L’unico paese al mondo che cambia le regole a ogni giro di giostar è l’Italia. E c’è un perché. E’ il risultato da raggiungere a determinare in che modo si voterà, non – come nelle democrazie descritte dalla teoria – il contrario.
E qui, il risultato, è mandare avanti le politiche decise dalla troika (Ue,Bce, Fmi) per trasformare il paese nel senso deciso altrove.
Se questo è il problema, i tre partiti che sostengono il governo devono trovare un marchingegno che garantisca il risultato dando ad ognuno dei tre il modo di guadagnarci qualcosa. In fond, visto che le scete di politica economica sono decise a Bruxelles e dintorni, almeno sulle “cadreghe” da potentato locale la concorrenza resta aperta.
Berlusconi deve cercare di salvare le proprie azienda dal sempre più vicino crack (s’è venduto pure Thiago Silva e Ibrahimovic per far cassa, tanto per chiarire…) e quindi “deve” avere un partito con numeri sufficienti a ricattare sugli argomenti che lo interessano nel portafoglio.
Gli altri debbono, più “politicamente” occuparsi di impedire che “i barbari” – quelli davvero o solo fintamente contrari alle politiche imposte dai poteri sovranazionali – diventino maggioranza in Parlamento.
Tutta la discussione sulla “legge elettorale” verte su questi due punti. Con le miserie tipicamente italiche che Il Sole 24 Ore sintetizza efficacemente nell’articolo che riportiamo. Ma resta il fatto principale: Un paese che cambia le regole del gioco per consentire un risultato fissato altrove, non ha futuro…
Legge elettorale, l’accordo tra i partiti: sì a un modello tedesco «corretto», ma non prima dell’autunno
Emilia Patta
Preferenze sì, preferenze no. La trattativa tra i partiti che sostengono il governo Monti sembra essersi incagliata nelle ultime due settimane su questo punto. Con Pdl, Udc e ora anche la Lega schierati in favore delle preferenze e con il Pd che insiste invece sui collegi uninominali come sistema principe per la scelta degli eletti. E il rischio di restare isolati in Parlamento sta spingendo molti democratici, in primis il vicesegretario Enrico Letta e l’ex popolare Giuseppe Fioroni, ad aprire all’ipotesi. «Il Porcellum va modificato senza se e senza ma, è incomprensibile perché le preferenze vadano bene per i Comuni o l’Europarlamento mentre diventano corruzione se applicate per il Parlamento», è la posizione di Letta.
Il Pd: il vero punto della trattativa? Il premio di maggioranza
Dunque, non arroccarsi sulle preferenze. Anche perché i democratici sanno che il vero punto della trattativa non riguarda le preferenze, bandierina impugnata da Pdl e Udc per alzare la posta nei confronti del Pd, bensì la natura del premio di maggioranza. Che Pdl e Udc vogliono assegnare al primo partito e non alla coalizione come invece vorrebbe il Pd. Non è un dettaglio. Il premio al primo partito darebbe al vincitore (al momento, con ogni probabilità, il Pd di Bersani) la chiave per formare il governo ma non una maggioranza preconfezionata. Bersani dovrà andarseli a cercare in Parlamento, i suoi alleati. Potrebbe bastarne uno, o potrebbe essere necessario cercarne due. Strada aperta, in buona sostanza, alla grande coalizione oltre Monti ove ce ne fossero le condizioni o la necessità.
Quagliariello: il nostro obiettivo è il premio alla prima lista
Il vero punto politico è questo. Lo conferma Gaetano Quagliariello, storico “sherpa” pidiellino su riforme e legge elettorale: «Il dibattito sulle preferenze lascia sulla sfondo il vero punto politico, che è la natura del premio». Silvio Berlusconi ha deciso di puntare sulla possibilità della grande coalizione oltre il 2013 per continuare a dettare l’agenda di governo anche in caso di (probabile) sconfitta, dicono gli uomini a lui più vicini. E comunque non vuole regalare a Bersani un premio di coalizione così grande e sicuro (55%) come quello previsto dall’attuale sistema elettorale. Non a caso dopo la riunione di giovedì scorso a Palazzo Grazioli convocata proprio su questi temi un berlusconinano doc come il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto ha elencato due alternative da sottoporre al Pd: o proporzionale con preferenze o lo spagnolo, che è appunto un modello che non prevede la formazione delle coalizioni prima del voto.
Possibile “scambio” tra Pd da una parte e Pdl e Udc dall’altra
Lo “scambio” potrebbe essere proprio preferenze-premio: il Pd cede sul premio, accettando che sia al solo primo partito, e Pdl e Udc cedono sulle preferenze, accettando il sistema dei collegi uninominali. Si tornerebbe dunque alla bozza ABC sottoscritta prima dello tsunami amministrative dagli sherpa di Pdl, Pd e Udc, ossia il cosiddetto modello ispano-tedesco o tedesco corretto: 50% di collegi, 50% di proporzionale con liste bloccate e sbarramento al 5%, premio di governabilità del 10%. Con in più l’aggiunta “spagnola” delle piccole circoscrizioni che premiano i grandi partiti e quelli molto radicati sul territorio come la Lega. Sarebbe difficile per Bersani rifiutare un modello accettato solo due mesi fa. E val la pena ricordare che l’unico accordo bipartisan raggiunto negli ultimi anni, la “bozza Bianco” votata in commissione alla fine del 2007 e poi naugrafata assieme al secondo governo Prodi, era una variazione sullo stesso tema.
Via libera politico non prima dell’autunno
Se ci sarà intesa politica vera e non una semplice manutenzione del Porcellum sarà dunque attorno a un mix collegi-liste bloccate con l’aggiunta del premio al primo partito. Modello sul quale sta lavorando anche il comitato ristretto della Affari costituzionali in Senato, che potrebbe predisporre un testo in tal senso già la prossima settimana. Ma è presto: il via libera politico non ci sarà prima dell’autunno. Pdl e Pd devono far tacere il più a lungo possibile le resistenze interne. Da una parte gli ex An, dall’altra i prodiani e la sinistra affezionata alla foto di Vasto. Tutti nemici giurati dell’ipotesi grande coalizione.
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