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Una “legge di stabilità” che destabilizza le persone

Non diremo che “l’avevamo detto”. Le prime nostre analisi evidenziavano che la “restituzione” di un punto percentuale Irpef era solo fumo negli occhi per un prelievo supplementare ben più pesante. Ora se ne stanno accorgendo un po’ tutti, e persino il quotidiano di Confindustria prende le distanze da un modo di procedere inqualificabile da parte del governo.
Inqualificabile sul piano istituzionale (la “retroattività” della riduzione su detrazioni e deduzioni è uno scandalo già da sola), ma soprattutto inefficace su quello economico. Aggiustare i conti pubblici sfasciando un paese, quel poco di “coesione sociale” che pur si dice di voler preservare, è una strategia cieca, idiota e di rapina. Che merita risposte di massa all’altezza dell’insulto.

Una piccola panoramica dai quotidiani meno ciechi aiuta a fare il punto.

Il governo prende e non dà nulla

 

Francesco Piccioni
La «legge di stabilità», nella versione proposta al Parlamento, con una mano riduce le tasse, con l’altra aumenta il prelievo fiscale su tutto. Dall’Iva alle agevolazioni, dalle pensioni di guerra alla deducibilità degli interessi sui mutui Partiamo dalle certezze. Se in una manovra finanziaria governativa – ora si chiama «legge di stabilità», ma non c’è molta differenza – i saldi sono positivi per lo Stato, vuol dire che sono usciti più soldi dalle tasche dei cittadini. Quindi, le trombe della propaganda hanno suonato una canzone stonata quando si sono sperticate in elogi per il mini-taglio alle aliquote Irpef come segno di una «fase 2», in cui «finalmente» si cominciava a (ri)mettere in tasca qualche soldo ai contribuenti.
Tutto falso. Il taglio dell’Irpef – le aliquote passano dal 23 al 22% fino a 15.000 euro lordi annui, e dal 27 al 26% per lo scaglione fino a 28.000 – si traduce in un’entrata, per il singolo lavoratore dipendente, oscillante tra un minimo di 11,5 euro al mese e un massimo di 21,5. Già così, si perderebbero oltre 2,5 punti l’anno soltanto grazie all’inflazione «ordinaria».
Ma il governo con una mano finge di dare, con l’altra, decisamente, arraffa. Ha confermato infatti l’aumento dell’Iva – dal 10 all’11% quella agevolata, dal 21 al 22% quella «tipica» – che si traduce automaticamente in un aumento generale dei prezzi di tutte le merci, a partire da quello dei carburanti. E tanto basterebbe ad eliminare, con gli interessi, quel poco di «respiro» derivante dalla riduzione dell’Irpef.
Nelle pieghe di questa finanziaria, però, c’è ben altro. Dopo lunghi tentennamenti, infatti, è stata confermata la riduzione delle spese detraibili e deducibili, quelle che «si portano nel 730», tra giugno e luglio di ogni anno. La riduzione con effetti universali riguarda le spese mediche; che rimangono scontabili al 19%, ma la «franchigia» viene elevata dagli attuali 129,11 euro (le 250.000 lire di un tempo) a 250 euro tondi. Piccole cifre, direte; ma moltiplicate per la totalità della popolazione.
Viene drasticamente abbassato il «tetto» per la detraibilità degli interessi passivi dei mutui per la casa: da 4.000 a 3.000 euro. In pratica, chi poteva scalare 760 euro adesso dovrà accontentarsi di 570. Come sanno praticamente tutti, il «monte interessi» è particolarmente alto soprattutto nei primi anni di pagamento del mutuo («alla francese»); e, specie nel primo anno, è possibile detrarre anche una serie di spese accessorie (notarili, polizza incendio, perizia, costi di accensione, ecc). Ora finisce tutto in un calderone più piccolo. Di un quarto.
Non solo. Nel «tetto» dei 3.000 euro va compreso anche l’eventuale spesa per l’assicurazione sulla vita – di frequente associata con il mutuo casa – , il che comporta il mancato recupero di almeno un altro centinaio di euro.
Questa raffica di mancati sconti è di fatto un aumento della tassazione. Ma il governo ha voluto esagerare, imponendo anche una retroattività di queste nuove norme, a dispetto dello Statuto del contribuente, che vieta un simile modo di fare. Se il Parlamento approverà il testo presentato dall’esecutivo, infatti, gli effetti reali si avranno sulla dichiarazione dei redditi relativi al 2012, da presentare all’inizio della prossima estate. Vero è che non si tratta della prima volta, ma questa «arroganza fiscale» dello Stato non appare il miglior biglietto di presentazione «etico» per chi pretende di combattere l’evasione.
Altre categorie fin qui fiscalmente protette passeranno sotto una tosatura consistente. Per esempio le pensioni di guerra – fin qui esenti – mentre si sono salvate in extremis quelle di invalidità. Bloccata all’ultimo minuto anche la riduzione del 50% della retribuzione per i dipendenti pubblici che si prendono tre giorni al mese per assistere i familiari disabili. Roba oltre le colonne d’Ercole dell’indecenza…
Ma non è finita qui. Un governo davvero innovativo non considera nulla «intoccabile». Così ha deciso di eliminare la «clausola di salvaguardia» sul tfr. In pratica, viene cancellata la norma che consentiva di evitare che la «liquidazione» fosse tassata con le aliquote introdotte nel 2006, se svantaggiose per il lavoratore. Per le «cessazioni dal lavoro» dal 31 dicembre in poi si applicheranno dunque le normali aliquote Irpef, con una perdita secca intorno al 2,5% della cifra maturata in anni di lavoro. Come hanno subito notato gli specialisti, a rimetterci sono soprattutto i redditi più bassi (che erano tassati al 23% fino ai 26.000 euro, invece degli attuali 15.000). Per «equità»?
Potrebbe bastare. Ma non accade. Sotto la stessa tagliola passano anche le cifre percepite come «indennità sostitutiva del preavviso di licenziamento», gli «incentivi all’esodo», i «risarcimenti decisi dall’autorità giudiziaria», ecc.
Per capirne le conseguenze pratiche, nella vita di ognuno di noi, bisogna uscire per un attimo dalle righe di testo e guardarci attorno. Da ogni lato vediamo licenziamenti collettivi e individuali in atto, per crisi aziendale o per scomparsa dell’articolo 18. Ovunque, insomma, ci sono persone che perdono il lavoro e vanno perciò «liquidate» dando loro il tfr, e magari altre somme per «convincerle» ad andar via. Qualcuno si oppone, ricorre al giudice, che dispone un «equo indennizzo», non più «la reintegra» sul posto di lavoro.
In questa situazione, dove le imprese si «alleggeriscono» di forza lavoro per i motivi più diversi – esemplare il caso della Thyssen di Terni, dove la Otoukumpu vende sotto imposizione Ue, per «eccesso di concentrazione» -sulla massa dei lavoratori in uscita si abbatte una doppia tosatura di reddito. Da un lato l’imprenditore, che gli toglie la certezza di un futuro dignitoso; dall’altra lo Stato, che esige una gabella anche sull’indennizzo che un’altra parte dello stesso Stato ha riconosciuto «equo». C’è molto di marcio, nel governo Monti…

