La totale assenza di democrazia e trasparenza nel “Movimento 5 stelle” esplode al primo successo, com’era in qualche modo prevedibile. Si può mandare affanculo il potere quando non lo si ha e non lo si deve gestire. Ma quando bisogna far qualcosa, amministrare, sia pure una sola città, il gioco delle chiacchiere finisce e si passa all’azione. La distanza tra quel che dici di voler fare e quello che effettivamente fai si accorcia.
Soprattutto diventa visibile, misurabile agli occhi di tutti e con qualsiasi metro.
Emerge subito quindi che il meccanismo “reticolare” (o “molecolare”, come piacerebbe dire ai negriani) teoricamente messo in atto nel “movimento 5 stelle” è un gioco che di democratico ha solo l’apparenza. Ognuno può candidarsi, fare l’attivista, postare questo o quell’altro messaggio, convocare assemblee e fare progetti. Ma alla fine della fiera la decisione finale spetta al depositario del “marchio di fabbrica”: se c’è un movimento “grillino”, il “docg” lo dà soltanto lui. Perché “lui è lui e voi non siete un cazzo”.
Almeno finché non vinci almeno una poltrona da sindaco.
A quel punto c’è un altro che è “qualcosa”, che può dire una parola non solo “libera”, ma anche in qualche modo “autorevole”. La presunta libertà del modo di discutere diventato egemone anche e soprattutto a sinistra negli ultimi 30 anni (“ognuno dice la sua”), si rivela una modalità da prigionieri che bofonchiano tutti contro il secondino ma, se devono litigare sul serio, lo fanno soltanto tra di loro. Senza disturbare il potere.
Quando uno dei tanti attivisti senza nome e senza volto diventa qualcosa, può infine davvero dire qualcosa anche di diverso dal “duce” che possiede il “brand”.
E il povero Pizzarotti ha avuto l’ardire di proporre la nomina di un manager, nel frattempo consigliere comunale a Ferrara, che era stato cacciato dal movimento da Grillo in persona. Il quale si trova così a dover gestire la prima contraddizione vera, reale, concreta, con gli strumenti miseri di cui dispone un discorso solo mediatico (il blog è un media come un altro) che non prevede (come per Berlusconi) contraddittorio.
A questo punto chiunque può come l’ordine di Grillo ai suoi (“nessuno parli con le televisioni”) non sia affatto un modo per proteggere la “purezza” del suo movimento, ma di conservare la proprietà del giocattolo messo in piedi. E’ qualcosa che Casaleggio, il “puparo” di Grillo, non aveva ben calcolato.
E quando il più potente e ipnotico dei conduttori televisivi, Michele Santoro, si vede accomunato e confuso con la massa dei conduttori “consapevoli dell’editore di riferimento” (in Rai i partiti politici, in Mediaset il proprietario), ecco che salta il collante che teneva insieme una creatura tutta virtuale, che si è fin qui alimentata di media maturi come la tv e relativamente innovativi come i blog.
Anche la reazione di Grillo è prevedibile: sarà scomposta. Vedremo se sarà anche autolesionista.
A noi non resta che una parola semplice: la costruzione di un movimento d’opposizione sociale, vero, trasparente nei meccanismi e determinato nel suo procedere, non conosce scorciatoie miracoliste, investiture carismatiche fondate sull’apparenza e il “discorso”. E’ un procedere che costruisce dirigenti attrarverso la lotta, la verifica quotidiana delle capacità e della serietà di ognuno; che seleziona un “gruppo dirigente” atrraverso una discussione sulla risoluzione dei problemi, siano essi di ordine pratico, politico, teorico ed etico. E’ la dura fatica del concetto e del confronto tra uomini e donne che riconoscono un solo capo: la Ragione e le ragioni di una lotta per il miglioramento delle condizioni di vita di tutti quelli che campano male.
Di questo dobbiamo occuparci, non degli “uomini del destino”. Ovvero dei truffatori seriali.
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