Bisogna tener conto che la nozione di privacy è molto sfuggente, al punto che può essere invocata dall’ultimo degli evasori fiscali come dal primo dei garantisti a favore dell’opposizione politica. Ciò nonostante, riteniamo interessante segnalare la relazione tenuta stamattina, perché illumina su una filosofia di fondo del governo “tecnico” e che potremmo definire “fascismo sabaudo”. Perché anche se non ha le stigmate straccione del fascismo storico o dei suoi emuli più recenti (a partire da Berlusconi), conserva invece quelle “aristocratiche” e violente della monarchia sabauda. La quale poteva passare tranquillamente dalla “tassa sul grano” alle cannonate in piazza distribuite da generale Bava Beccaris.
A noi che guardiamo all’insieme e non ai singoli episodi, sembra proprio che ci sia un legame “culturale”, di “filosofia politica”, tra le cariche davanti al Cipe (comprese le motivazioni della convalida degli arresti di Paolo Di Vetta) e la riforma delle pensioni; tra l’attacco al lavoro e l’invasione della Val di Susa; tra l’ascolto dato alle “regole europee” e la sordità manifesta per le istanze sociali. In qualche misura, dunque, anche tra i “controlli-show” della Guardia di finanza verso categorie notoriamente inclini alla furbizia fiscale e l’invasività poliziesca che si registra in queste settimane.
“Finora, noi potevamo assicurare alle imprese e alle persone giuridiche un alto livello di protezione. Oggi tutto questo non è più possibile”. Francesco Pizzetti, presidente dell’authority, ha definito “un errore” la scelta di ridurre l’applicabilità del codice per la riservatezza contenuta nel ‘decreto Sviluppo’ e nel ‘Salva Italia’.
Seguiamo, per comodità espositiva, il report offerto da Repubblica on line.
Le nuove norme sulla trasparenza amministrativa nei controlli fiscali rappresentano “strappi forti allo Stato di diritto”, ha continuato Pizzetti, aggiungendo che “è una fase di emergenza dalla quale uscire al più presto” altrimenti “lo spread fra democrazia italiana e occidentali crescerebbe”. “E’ proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli – ha proseguito -. E’ proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori”.
Qui c’è indubbiamente il nucleo “culturale” più importante dell’operare montiano, perché vede nella popolazione un “nemico” da ricondurre all’obbedienza. Sia detto senza alcuna solidarietà per gli evasori, naturalmente.
“Sentiamo il bisogno di lanciare questo monito – ha aggiunto Pizzetti – anche perché vediamo che è in atto, a ogni livello dell’amministrazione, e specialmente in ambito locale, una spinta al controllo e all’acquisizione di informazioni sui comportamenti dei cittadini che cresce di giorno in giorno. Un fenomeno che, unito all’ amministrazione digitale, a una concezione potenzialmente illimitata dell’open data e all’invocazione della trasparenza declinata come diritto di ogni cittadino di conoscere tutto, può condurre a fenomeni di controllo sociale di dimensioni spaventose”.
Qui c’è anche un dettaglio tecnologico da sottolineare. Se è vero infatti che la connettività universale consente a chiunque di emettere informazione di ogni genere, è vero anche l’opposto: la connettività è a due direzioni (emetti/ricevi), non una soltanto. Così come è facile comunicare, dunque, così è facile venir controllati. La differenza sta tutta nella potenza tecnologica di cui si dispone. E quella di uno stato, o di una multinazionale, è sempre infinitamente superiore a quelli di cittadini, singoli o organizzati in piccoli gruppi.
Il problema resta la diffidenza perché, secondo il garante: “Mentre sono aumentate le richieste di cooperazione da parte degli operatori pubblici, tra gli operatori privati è rimasta alta la diffidenza nei nostri confronti”, ha dichiarato. “I recenti provvedimenti, che hanno ridotto il nostro ruolo rispetto alle attività delle imprese e quelli adottati per favorire le telefonate promozionali non richieste ne sono testimonianza”, ha aggiunto.
“Dispiace che il mondo delle imprese e delle attività produttive – ha proseguito Pizzetti – non presti l’attenzione che noi vorremmo al fatto che il rispetto della riservatezza dei cittadini e l’adozione di misure di protezione adeguate si trasforma in un valore prezioso per le imprese, perché riduce il rischio di danni legati alla perdita o al furto di dati, e favorisce un rapporto più corretto e più positivo anche tra attività economiche e utenti”.
Anche le imprese, in effetti, presentano un doppio volto: si lamentano – sempre – di esser controllate, ma pretendono totale autonomia nel trattamento dei dati sensibili dei loro clienti (fino a farne un business collaterale, vendendoli a terzi). Il vecchio refrain, insomma: forti coi deboli e deboli coi forti.
