Tanta folla e qualche inconveniente che obbliga l’assemblea ad aprire con un po’ di ritardo e a contingentare i tempi degli interventi – ma non è un male – per permettere ad almeno una quarantina di persone di parlare dopo l’introduzione. Una folla di dirigenti politici, innanzi tutto. In particolare di Rifondazione Comunista, sia a livello locale sia nazionale, col segretario Paolo Ferrero che siede attento in prima fila. E poi esponenti di alcuni dei ‘movimenti’ politici che in questi anni sono apparsi e scomparsi, come ad esempio i ‘girotondi’ o i forum sociali. E poi ancora alcuni esponenti d’area di partiti come il Pdci o Sel e attivisti di alcuni centri sociali. Delegati dei sindacati, soprattutto della Fiom (ma non di quelli di base) e di quei movimenti referendari che in qualche modo dalla battaglia in difesa dei beni comuni hanno riattivato un arcipelago di soggettività che prima ha dato vita ad Alba e ora al cosiddetto ‘Appello dei 70’. A curiosare tanti giornalisti, più di quelli che gli organizzatori si aspettavano. Nel teatro Vittoria a Testaccio, nel cuore di Roma, è difficile entrare, la capienza massima consentita è stata raggiunta già di prima mattina e un filtro predisposto da alcuni volontari aspetta che qualcuno esca per permettere ad altri di entrare. Ma un altoparlante sistemato all’ingresso permette a qualche decina di ritardatari – o claustrofobici? – di ascoltare comunque gli interventi di 6 minuti che scandiscono la mattinata.
Aperta da un intervento di Livio Pepino che in maniera secca e senza fronzoli chiarisce che a suo parere la forma partito è andata in crisi e va messa definitivamente in soffitta, e che la nuova aggregazione dovrà essere caratterizzata da una netta discontinuità rispetto alle forze politiche esistenti. Rifuggendo il ‘rinnovamento’ – categoria snaturata dai partiti, chiarisce Pepino – e soprattutto il ‘leaderismo’ e la spartizione delle candidature tra le segreterie dei partiti, per dar vita a una proposta politica complessiva capace di raccogliere 1,5 milioni di voti in appena 100 giorni (2 milioni, se la riforma del sistema elettorale aumenterà la soglia di sbarramento al 5%).
Poi subito gli interventi. Antonio di Luca, operaio della Fiat di Pomigliano prima licenziato e poi reintegrato da una sentenza della Corte d’Appello di Roma rivendica il percorso della Fiom e non disdegna bordate: contro Napolitano, silente di fronte alla gestione autoritaria e incostituzionale dell’azienda da parte di Marchionne; contro le primarie di Pd e di Sel, “entrati in una gabbia e in un recinto conservatore”; contro il fiscal compact, il Mes, l’austerity e i tagli imposti da Bce, Commissione Europea e Fmi. Tra gli applausi Di Luca incita a partecipare a ‘Cambiare si può’ “non per farsi strada ma per fare strada”, per unire tutti i soggetti anticapitalisti all’opposizione di Monti e denuncia lo scambio tra salute e lavoro e tra diritti e lavoro.
Dar conto di tutti gli interventi è impossibile. Dirigenti, intellettuali, giornalisti, sindaci e attivisti di provenienza diversa si susseguono al microfono in maniera rapida, alcuni intervengono tramite brevi video. Da Sandro Medici che perora la causa della sua candidatura alle imminenti comunali di Roma a un giovane delle Officine Corsare di Torino che invita i presenti a non piazzarsi troppo lontani dal centrosinistra; da Maha, una ragazza tunisina che chiede all’assemblea di permettere anche agli immigrati di dare il proprio contributo all’Italia e ai loro paesi di origine fino alla No Tav Gianna de Masi, che lancia bordate contro i risultati delle politiche di Berlusconi prima e di Monti poi, in un lungo elenco di accuse e denunce che rappresenta il filo conduttore della giornata. Dalla gestione repressiva dei conflitti alle spese militari, dal finanziamento di grandi opere inutili e dannose al taglio di cultura, istruzione e sanità, dalla richiesta di ritiro delle truppe italiane da tutti i teatri di guerra a un piano d’investimenti nel settore pubblico.
Anche le battutacce sulle primarie e le critiche alla gestione di Sel da parte di Nichi Vendola, uscito sconfitto dal primo turno rivelatosi un referendum tutto interno al PD, non mancano. “Le primarie del PD dimostrano che non solo non siamo usciti dal Berlusconismo ma che anzi la politica-spettacolo ha conquistato pienamente anche il centrosinistra” denuncia il fiorentino Andrea Bagni che propone per ‘Cambiare si può’ un mix di antiliberismo e democrazia radicale. “E’ stato un grave errore partecipare alle primarie – accusa la consigliera No Dal Molin di Vicenza Cinzia Bottene – che non hanno spostato a sinistra di una virgola il Pd ma anzi hanno accreditato tra molte persone l’idea che quel partito sia di centrosinistra’”.