da “il manifesto”

Da un diverso punto di vista (quello degli acquirenti di case) anche Il Sole storce parecchio il naso.

Chi ha un mutuo esaurisce subito il plafond di 3mila euro previsto per le detrazioni fiscali. E rende inutile chiedere altri sconti

Chi accende un mutuo per l’abitazione principale, o l’ha avviato negli ultimi anni, si dimentichi di chiedere al Fisco sconti per l’assicurazione sulla vita, le spese d’istruzione dei figli o quelle per l’affitto dello studente fuori sede, quelle sostenute per lo sport dei bambini o gli assegni per la beneficenza. Gli interessi passivi del mutuo bastano, e avanzano, a esaurire il plafond da 3mila euro che le nuove regole, applicabili già ai redditi di quest’anno se il Parlamento accetterà il boccone amarod ella retroattività, permettono di portare in detrazione, ottenendo uno sconto massimo da 570 euro all’anno.
A chiedere al Fisco la detrazione per gli interessi passivi pagati sul mutuo sono ogni anno 3,8 milioni di italiani, e nell’85% dei casi vengono colpiti dalle nuove regole perché dichiarano più di 15mila euro. In almeno un milione di casi, a essere prudenti, la detrazione attuale supera il nuovo tetto da 3mila euro: ogni anno vengono erogati in Italia circa 250mila mutui per abitazione principale superiori ai 100mila euro all’anno, una cifra più che sufficiente a sfondare il plafond nei primi 4-5 anni di vita del mutuo.

Che succede in questi casi? Il nuovo tetto da 3mila euro alla spesa detraibile assottiglia di 190 euro all’anno lo sconto rispetto a quello offerto dalle vecchie regole, ma soprattutto impedisce di portare in detrazione le altre spese coinvolte dal tetto, che fra le grandi voci esclude solo quelle sanitarie. Il profilo pubblicato qui sopra fruisce di varie detrazioni proprio per mostrare gli effetti concreti della novità: con le vecchie regole, il contribuente ritratto nell’esempio poteva farsi scontare, oltre agli interessi del mutuo, il 19% le spese per l’assicurazione e quelle per retta e affitto del figlio studente fuori sede. Totale: 1.377,5 euro di Irpef in meno.
Nella prossima dichiarazione, secondo la norma scritta nel Ddl di stabilità, solo il mutuo offrirà uno sconto d’imposta (570 euro invece di 760) e basterà da solo a escludere qualsiasi detrazione per le altre voci.
Una condizione del genere può interessare i titolari di mutui per molti anni.
Secondo Mutuionline.it, il broker che mette a confronto le offerte delle banche, il mutuo medio si attesta oggi a 130mila euro, e in circa l’80% dei casi dura tra i 20 e i 30 anni. Un contratto ventennale di questo importo, secondo i tassi attuali molto bassi nonostante gli spread chiesti dalle banche, basta a esaurire il nuovo plafond delle detrazioni per 8 anni se a tasso variabile, e per 15 anni se a tasso fisso. Alzando l’importo o allungando la durata, la situazione peggiora. «È un colpo a un mercato già in difficoltà per la crisi – sottolinea Roberto Anedda, vicepresidente di Mutuionline –, che stringe ancora su detrazioni ferme da parecchi anni: basta pensare al vecchio limite da 7 milioni di lire, quando il mutuo medio non superava i 100 milioni».

I grafici a fianco mostrano l’aumento di costo fiscale del mutuo, che può arrivare a 4.507 euro nel caso di un contratto da 170mila euro, ma a questa cifra vanno aggiunte tutte le spese che i contribuenti non potranno più detrarre proprio perché gli interessi passivi esauriscono il plafond. Nel caso del profilo mostrato sopra, si tratta di 617 euro in più all’anno.

Da Il Sole 24 Ore


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