«Contro questa Unione delle banche, siamo per l’unità delle lotte europee»
Francesco Piccioni
Delle sigle sindacali che hanno promosso il «No Monti Day» l’Usb è la più grande, comunque l’unica che risulta da processi di fusione – anziché di divisione – nella galassia del sindacalismo di base. Paolo Leonardi ne è uno dei coordinatori nazionali.
Un sindacato dovrebbe avere il polso dei malesseri sociali più di quanto non lo abbiano ormai i partiti. Come siete arrivati a dire «serve una manifestazione così»?
L’Usb ha un insediamento sociale importante. Il radicamento nei territori e nei luoghi di lavoro, pubblici e privati, ci dà un quadro allarmante della situazione sociale e lavorativa. Passiamo le giornate a cercare di dar risposta a quanti vengono espulsi dai luoghi di lavoro: vengono chiuse fabbriche, aziende, c’è riduzione di salari e tanta cassa integrazione. C’è un’enorme difficoltà delle famiglie dei lavoratori a sbarcare il lunario, ad arrivare addirittura alle seconda settimana del mese, diffusa molto più di quanto sia immaginabile. Una condizione drammatica che sta riducendo i consumi delle famiglie, costringendole a rivedere il modo in cui hanno vissuto fino ad oggi.
Le politiche del governo: come vengono vissute dal lavoratore o dal pensionato che va al Caf?
C’è una rivolta profonda nei confronti di una politica che sembra completamente assente dai problemi della gente. Anche i tentativi di modificare la legge di stabilità, modificando questo o quel capitolo a fini elettorali, sta producendo più incazzatura che attenzione. Perché è chiaro che se tutti accettano che «i saldi» restino invariati, ciò può avvenire solo mantenendo una politica di aggressione durissima nei confronti del lavoro. C’è un capitale che oggi riscopre lo sfruttamento come aumento di ritmi, orario, diminuzione del salario; che interviene anche sulla tassazione indiretta della sanità, sulla possibilità di utilizzare sgravi e integrazioni… Questo viene percepito come un fatto molto grave, cui la politica non pone rimedio. Ma c’è anche un senso di «ineluttabilità», una classe che fatica a percepire come reagire e contrastare questa deriva. Come sindacato riusciamo ad agire sul piano aziendale e territoriale, ma c’è una sfiducia «politica» sulla possibilità di un cambiamento generale, in positivo, della situazione.
Partecipano sindacati e forze politiche di sinistra fuori dal Parlamento. E’ stato complicato mettere insieme queste diverse soggettività?
Il motore centrale della manifestazione è stato il Comitato no debito, che ha ha dato il via a un comitato promotore della manifestazione, allargando la proposta anche a chi non si riconosce nel «No debito». Questa giornata sta diventando l’unica vera iniziativa di lotta per cacciare il governo Monti, a cui non si fanno sconti politici, come invece ha fatto la Cgil o i grandi partiti; che solo a pochi mesi dalle elezioni iniziano a scalpitare. Questa manifestazione, per tutte le forze aderenti, è un passaggio necessario in un programma di lotta articolato. Non una serie di scadenze una dopo l’altra, ma un progetto di ricostruzione del tessuto sociale e politico, capace di rispondere alle politiche della Ue, al pensiero unico, al super-stato europeo e a Monti che ne è l’espressione più chiara.
«No fiducia» nel prossimo governo?
E’ evidente, e Napolitano lo dice tutti i giorni, che le elezioni di primavera produrranno un governo obbligato a mantenersi nel solco tracciato da Monti e da Ue, Fmi, Bce. C’è bisogno di costruire una forte capacità organizzata, non solo «movimento»; in prospettiva va organizzata la contrapposizione diretta a queste forme di oppressione. Peraltro di dimensione europea.
Più sviluppo di radicamento territoriale o maggiore coordinamento continentale?
Il sindacato dedeve darsi un orizzonte europeo e uno «metropolitano». Nella metropoli l’espulsione di centinaia di migliaia di lavoratori dalla produzione classica si incrocia con la polverizzazione del tessuto sociale, i milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Un fenomeno che ci impone di funzionare anche come strumento d’aiuto verso il «non lavoro». Ma contemporaneamente non possiamo non avere un profilo europeo. Al momento il sindacato europeo è pesantemente condizionato dalle scelte della Ces, che ha indetto lo sciopero del 14 novembre su parole d’ordine non condivisibili; si chiede addirittura di lottare per un «social compact», cioè un patto sociale in salsa europea veramente incredibile. Se ci deve essere una giornata di mobilitazione, che sia su una piattaforma chiara e netta, come quella che proponiamo oggi. Dobbiamo costruire lotte unitarie, non solo relazioni; le istituzioni europee – Parlamento, commissione e Bce – sono il vero punto di scontro. Siamo di fronte ad un super-stato che decide le politiche produttive, economiche, militari e finanziarie per tutti. Siamo al commissariamento dei singoli stati da parte della troika. Non possiamo non avere una visione e un coordinamento europei.
