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Un paese pieno di case vuote e di baraccati

 

Mentre dentro si spiegavano a giornalisti annoiati l’inevitavile sfilza di numero che ogni statistica si porta dentro, fuori una conquantina di precari che da anni lavorano presso l’Istituto stavano protestando. Gridano «vergogna » e «stabilizzazione», ovvero assunzione a tempo indeterminato. Sono il livello d’eccellenza di una condizione precaria che accomuna il lavoro manuale come quello intellettuale (che solo qualche imbecille chiama “cognitivo” soltanto per demarcare con un distanza siderale una differenza nei fatti inesistente tra lavoratori).

Il secondo fatto riguarda i migranti. Nel corso di dieci anni certi fenomeni che quotidianamente crescono diventano improvvisamente una grandeza non più ignorabile. La popolazione straniera abitualmente dimorante in Italia è quasi triplicata in questo periodo, passando da 1.334.889 a 3.769.518. Rappresentano ora il 6,34% sulla popolazione contro il 2,34% del 2001. «Il forte aumento di cittadini stranieri – commenta l’Istat – contribuisce in maniera determinante all’incremento della popolazione totale confermando la tendenziale staticità demografica della popolazione di cittadinanza italiana».

Infine, ed è forse l’elemento che evidenzia meglio il manifestarsi dei primi effetti sistemici della crisi, in questi dieci anni sono più che triplicate le famiglie residenti in Italia che dichiarano di abitare in baracche, roulotte, tende o abitazioni simili: 71.101 contro le 23.336 del 2001.

Non è invece un paradosso, ma il contraltare speculare di questa “precarietà abitativa”, il fatto che nello stesso periodo il numero delle case “censite” (come sappiamo ce ne sono almeno un paio di milioni “clandestine”) sia aumenato dell’11%.

Ci sono 14.176.371 edifici (dalle palazzine alle ville unifamilairi), l’11% in più rispetto al 2001; mentre le abitazioni abitazioni strettamente intese (appartamenti, ecc) sono 28.863.604, di cui 23.998.381 occupate da residenti (83%), mentre il resto sono “seconde” o terze case, o immobili sfitti. Queste ultime, rispetto al precedente censimento, sono aumentate un po’ meno: solo del 5,8%. In pratica, dunque, abbiamo un aumento delle abitazioni molto più alto di quello della popolazione (la variazione positiva è data soltanto dall’immigrazione), ma al tempo stesso triplicano coloro che vivono in alloggi di fortuna, homeless veri e propri, anche se non clochard. Lavoratori poveri, in genere, che non si possono permettere l’affitto e tantomeno il mutuo.

 

Passando ai dati macri “normali”, i residenti in Italia sono 59.464.644. Rispetto al 2001 un incremento di 2.468.900 residenti (+4,3%). Aumenta anche il numero delle famiglie, da 21.810.676 a 24.512.012; il numero medio di componenti passa da 2,6 a 2,4.

In Italia, in particolare, risiedono 28.750.942 maschi e 30.713.702 femmine. Con una differenza di 1.962.760 individui; ci sono in media 52 donne ogni 100 abitanti. Il 46% dei cittadini censiti vive al Nord, il 19% al centro e il 35% al sud e nelle isole. Il 70% degli 8.092 comuni ha una popolazione inferiore a 5 mila abitanti; in questi comuni dimora abitualmente il 17% della popolazione, mentre il 23% vive nei 45 comuni con più di 100 mila abitanti. Dal primo censimento del 1861 al più recente, la popolazione residente in Italia è quasi triplicata, passando da 22 milioni a circa 59,5 milioni.

Negli ultimi 10 anni, la popolazione è cresciuta soprattutto al centro-nord, dove oltre il 70% dei comuni ha registrato un incremento demografico; all’opposto il numero dei residenti è sceso in oltre il 60% dei comuni al sud e nelle isole.

L’Istat prevede che entro il 31 dicembre prossimo sarà pubblicata la popolazione legale di ciascun comune distinta per sesso, anno di nascita e cittadinanza italiana o straniera. Tutti gli altri dati tra marzo e maggio 2014.

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