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Il governo si spacca sulla discarica a Villa Adriana

Senza arte né parte

 

Prima la celere, poi le ruspe. Scatta il conto alla rovescia per trasformare le due cave nell’immondezzaio di Roma. Con 5000 tonnellate di rifiuti
Un’unghiata nella carne viva. I bordi di un marrone tenue, con strisce orizzontali che sfumano verso il verde del bosco: sono le cave di Corcolle e San Vittorino, scavate in questo pezzo della campagna romana, paradossalmente salvata dai grandi latifondi, e destinate a diventare discariche. Arrivi qui e ti accoglie il brusio sul fondo dell’autostrada che porta all’Aquila, interrotto dal cinguettare degli uccelli, dai rumori abituali di un qualsiasi bosco italiano. Ma non è un posto qualsiasi. Dietro la collina c’è la villa di Adriano, patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco, a ricordare il valore di queste terre che circondano Roma. E c’è un conto alla rovescia che annuncia la fine definitiva di questo luogo, aprendo la piccola strada a centinaia di camion carichi di 5000 tonnellate al giorno di monnezza. Perché Roma oggi non sa più dove mettere questa quantità scandalosa e senza uguali di rifiuti, stretta da una storia di monopolio targata Manlio Cerroni e l’emergenza alla campana. Annunciata, usata come un gladio contro chi sperava per una volta in una soluzione differente, moderna e accettabile. Corcolle è la futura Malagrotta, l’ottava collina romana cresciuta in zona ponte Galeria avvelenando la popolazione e la politica della città per decenni. Questo è il luogo scelto lo scorso anno dal prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, a cui il premier Monti ha appena riconfermato la fiducia scatenando un putiferio. «Inidoneo», aveva spiegato il ministro dell’ambiente Clini un paio di mesi fa, in un tentativo un po’ disperato di parlare di rifiuti con accenti diversi, sottraendoli a quel sottobosco che inevitabilmente appare quando si sente la puzza di emergenze e di monnezza. La pensa differentemente Pecoraro, nominato commissario straordinario con super poteri dal governo Berlusconi. Le due buche, quell’unghiata feroce nel territorio, dovranno essere allargate, coibentate, circondate da strade e impianti pronti a macinare le 5000 assurde, irragionevoli tonnellate di rifiuti. Non sappiamo chi dovrà gestire questo futuro prossimo venturo della monnezza romana. Ci sarà una gara europea, ha assicurato il prefetto. Per ora quel che si sa è che il terreno è di una società fiduciaria svizzera, la Brixia, le cui quote sono in mano da anni alla famiglia di Giuseppe Piccioni, il proprietario del castello del 1054, con vista sulla futura discarica. Sappiamo anche che sotto il terreno della cava che attende i sacchetti dell’immondizia romani c’è una falda acquifera. Sulla strada sterrata che contorna la futura discarica i tecnici di Pecoraro hanno realizzato un foro: basta far scivolare una pietra per sentire il rumore del tuffo nelle acque del sistema idrico dell’Aniene. Le stesse acque che la privatizzata Acea – il boccone ghiotto pronto a essere ulteriormente venduto al mercato – raccoglie da alcuni pozzi per alimentare i rubinetti romani. «Fanno una buona ricotta», ricorda l’avvocato Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta, in una intervista di qualche tempo fa. Era passato anche lui nel castello di Corcolle, per capire che aria tirava. Quando il nome del sito era apparso per la prima volta si scoprì che una società era già pronta, con un contratto d’affitto firmato: destinazione d’uso, discarica. C’era di mezzo una famiglia di Cecchina, frazione di Albano Laziale, nel giro dei rifiuti da anni. E c’era Giuseppe Piccioni, il castellano di Corcolle che oggi giura di non volere più la monnezza sotto casa. Dissero no all’avvocato di Malagrotta. Oggi la famiglia dei mediatori di rifiuti racconta di essere uscita dal business, dopo l’attenzione fortissima sui loro affari dei mesi scorsi. Cerroni, assicurano, quella ricotta di Corcolle non l’ha più assaggiata. Chi si muove, per ora, è la politica, pronta a spianare la strada prima alla celere e poi alle ruspe, con un copione già vissuto a Napoli. Corcolle è un’altra tappa della storia italiana dello sviluppo senza consenso, fatto di emergenze e leggi speciali. Renata Polverini, la governatrice del Lazio, è forse l’unica politica – oltre al tecnico Pecoraro – che non ha dubbi sulla scelta di questo pezzo di agro romano a un chilometro dal muro di cinta della villa di Adriano come futura discarica di Roma. Le minacciate dimissioni del ministro dei beni culturali Ornaghi? «Un problema del governo», ha commentato lapidaria. Le falde acquifere? «Il sito non turberà l’ambiente», spiega. L’unica vera minaccia la intravede nelle proteste, in quel movimento che ha messo insieme gli abitanti, un principe, Franca Valeri, gli ambientalisti e gli archeologi. Pronti a difendere quell’unico patrimonio che rende l’Italia ancora un paese dove vale la pena vivere. Corcolle, oggi, è un simbolo, un luogo dove tonnellate di rifiuti frutto di politiche ambientali dominate da interessi rischiano di seppellire radici, storia e comunità.
 
da “il manifesto”

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