Delle sigle sindacali che hanno promosso il «No Monti Day» l’Usb è la più grande, comunque l’unica che risulta da processi di fusione – anziché di divisione – nella galassia del sindacalismo di base. Paolo Leonardi ne è uno dei coordinatori nazionali.
Un sindacato dovrebbe avere il polso dei malesseri sociali più di quanto non lo abbiano ormai i partiti. Come siete arrivati a dire «serve una manifestazione così»?
L’Usb ha un insediamento sociale importante. Il radicamento nei territori e nei luoghi di lavoro, pubblici e privati, ci dà un quadro allarmante della situazione sociale e lavorativa. Passiamo le giornate a cercare di dar risposta a quanti vengono espulsi dai luoghi di lavoro: vengono chiuse fabbriche, aziende, c’è riduzione di salari e tanta cassa integrazione. C’è un’enorme difficoltà delle famiglie dei lavoratori a sbarcare il lunario, ad arrivare addirittura alle seconda settimana del mese, diffusa molto più di quanto sia immaginabile. Una condizione drammatica che sta riducendo i consumi delle famiglie, costringendole a rivedere il modo in cui hanno vissuto fino ad oggi.
Le politiche del governo: come vengono vissute dal lavoratore o dal pensionato che va al Caf?
C’è una rivolta profonda nei confronti di una politica che sembra completamente assente dai problemi della gente. Anche i tentativi di modificare la legge di stabilità, modificando questo o quel capitolo a fini elettorali, sta producendo più incazzatura che attenzione. Perché è chiaro che se tutti accettano che «i saldi» restino invariati, ciò può avvenire solo mantenendo una politica di aggressione durissima nei confronti del lavoro. C’è un capitale che oggi riscopre lo sfruttamento come aumento di ritmi, orario, diminuzione del salario; che interviene anche sulla tassazione indiretta della sanità, sulla possibilità di utilizzare sgravi e integrazioni… Questo viene percepito come un fatto molto grave, cui la politica non pone rimedio. Ma c’è anche un senso di «ineluttabilità», una classe che fatica a percepire come reagire e contrastare questa deriva. Come sindacato riusciamo ad agire sul piano aziendale e territoriale, ma c’è una sfiducia «politica» sulla possibilità di un cambiamento generale, in positivo, della situazione.
Partecipano sindacati e forze politiche di sinistra fuori dal Parlamento. E’ stato complicato mettere insieme queste diverse soggettività?
Il motore centrale della manifestazione è stato il Comitato no debito, che ha ha dato il via a un comitato promotore della manifestazione, allargando la proposta anche a chi non si riconosce nel «No debito». Questa giornata sta diventando l’unica vera iniziativa di lotta per cacciare il governo Monti, a cui non si fanno sconti politici, come invece ha fatto la Cgil o i grandi partiti; che solo a pochi mesi dalle elezioni iniziano a scalpitare. Questa manifestazione, per tutte le forze aderenti, è un passaggio necessario in un programma di lotta articolato. Non una serie di scadenze una dopo l’altra, ma un progetto di ricostruzione del tessuto sociale e politico, capace di rispondere alle politiche della Ue, al pensiero unico, al super-stato europeo e a Monti che ne è l’espressione più chiara.
«No fiducia» nel prossimo governo?
E’ evidente, e Napolitano lo dice tutti i giorni, che le elezioni di primavera produrranno un governo obbligato a mantenersi nel solco tracciato da Monti e da Ue, Fmi, Bce. C’è bisogno di costruire una forte capacità organizzata, non solo «movimento»; in prospettiva va organizzata la contrapposizione diretta a queste forme di oppressione. Peraltro di dimensione europea.
Più sviluppo di radicamento territoriale o maggiore coordinamento continentale?
Il sindacato dedeve darsi un orizzonte europeo e uno «metropolitano». Nella metropoli l’espulsione di centinaia di migliaia di lavoratori dalla produzione classica si incrocia con la polverizzazione del tessuto sociale, i milioni di giovani che non studiano e non lavorano. Un fenomeno che ci impone di funzionare anche come strumento d’aiuto verso il «non lavoro». Ma contemporaneamente non possiamo non avere un profilo europeo. Al momento il sindacato europeo è pesantemente condizionato dalle scelte della Ces, che ha indetto lo sciopero del 14 novembre su parole d’ordine non condivisibili; si chiede addirittura di lottare per un «social compact», cioè un patto sociale in salsa europea veramente incredibile. Se ci deve essere una giornata di mobilitazione, che sia su una piattaforma chiara e netta, come quella che proponiamo oggi. Dobbiamo costruire lotte unitarie, non solo relazioni; le istituzioni europee – Parlamento, commissione e Bce – sono il vero punto di scontro. Siamo di fronte ad un super-stato che decide le politiche produttive, economiche, militari e finanziarie per tutti. Siamo al commissariamento dei singoli stati da parte della troika. Non possiamo non avere una visione e un coordinamento europei.
da “il manifesto”
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