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La devastazione viene “semplificata”

A cominciare dai vincoli ambientali per finire alle norme sulla (sempre poca) sicurezza sul lavoro.Una conferma della politica mortifera e criminale con cui questo governo sta sconquassando un paese, il suo territorio, la sua popolazione. Due esempi per tutti:

Uno. L’introduzione del silenzio-assenso in luogo del silenzio-rifiuto per l’avvio di cantieri, anche in zone protette. In pratica, le amministrazioni pubbliche dovranno notificare molto rapidamente un divieto esplicito all’impresa che comunica di vole iniziare un determinato lavoro potenzialmente rischioso per l’ambiente, il paesaggio, la sicurezza del territorio. Per essere sicuro che l’ufficio in questione – già alle prese con i tagli ai finanziamenti, che ne riducono fortemente l’operatività – non possa quasi mai ostacolare la volontà dell’imprenditore il governo ha anche ridotto i tempi in cui la risposta negativa deve essere notificata al potenziale saccheggiatore territoriale.

Due. Una de-regolazione drastica dell norme sulla sicurezza del lavoro. Naturalmente il governo sostiene, come faceva Berlusconi, che si vuole soltanto “snellire le scartoffie” per migliorare i controlli operativi. In realtà avviene il contrario: gli uffici vengono chiusi, il personale ridotto, le dotazioni operative non rinnovate o menutenute, le “scartoffie” da riempire per gli impiegati aumentate.

Aumenteranno i disatri ambientali, dunque; e percentualmente anche gli infortuni sul lavoro. Percentualmente, perché la quantità di lavoro cala, mentre il numero degli infortuni in proporzione sale. Perché non dovremmo chiamare questa politica montina “criminale” e “mortifera”?

E Confindustria si lamenta anche. Il governo ha infatti scelto la via del disegno di legge (che prevede un’approvazione in tempi più lunghi e con qualche “rischio” di modifica in sede di dibattito in aula), anziché quella del decreto, che avrebbe aperto subito il recinto ai bisonti dell’imrpesa.

Cantieri veloci, via il Silenzio-rifiuto. Meno tutele per le zone vincolate

Il cambio di residenza agganciato alla Tarsu, dogane aperte 24 ore su 24. Varato il piano energetico

Lorenzo Salvia
Cancellata la regola del silenzio-rifiuto, se l’amministrazione non risponde la risposta è quindi «sì», per le autorizzazioni a costruire in caso di vincoli ambientali o paesaggistici. Allungato l’orario di apertura delle dogane, 300 uffici in maggior parte operativi dalle 6 alle 18, che almeno in teoria potranno lavorare 24 ore su 24. E poi l’alleggerimento di una serie di adempimenti formali che riguardano la sicurezza sul lavoro, le notifiche e le certificazioni.
Il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo disegno di legge sulle Semplificazioni, seconda tranche delle misure già prese a febbraio sotto forma di decreto legge. Per il «cittadino semplice» ci sono la possibilità di ottenere i certificati universitari in inglese e l’unificazione del cambio di residenza con la dichiarazione per la tassa sui rifiuti, una misura che servirà anche a trovare più facilmente gli evasori, come spiega il ministro per la Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi.
A differenza di quanto deciso a febbraio, però, l’intervento riguarda soprattutto le imprese. Il pacchetto, dice il governo, inciderà su una serie di costi per le aziende che oggi ammontano a 3,7 miliardi di euro, solo una parte di quei 26 miliardi stimati come peso totale della burocrazia. Ma ci sono diversi nodi da sciogliere e anche qualche critica.

Il Garante della Privacy, Antonello Soro, parla di intervento «in contrasto con la normativa europea», perché tira fuori le piccole imprese dal campo di applicazione delle regole sulla protezione dei dati personali con il rischio che Bruxelles avvii una procedura d’infrazione. Ermete Realacci (Pd) boccia la cancellazione della norma sul silenzio-rifiuto perché «l’Italia ha già sofferto troppo per l’abusivismo». Mentre il verde Angelo Bonelli critica quello che chiama l’articolo «salva Ilva» perché consente «nei siti contaminati tutti gli interventi di manutenzione e di infrastrutturazione» con la possibilità di aggirare la bonifica.
Ma anche i diretti interessati, gli imprenditori, non sono soddisfatti. Confindustria si dice «delusa» perché alla fine il governo ha rinunciato alla corsia veloce del decreto legge e, con i pochi mesi che restano prima del voto, il semplice disegno di legge potrebbe non arrivare in porto. Ancora più severo il giudizio di Rete imprese Italia, l’associazione dei piccoli e medi imprenditori, che con il presidente Giorgio Guerrini parla non solo di «tempi lunghi» ma anche di «contenuti carenti». Mentre Giuseppe Tripoli, il garante delle Pmi, considera «essenziale che il provvedimento diventi legge il più rapidamente possibile».
Tempi lunghi, stavolta messi nel conto, che riguardano anche l’altro tema toccato ieri in Consiglio dei ministri, la Strategia energetica nazionale preparata dal ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera. È un lungo documento di 100 pagine che disegna il futuro del settore, l’evoluzione da qui al 2020, e che per un mese e mezzo sarà oggetto di una consultazione pubblica, con consigli e suggerimenti che potranno essere inviati dal sito del ministero. Riduzione della dipendenza dall’estero con un risparmio a regime di 14 miliardi di euro l’anno, 180 miliardi di euro di investimenti privati, la creazione di 25 mila posti di lavoro, si punta sulle rinnovabili, sul gas (il che vuole dire anche nuovi rigassificatori) e sul raddoppio della produzione nazionale di petrolio, portandola dal 7 al 14% del nostro fabbisogno energetico totale. Il documento conferma le indiscrezioni delle ultime settimane.
Con una differenza importante, però: le prime bozze dicevano che poteva essere rivisto il nuovo limite delle 12 miglia dalla costa per le trivellazioni in mare. Almeno per il momento, invece, il limite resterà quello: «Abbiamo riserve da usare – dice il ministro Passera – e non vogliamo venir meno in nessun modo ai massimi vincoli di tutela sia ambientale che di sicurezza». Una porta viene lasciata aperta, però: il limite resta tassativo per il futuro ma sugli impianti che avevano già chiesto l’autorizzazione per trivellazioni più vicine alla costa, si valuterà caso per caso.
È lo stesso documento a stabilire che il governo «non intende perseguire lo sviluppo di progetti in aree sensibili in mare o in terraferma, ed in particolare quelli di «shale gas», il gas ottenuto sparando acqua nei pozzi e fratturando le rocce nel sottosuolo. Una tecnica «invasiva» dal punto di vista ambientale molto utilizzata negli Stati Uniti.

Dal Corriere della sera

I tempi del coraggio

di Alberto Orioli

Non costa, se non qualche rendita di potere parassitario e di interposizione burocratica. Non costa, ma crea ricchezza perché mobilita investimenti. È assurdo quindi che il pacchetto sulle semplificazioni non abbia trovato la forza di un decreto. Un “semplifica Italia 2” con effetto immediato avrebbe aiutato a irrobustire quel clima di fiducia indicato ancora ieri dalla Banca d’Italia come precondizione fondamentale per «un rapido ritorno alla crescita». Così come sarebbe stato importante ricavare risorse e misure per favorire la ricerca e l’innovazione (con crediti di imposta generalizzati, non solo con un bonus limitato ai supercervelli) e per aumentare la produttività. Le parti sociali stanno facendo il massimo per arrivare a un’intesa sulle regole della flessibilità, sull’uso ottimale del fattore lavoro e per non perdere le somme promesse come detassazione dei premi aziendali. Ma il miglioramento dell’habitat competitivo spetta all’Esecutivo. Ed è fondamentale, come insegnano i competitor di Germania e Francia, ad esempio. Il disegno di legge sulle semplificazioni rischia invece di restare una “testimonianza culturale”, buona per i cassetti di Camera e Senato. Che sono pieni di indicazioni sul futuro da parte di Governi dal presente corto perché vicini a fine legislatura. I due rami del Parlamento sono già ora al centro di un ingorgo istituzionale: la sessione di bilancio alla Camera durerà fino a oltre metà novembre (il 12 il ddl di stabilità approderà all’Aula) e il passaggio successivo al Senato accompagnerà realisticamente la discussione fino a ridosso del Natale. Con le elezioni in aprile l’attività del Parlamento potrà durare, settimana più settimana meno, fino a metà gennaio.
La Camera adesso si sta dilaniando sul decreto sanità, il decreto sui tagli ai costi della politica occupa la discussione nelle commissioni Bilancio e Affari costituzionali. Al Senato si registrano acque agitate sul disegno di legge anticorruzione, per non parlare del tentativo che i senatori stanno mettendo in atto per arrivare alla riforma delle legge elettorale.
Il Governo Monti, appena insediato, ha approvato in poco più di una settimana la prima manovra correttiva della rotta verso il precipizio, ma non sembra realistico – dato il clima pre elettorale che concede meno “strappi” al Governo dei tecnici – poter replicare una performance altrettanto rapida.
Forse è un segno di questo clima anche il fatto che non sia ancora approdato alla Gazzetta Ufficiale il decreto su Crescita e innovazione, quello sull’agenda digitale e sulle start up e sul credito d’imposta per le opere strategiche, per molto tempo al centro di un confronto vivace di posizioni all’interno dell’Esecutivo.
Dunque il ddl semplificazioni, uno dei temi più sentiti dal mondo dell’economia reale e dei cittadini alle prese con ordinarie vessazioni burocratiche, molto verosimilmente non si tradurrà in realtà. Così come non diventerà realtà il disegno di legge costituzionale che il Governo vuole approntare per risolvere – più che lodevolmente – i nodi strategici ereditati con la frettolosa riforma del Titolo V che bloccano l’azione su energia, turismo e infrastrutture intasando le cancellerie della Corte costituzionale. Anche questo sarà una “testimonianza culturale” nonostante il premier abbia annunciato l’intenzione di portarlo a compimento entro la legislatura.
Sembra obiettivo ardito dati i quattro passaggi parlamentari necessari al suo ok finale (con tanto di distanza di tre mesi dalla prima approvazione delle due camere).
Sono ancora molto contraddittori i segnali verso il mondo della produzione, l’unico che potrà realmente traghettare il Paese verso la ripresa. È importante che il ministro del Lavoro Elsa Fornero abbia annunciato – si veda Il Sole 24 Ore di ieri – correttivi alla disciplina sui contratti a termine ed è bene che su questo le parti sociali accelerino la messa a punto di un avviso comune per rendere realizzabile il decreto interministeriale di correzione.
Dalla legge di stabilità arrivano continue sorprese. Oltre a quella della limitazione retroattiva delle detrazioni e deduzioni fiscali anche la scelta di stornare 3,2 miliardi dal fondo per i rimborsi Iva ad altro scopo: una scelta che non va certo nella direzione di ridare liquidità a un sistema produttivo in un Paese dove – sempre dato Banca d’Italia di ieri – il costo del credito, quando c’è, è di 70 punti più oneroso della media dell’Eurozona. Una beffa oltre al danno già evidente di una procedura complessa per ottenere ciò che spetta magari da anni.
Per i fornitori dell’amministrazione, la richiesta di rimborso dei crediti è talmente farraginosa da aver già scoraggiato una parte di quanti avevano diritto ad attingere i primi 6,7 miliardi destinati a saldare il debito che lo Stato ha verso i suoi fornitori. Il 20% è andato “inoptato”. Quella goccia nel mare, distillata per aumentare la liquidità al sistema (lo Stato è debitore per circa 100 miliardi) è stata posta in cima a un Everest di pratiche e di adempimenti che scoraggiano molti.
Non è una via facile quella del recupero di quanto lo Stato trattiene in modo illegittimo: un miliardo di rimborsi Irap aspetta ancora di essere sbloccato (come ha previsto per decreto il Governo Monti) perché impigliato nei provvedimenti attuativi per definire le modalità di presentazione delle domande.
Mentre la burocrazia prospera forte della cultura del cavillo, il mondo dei produttori deve contare solo sul proprio orgoglio. A volte basta, spesso no.

Da Il Sole 24 Ore

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