In piazza l’opposizione sociale e politica al governo. Con sindacati di base, partiti di sinistra e militanti , «dalla parte del torto»
Manifestazione nazionale a Roma, la prima esplicitamente contro il governo, le sue «riforme strutturali», la politica economica imposta dalla troika. Criminalizzazione preventiva sui media
«A volto scoperto e a mani nude». Non potrebbe essere più chiaro l’appello del Comitato promotore della manifestazione di oggi; quel «No Monti Day» che il governo – antagonista diretto, chiamato a rispondere di quel che ha combinato al lavoro e al Paese in 11 mesi – sta invece cercando di trasformare nella solita «giornata della paura». Tutto si fa, purché non si parli del merito.
E il merito è per una volta molto chiaro. Le forze – sindacali, politiche, associative, individuali – che scendono oggi pomeriggio in piazza provano a riempire un «vuoto politico» che i grandi partiti presenti in Parlamento non vogliono e non possono più occupare. È lo spazio della mediazione sociale, della democrazia nelle decisioni sulla politica economica (il cuore pulsante di ogni «governabilità»), del rapporto necessario tra «popolo» e sfera politica. I partiti non possono più coprire quello spazio perché sono impegnati – ora e ancor più nella prossima legislatura, come ricorda ogni giorno Giorgio Napolitano – a proseguire «nel solco» tracciato a Mario Monti e dalla troika (Fmi, Bce, Ue).
La rappresentanza degli interessi sociali, necessariamente divergenti da quelli della «stabilità finanziaria continentale», non ha più molti soggetti disposti a rispondere alla sfida. Chi scende oggi in strada prova a mettersi a questa altezza – lo abbiamo sentito in tutte le dichiarazioni di questi giorni, raccolte soltanto da questo giornale, oltre che naturalmente sul web – consapevole di non esserlo ancora. Ma di doverci almeno provare. Un «primo passo», per «colmare il gap» tra l’Italia e altri paesi sul piano della dignità del lavoro. Certo, ci sono state molte lotte aziendali, di stabilimento, di categoria; non ancora un momento di «generalizzazione». Non ancora un’opposizione politica. Ossia che se la prende col governo per quello che fa, non soltanto con l’imprenditore che scappa con la cassa e gli impianti da un’altra parte, in un altro paese.
L’alternativa – va detto chiaramente – è la disperazione sociale; quella bestia che nutre il mostro del «populismo», che tutti dicono di voler combattere, ma che tutti alimentano. Senza rappresentanza autentica, vera, vicina, rintracciabile sul territorio o sul posto di lavoro, ognuno è solo davanti alla potenza «ineluttabile» del mercato. O si piega o reagisce; o reagisce in modo lucido o affidandosi a chi gli indica «nemici di comodo». Migranti, demoplutogiudaici, zingari, sindacalisti, «i politici».
Chi scende oggi in piazza andrebbe ringraziato perché riempie il vuoto. Perché dà corpo a quella opposizione sociale che, se negata, si riproduce in forme deviate e devianti. Perché pone la necessità di un conflitto politico e sociale inevitabile – davanti alla crisi e a queste politiche «rigoriste» – nelle forme tipiche della dialettica democratica postbellica.
I promotori sono protagonisti noti della vita politica e sindacale degli ultimi 45 anni. Progressisti, compagni, militanti politici mai accusati o accusabili di estremismo». Propongono dei «no» semplici e chiari: «a Monti e alla sua politica», «all’Europa dei patti di stabilità, del Fiscal compact, dell’austerità e del rigore», «all’attacco alla democrazia». Pronunciano dei «sì» altrettanto di buon senso: «al lavoro dignitoso» (prescritto un tempo nella Costituzione), «ai beni comuni», «alla democrazia» effettiva, non certo a quella surrogata della «Commissione europea».
Di tutto questo non troverete traccia sugli altri giornali. Qualcuno scrive dei disagi alla circolazione automobilistica. Qualcun altro dei sempiterni «black blok» usati ormai come «l’uomo nero», per tener buoni i bambini (ricorre anche il colore…). Qualcun altro va a curiosare tra tombini sigillati, parcheggi vietati, serrande da chiudere, «squadre speciali». Il normale conflitto sociale, le manifestazioni, non fanno notizia. O sfasci una vetrina o non mi ti filo. Questa è la legge della cronaca. Alla fine, qualcuno ci casca…
Ce la potremmo facilmente prendere con i colleghi – firme prestigiose e innocenti stagisti – che accettano di prestarsi a questo gioco comandato da palazzo Chigi. Poi ci attraversa l’immagine di quegli scienziati che hanno obbedito a un Bertolaso qualsiasi, quando imponeva loro «la verità non si dice». Quanto diversi dal pur umanissimo Galileo che solo davanti alla ruota della tortura biascicò un accenno di ritrattazione. Per uscir poi fuori dal Collegio Romano, guardare il cielo e confermare «eppur si muove». È una vecchia verità: «il coraggio uno non se lo può dare». Ci vediamo in piazza.
da “il manifesto”
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