Non si apprezzano particolari differenze fin quando non interviene Paolo Flores D’Arcais che rivendica l’esperienza dei ‘girotondi’ (con una parte della sala che rumoreggia) e che pone in maniera esplicita il problema della credibilità del nuovo progetto che secondo il direttore di Micromega non può che derivare dalla scelta immediata di una leadership autorevole che eviti che ognuno dei compagni di strada spacchi il capello in quattro come d’abitudine a sinistra. Per Flores D’Arcais occorre dare rappresentanza politica alle lotte e alle vertenze degli ultimi dieci-quindici anni ma sarebbe meglio saltare un turno e rimandare il lancio della lista elettorale alla prossima volta, “quando il PD avrà mal governato e i grillini avranno fatto una cattiva opposizione”. Spiega D’Arcais: “Mentre i partiti di sinistra si moderavano per attirare voti moderati i movimenti nelle piazze attraevano e coinvolgevano persone moderate grazie alle proprie mobilitazioni e alle proprie proposte radicali”.
Dopo di lui interviene Luigi de Magistris, e anche se fino a quel momento le reprimende contro leaderismi e personalismi si erano sprecate non manca l’ovazione per il sindaco di Napoli. Che in un crescendo difende prima la sua esperienza di governo – in materia di acqua, di rifiuti e di cultura, in particolare –e poi attacca l’idea che la politica la possano e debbano fare solo coloro che hanno la fedina penale pulita. “La questione morale non è questione di casellario giudiziario” dice in polemica implicita col movimento di Grillo, ricordando che se fosse così i colletti bianchi che gestiscono le mafie non avrebbero problemi. Tra gli applausi sinceri della sala De Magistris avverte però che lui ci starà solo se la nuova aggregazione si presenterà alle elezioni per vincere e non per testimonianza, perché grida “la rivoluzione si fa governando”.
Dopo di lui a riattivare l’attenzione dei presenti è il molto atteso Antonio Ingroia – è un caso che i due personaggi più attesi e applauditi siano due magistrati? – che arriva a fine mattinata e interviene poco prima delle 15. Con un discorso molto pacato, di stampo antiberlusconiano, secondo il quale “venti anni di berlusconismo hanno creato una frattura quasi insanabile tra le istituzioni e i cittadini”. “È per ricomporre questa frattura che considero lodevole la vostra iniziativa” chiarisce Ingroia che aggiunge: “l’attuale classe dirigente non può sconfiggere la mafia”. E poi la promessa: “Non mi sono mai tirato indietro. E sarò con voi, dal Guatemala o, si vedrà, dall’Italia.
Mentre scriviamo gli interventi non si sono ancora conclusi, l’assemblea si concluderà intorno alle 18 con la sintesi di Marco Revelli. Ma a metà giornata sembra chiaro che insieme ai cocci di una sinistra in crisi di prospettive e spesso situazionista, al teatro Vittoria ci sono pezzi interessanti e sinceri di conflitto, di vertenze, di critica radicale a Monti e al montismo. Ma non mancano i punti di vista diversi su questioni chiave, come le forme di organizzazione interna e gli interlocutori. Secondo alcuni i partiti vicini alle aspirazioni dell’aggregazione dovrebbero sciogliersi in essa, mentre per altri occorre cercare una alleanza in forme ‘nuove’ non meglio identificate.
Ma la grande differenza risiede nel ‘target’ sociale e politico del nuovo progetto: rappresentare una presunta maggioranza degli italiani stufi di una certa politica e quindi disposti a voltare pagina. Oppure mettere insieme i pezzi di una sinistra che altrimenti rimarrebbe di nuovo senza rappresentanza. Una terza ipotesi – ricomporre e dare rappresentanza a un blocco sociale pesantemente colpito dal governo dei poteri forti, al di là dei ceti politici di una sinistra rissosa e senza idee – non sembra essere al centro del dibattito.
Sul quale pesano le decisioni future di alcune forze politiche, che dovranno aspettare di capire con quale legge si andrà a votare. E di alcuni pezzi di ceto politico che sceglieranno all’ultimo minuto utile se tentare la carta di una aggregazione politica esterna all’asse PD-SEL oppure cercare di ritagliarsi uno spazio di manovra all’interno del centrosinistra.
Se il dibattito suscitato dal “l’appello dei 70” riuscisse a chiarire che comunque ogni spazio di alterità politica non può che nascere da una soggettività indipendente e conflittuale rispetto al PD e ai suoi cespugli sarebbe comunque già una cosa positiva…
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marica guazzora
Una volta si chiamava sinistra arcobaleno e ha fatto una brutta fine, se dall’arcobaleno tutto si passa ad un solo colore che è l’arancione, non la vedo proprio allegra, comunque auguri!
Questanonè Sinistra
se queste sono le prospettive di sinistra, come si dice a Bari…stiamo frecati!