“Sappiamo che le scelte fatte di sottrarre le imprese alla protezione dei dati è in linea con quanto prevalentemente accade in Europa e nel mondo – ha aggiunto il garante -. Pensiamo però che esse, se non accompagnate da un forte sforzo di autoconsapevolezza e di attenzione alla adozione delle necessarie misure di protezione, possono tradursi, specialmente nell’era del cloud e dell’agenda digitale, in rischi gravissimi per gli operatori economici”.
Il dito sfiora, ma indica chiaramente, come il pericolo non sia soltanto o specificamente italiano (il lato “sabaudo” l’aggrava, se vogliamo), ma globale. Perché la tecnologia è la stessa in tutto il pianeta, perlomeno al livello dei paesi avanzati, e la posizione di comando negli snodi fondamentali conferisce un potere tendenzialmente assoluto e incontrollabile.
Nel settore pubblico insomma “molte trascuratezze potrebbero essere evitate”, ha continuato il presidente dell’Autorità garante per la privacy riferendosi “alla grande quantità di dati personali che il sistema giudiziario, civile, penale, amministrativo, contabile, tratta ogni giorno” e “alla facilità con la quale spesso possono essere conosciuti anche da chi non ne ha nessun diritto”. “Non abbiamo risparmiato i nostri sforzi ma i risultati non sono stati soddisfacenti – ha detto -. Lo sanno i ministri della Giustizia che si sono succeduti in questi anni, lo sanno i vicepresidenti del Csm, lo sanno i Capi degli uffici giudiziari. Tutti condividono le nostre preoccupazioni. Spesso sono invocate, con ragione, ristrettezze finanziarie e difficoltà organizzative. Noi comprendiamo, ma consentiteci di dire che spesso molte trascuratezze potrebbero essere evitate”.
Per Pizzetti l’auspicio è che “si riesca a pervenire finalmente a soluzioni legislative equilibrate, e compatibili con tutti i diversi valori in gioco. Abbiamo anche ripetuto in ogni occasione che i dati acquisiti a fini di giustizia devono essere adeguatamente protetti – ha proseguito – e che il legislatore, così come può e deve definire per quali finalità di giustizia possono essere raccolti e utilizzati, allo stesso modo può regolare quando e in che modo essi possono essere comunicati alla stampa o da questa essere conoscibili. Va peraltro ribadito che difficilmente sarebbe compatibile col quadro costituzionale una legislazione che pretendesse di definire in via generale e astratta quando sussiste e quando no l’interesse pubblico a conoscere”.
Ecco il punto definitivo. Questo modo di procedere è naturalmente, filosoficamente, fuori e contro la Costituzione repubblicana. Non accetta la democrazia perché ne è nato fuori. Non accetta la mediazione sociale, se non in forma di pantomima o sceneggiata. Il “governo tecnico” ha più volte ripetuto di non avere alcun impegno preso con le classi sociali reali e con le loro rappresentanze ai vari livelli (sindacale e politico); di sentirsi svincolato dal rispetto del consenso sociale reale (misurato sempre con procedura elettorale) e di voler procedere come “un medico”, che ovviamente non contratta con il paziente come effettuare un’operazione. È un modo di assumere un potere semi-assoluto, anche se in via temporanea, non smentibile da alcuna altra istituzione. Potrebbe farlo il Parlamento, ancora; se non ci fosse l’arma di sistruzione di massa chiamata spread.
La gogna, in qualunque forma, materiale o mediatica che sia, “è sempre uno strumento pericoloso, anzi pericolosissimo”, ha spiegato Pizzetti. “Nessuno, in una società democratica – ha aggiunto -, potrà mai chiedere e ottenere di porre limiti al diritto dei giornalisti di sapere, conoscere e informare. Ma il loro stesso codice deontologico contiene regole chiare sulla necessità di rispettare i principi di essenzialità delle informazioni, di tutelare i minori, di rispettare la dignità delle persone, specialmente nell’ambito sanitario e sessuale”. “Accade spesso – ha proseguito – anche che i protagonisti dei fatti di cronaca e i loro familiari si espongano senza limiti a un’informazione mediatica che diventa dichiaratamente spettacolo puro. Purtroppo in questi casi, prima del diritto e dello stesso Codice deontologico dei giornalisti, è il buon gusto e talvolta persino il senso di umana pietà che dovrebbe guidare i media. Non sempre avviene così e non sempre soltanto per il comportamento dei professionisti dell’informazione”.
Nulla da aggiungere. Ci sono colleghi (e non solo “di cronaca”) che non si pongono nessuna domanda critica su come esercitare il mestiere dell’informazione e che a ogni dubbio “etico” o deontologico si rispondono con un semplice: “perché no?”. Complici.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa