la Grecia è salva, ma per il futuro non c’è certezza.
Ma che significa salva? Nulla: è una finzione sia in termini politici che economici. Atene ieri notte, infatti, ha perso definitivamente la sua sovranità: il «commissariamento» della Grecia da parte di Bce, Ue e Fondo monetario (che apriranno un ufficio permanente nella capitare per controllare l’operato del governo») forse è meno incruento di quanto accadde nella notte del 21 aprile 1967 con il golpe di Papadopoulos e dei colonnelli che pose fine per molti anni alla democrazia e, per inciso, anche alla monarchia con un referendum truffa. Tuttavia, l’attuale situazione è nei fatti simile a quella del 1967: i partiti ellenici hanno abdicato le loro funzioni e la Grecia è diventato uno stato a sovranità ridotta, sotto il controllo del sistema finanziario internazionale e senza alcuna prerogativa sulla moneta. Le elezioni di aprile non cambieranno lo scenario, ma il vuoto di democrazia allungherà i tempi dell’agonia sociale e economica perché il paese è allo sbando.
Ormai la Grecia è un paese senza coesione sociale, con un tasso di disoccupazione superiore al 20%. Un paese di circa 11 milioni di abitanti (con oltre un milione di senza lavoro) dei quali un paio di milioni sono già poveri o stanno per diventarlo. Apparentemente la Ue è stata generosa e «generose» sono state anche le banche a rinunciare a parte dei crediti. Ma hanno preteso che d’ora in poi la Grecia metta in un conto vincolato i capitali necessari a pagare gli interessi sul debito e hanno ottenuto dalla Bce l’impegno a essere generosamente (questa volta senza virgolette) finanziate a spese, ovviamente, della collettività. Il tutto con una gigantesca partita di giro che serve – al pari delle evasioni carosello, tanto di moda in questi tempi – a mascherare il gigantesco imbroglio fatto pagare ai cittadini d’Europa. Il tutto sarebbe sopportabile se i cittadini greci ne ricavassero vantaggi. Ma così non è.
L’economia greca fino al 2014 sarà in recessione e nei prossimi anni il patrimonio di un popolo finirà a multinazionali che faranno man bassa nei processi di privatizzazione. La disoccupazione è destinata a crescere di pari passo con la povertà e il paese rischia di perdere le energie migliori alle quali non è in grado di garantire un futuro: solo negli ultimi mesi oltre 2.500 greci – quasi tutti laureati – sono emigrati in Australia in cerca di un futuro negato in patria.
Quello di cui la Grecia ha bisogno non è un piano finanziario di cosiddetto salvataggio, ma un piano di investimenti produttivi e sociali sul quale nessuno, però, mette un centesimo in attesa che lo sfascio totale permetta di impadronirsi a poco prezzo dell’intero paese.
da “il manifesto”
Silenzio sovrano
Francesco Paternò

L’accordo sulla Grecia lascia scettici i commentatori economici, e fin qui si può concordare. Restiamo però basiti quando cerchiamo – e non troviamo, se non con le eccezioni di Le Monde e di El Pais – notizie sulla limitazione della sovranità nazionale della Grecia. Meno che mai sui siti on line dei quotidiani italiani, e chissà che oggi sulle edizioni di carta qualcuno alzi il dito. Una rimozione clamorosa, che la dice lunga sullo stato della democrazia.
Partiamo dalle eccezioni che confermano la regola. Lo spagnolo El Pais titola sulla versione on line (l’intesa è stata raggiunta troppo tardi per tutte le edizioni di carta dei giornali europei): «Atene sacrifica la sovranità fiscale in cambio del secondo salvatggio». Le Monde è arrivato in edicola ieri all’ora di colazione, con un titolo-chiave di lettura dell’ultima tragedia greca: «Atene in regime di sovranità limitata». Clicchiamo sulle prime on line di Sole 24 ore, Corriere della Sera e Repubblica e troviamo… l’esultanza di Mario Monti. Spiace di più per il giornale della Confindustria, che pure ieri era uscito con un buon editoriale di Adriana Cerretelli su questa «Europa di freddi contabili e meticolosi notai», dal titolo chiaro: «Salvezza, non solidarietà».
I quotidiani tedeschi on line hanno tenuto per tutto il giorno la notizia della Grecia in apertura, insistendo però sull’incertezza del risultato, dalla Frankfurter Allgemeine alla Süddeutsche Zeitung. Nemmeno il New York Times si è posto problemi di democrazia, titolando «Il nuovo salvataggio è una tregua per la Grecia, ma i dubbi restano», mentre l’Economist è ironicamente gelido: «Fine della maratona?». Eppure, solo tre giorni fa, Wolfgang Munchau aveva seppellito sul Financial Times la Germania («Ha una strategia del suicidio assistito, una cosa molto pericolosa e irresponsabile») e l’Europa alla greca: «L’eurozona vuole imporre la sua scelta di governo alla Grecia – la prima colonia dell’eurozona». Oggi ci è riuscita, mentre le scimmie del non vedo e del non parlo fanno il loro mestiere.

 

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