Ha tutto l’aspetto di una vera e propria apartheid sociale quel modello di sanità privata che Mario Monti nega ci sia, ma che in silenzio sta avanzando come progetto strategico in Italia. Un doppio accesso, dove l’eccellenza esce dal sistema sanitario universale, quel modello che ha garantito fino ad oggi una salute pubblica, di qualità e per tutti. Ed è un vero e proprio progetto pilota quello che il policlinico Gemelli di Roma – conosciuto come un polo di eccellenza nel servizio pubblico nell’Italia centrale – sta in silenzio tessendo, gettando le basi per un nuovo servizio di assistenza dedicato solo ai redditi alti, a chi si potrà permettere di pagare assicurazioni private o interventi da migliaia di euro. Tagliando, nello stesso tempo, posti letto per il servizio convenzionato, riducendo il costo del lavoro dei medici e degli infermieri nelle corsie dove, fino ad oggi, i romani entravano con in tasca la sola tessera sanitaria.
La vera novità del piano strategico 2012-2016 si chiama «Gemelli medical center», una newco costituita senza tanto clamore, per organizzare quel soggetto che dovrà gestire l’erogazione dei servizi sanitari completamente a pagamento. Il punto di partenza, nell’analisi scaturita dal Consiglio di amministrazione, è quella fetta sempre più consistente di sanità che sfugge al sistema universale del pubblico: «Negli ultimi anni si è registrata in Italia una consistente crescita della spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie, che, in base agli elementi conoscitivi a disposizione, oggi si aggira attorno al 22% di quella complessiva (30 miliardi su un totale di 140 miliardi di euro)», si legge nel documento del policlinico Gemelli.
Cifre che confermano l’allarme di questi giorni su una privatizzazione strisciante della salute. Gli occhi di quello che i romani chiamano comunemente «l’ospedale del papa» puntano, dunque, su questa fetta particolarmente interessante per i profitti che può generare. E l’obiettivo, in questo senso, è chiaro e dichiarato: «Si evidenzia, quindi, la necessità di un’integrazione strategica tra welfare pubblico e partecipazione privata alla spesa, in un contesto in cui il cambiamento dei meccanismi di riproduzione sociale familiari e l’aumento delle aspettative degli utenti conducono a un considerevole incremento della quota di assistenza coperta direttamente con il reddito delle famiglie, che diventa sempre più variabile di interesse per istituti come il Policlinico Gemelli nella definizione del quadro complessivo dell’offerta di salute».
Il punto di partenza – nascosto nelle pieghe del corposo piano strategico – è l’avvio di una dura spending review interna. Il primo evidente taglio riguarda il personale sanitario, con una «riduzione del costo per circa 55 milioni di euro attraverso la revisione del contratto di lavoro e la riduzione complessiva dell’organico per circa 490 risorse, permessa anche da nuovi assetti operativi e dalla riduzione dell’aliquota Irap». Quindi, quasi cinquecento posti di lavoro in meno e un azzeramento del contratto di lavoro, ridiscutendo le nuove condizioni, con una riduzione – apertamente dichiarata del «costo unitario del personale medico e non medico attraverso la rinegoziazione/disdetta del contratto di lavoro (revisione di alcuni istituti contrattuali) e la riduzione degli straordinari (effetto complessivo pari a circa 17 milioni di euro)».
Nello stesso tempo il management chiederà un aumento della produttività per l’erogazione dei servizi convenzionati – quindi per la fetta che rimarrà pubblica – per un valore di 35 milioni di euro. Ad esempio l’attività ambulatoriale, nonostante i tagli del personale, dovrà aumentare del 10% rispetto alla situazione odierna. Le conseguenze per il servizio convenzionato saranno, secondo molti medici, disastrose. Già oggi molte specialità si trovano a gestire tempi di attesa lunghissimi. Situazione che è peggiorata nell’ultimo mese e mezzo dopo l’avvio della cassaintegrazione, diretta soprattutto al personale non medico, con tagli consistenti dei salari reali. La stessa richiesta di aumento della produttività viene vissuta dai sanitari come un ulteriore aggravamento della qualità finale del servizio, visto che già oggi l’indice è di gran lunga superiore ad altre strutture analoghe. Mentre la scure delle riduzioni si abbatte sul servizio pubblico, il consiglio di amministrazione dell’Università cattolica – ente da cui dipende il policlinico Gemelli punta molte carte sul futuro servizio completamente privato. L’analisi è impietosa: aumenta la parte chiesta come partecipazione economica al sistema sanitario regionale – i famosi ticket – mentre la qualità del servizio diminuisce, con tempi di attesa, soprattutto nel Lazio, che aumentano mese dopo mese.
Un fatto che «orienta il cittadino a rivolgersi al mercato privato». Il piano del policlinico della Cattolica punta alla firma di accordi con istituti assicurativi e fondi integrativi sanitari e, direttamente, ad accogliere i pazienti in grado di pagare l’intero servizio. In questi casi, i tempi di attesa per un esame o un intervento saranno brevissimi. Nel piano si specificano anche la quantità di prestazioni private che verranno erogate: quasi seimila prestazioni dermatologiche, duemila in ambito endocrinologico, cinquecento trenta interventi di chirurgia vascolare, per citare qualche esempio. Attività che renderanno, in una prima fase, 15,6 milioni di euro di fatturato, con un margine lordo di 6,3 milioni di euro.
Guardando i conti del policlinico Gemelli – che soffrono anche grazie ad un contenzioso con la regione Lazio – si percepisce che non saranno queste le cifre che potranno salvare la struttura. La scelta di aprire le porte al servizio sanitario completamente privato appare più strategica, se non ideologica, che dettata da esigenze di cassa. Se così fosse il «Gemelli medical center» sarà solo il primo passo per l’avvio di una privatizzazione radicale della sanità. Nonostante le rassicurazioni di Monti.
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