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La decimazione degli statali «anziani»


Entrando a Fenestrelle, primo lager della storia moderna, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: «Ognuno vale non in quanto è, ma in quanto produce». Non siamo nella piana gelata di Auschwitz, ma tra le altrettanto gelide Alpi piemontesi. Lì, a 2.000 metri di altezza, al confine della val Chisone con la Francia, venne rinchiuso un numero imprecisato di soldati delle Due Sicilie; lasciati morire di fame e freddo mediante un’accorta dieta ipocalorica o meno scientifiche bastonate. I tratti salienti dello «stato sabaudo» hanno questo dna nel sangue, ricorda Edmondo De Amicis, per qualche mese ufficiale «italiano» tra quelle mura.
Di fronte alla questione «esodati» qualcuno aveva azzardato il paragone. Ora si rischia il bis – anche dimensionale – con gli statali. Lo strumento si chiama educatamente spending review, e nessuno può contestare che di sprechi – nella pubblica amministrazione – ce ne siano davvero tanti. All’atto pratico però, oltre a una probabile riduzione delle province, il piatto grosso sembra essere la riduzione del numero dei dipendenti pubblici. In una proporzione variabile tra il 5 e il 7%. Tra le 230.000 e le 300.000 persone; oltre 100.000 solo nella scuola.
Sono i «licenziamenti» previsti già dalla «riforma Brunetta», ma con una formula che se ne frega del «merito»: si manderanno infatti via tutti gli ultra-60enni, sfaticati o stakanovisti che siano. Il meccanismo brunettiano prevede di retribuirli per soli 2 anni, all’80%. E poi ciao. Attenzione però: non si parla della retribuzione netta percepita ora, ma del solo «stipendio base». Facciamo un esempio: in insegnante di ruolo di 60 anni che prende circa 1.800 euro al mese ha – ante tasse – una «base» di circa 2.000 euro, più una Iis conglobata Kat di altri 500, e una «retribuzione professionale» di 250. Tasse e contributi riducono di circa un terzo questo stipendio teorico. Ma l’80% del «base» significa 1.600 euro prima delle trattenute (alcune in proporzione, altre in cifra fissa). In pratica, anche meno di 1.200 al mese. Per altri comparti del pubblico impiego la sforbiciata può essere anche molto più consistente, arrivando in alcuni casi a superare il 50% dello stipendio (con una media già stimata di -38%).
Ma la «riforma Fornero» – anima sabauda docg – ha allungato l’età pensionabile fino a 67 anni. Non tutti gli ultra-60enni, alla fine del periodo di retribuzione ridotta, sarebbero in grado di andare in pensione. Per non restare senza più reddito sarebbero dunque costretti a scegliere tra anticipare l’età del ritiro (percependo un assegno ridotto di una certa percentuale che sale con la «gioventù relativa» del pensionando) o un’inutile ricerca di un altro lavoro.
Si potrebbe pensare che questa mattanza di anziani lavoratori sia stata pensata per «aprire le porte ai giovani». Nemmeno per sogno. L’intento del governo è esplicito: «ridurre la pianta organica nel pubblico impiego» per ottenere risparmi immediati di 5 miliardi nel 2012 e circa 8,5 nel successivo. Non sarà fatta neppure un’assunzione.
Siamo nel campo delle ipotesi, ci dicono, anche se oggi si vedranno per fare il punto sul «piano» il ministro dei rapporti con il parlamento Piero Giarda, quello dell’interno Anna Maria Cancellieri e Filippo Patroni Griffi, insieme al «commissario» per la spending review, Enrico Bondi. L’intenzione è varare un decreto già all’inizio della prossima settimana, in modo da mandare Mario Monti al decisivo vertice europeo del 28 e 29 giugno con un altro scalpo in mano (se per quella data verrà approvata anche la controriforma del mercato del lavoro).
E visto che di ipotesi si tratta, ne circola una anche peggiore, parto della Ragioneria dello Stato (l’ex incarico di Vittorio Grilli): taglio degli stipendi pubblici dal 2,5 al 5%, blocco delle tredicesime per tre anni (prorogabili), aumento del «contributo di solidarietà» per i dirigenti. Ma nemmeno una consulenza in meno, dentro queste «voci». Forse perché «il merito» deve per forza essere esterno al perimetro dello Stato; oppure perché è lì che si intrecciano le filiere degli interessi incofessabili. E che chiedono che a pagare il conto siano i «cafoni», sempre destinati a qualche nuova Fenestrelle.

 
da “il manifesto”

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