Quello che per vent’anni s’era presentato come “uomo del fare” contro il “teatrino della politica” ha mostrato ieri, con imbarazzante schiettezza, di non saper più che fare. La sua ultima “scesa in campo” rischia a questo punto di essere la mossa di un vecchio panchinaro che si alza e accenna a scaldarsi perché ha visto l’occasione di una sostituzione prima insperata, ma l’allenatore con un gesto gli fa cenno di rimettersi seduto. La prossima partita la vedrà in tribuna; se prova a rompere gli equilibri, la vedrà col sole a scacchi.
La raffica di parole sconnesse che gli è uscita di bocca su cortese “sollecitazione” del fido Bruno Vespa – non esattamente un mastino nei suoi confronti – ha avuto un solo momento di vera lucidità: «Il mio passo indietro o avanti dipende da come si sviluppano le cose. Se Monti guida i moderati io non mi candido». Peccato che già questa frase elimini, di fatto, l’importanza della sua camdidatura e persino l’accenno di campagna elettorale tutta giocata sull’antieuropeismo cui aveva dato vita nelle 48 ore precedenti. Ma come… ti presenti come campione della battaglia contro la dittatura dello spread e dei diktat tedeschi, e se gareggia anche il campione dello spread e della Troika tu gli lasci il campo, anzi, lo appoggi?
Il resto non poteva che essere un blaterare in livertà, un vaniloquio da vecchio trombone che non riesce ad abbandonare il palco mentre il pubblico, spazientito, fischia. «Non credo che Monti accetti di diventare uomo di parte o di partito, non gli converrebbe. Ma se lo ritenesse opportuno, i moderati potrebbero rivolgersi a lui, io in passato lo proposi come federatore dei moderati. In quel caso io mi occuperei della mia formazione politica». Ma ha senso pensare di tener dentro a questo insieme anche la Lega che sta dolorosamente cercando di tornare vergine cavalcando un po’ di sentimenti anti-Ue?
In un crescendo di imbarazzante confusione senile, si è detto anche disponibile a non candidarsi se Montezemolo fosse disposto ad unirsi al Pdl. Nell’attesa: «In questo momento sono io il candidato a Palazzo Chigi».
Ma non è che lo dica davvero. Infatti «Non è affatto escluso», anzi «è possibile che Angelino Alfano, che io considero il migliore protagonista della politica e una persona importante per il futuro del Paese» sia il candidato del Pdl.
Nonostante la totale sua incertezza, non ha smesso di minacciare persino l’nico teorico alleato possibile: se Maroni non accetta la proposta di alleanza e il ticket in Lombardia correndo da sola, «cadono anche le giunte di Piemonte e Veneto». Un capolavorao di tattica e diplomazia…
Per il resto ha riproposto il campionario di stronzate che gli hanno sempre precluso la piena accettazione come “statista” in Europa. Ad esempio: la magistratura è «il cancro della nostra democrazia» e «domani ai miei amici del Ppe spiegherò in maniera esplicita quella che è la situazione comatosa della giustizia italiana che è onnipresente».
Ma al di là delle sue stesse giravolte, è il muro di “vattene” a chiarire meglio di ogni altra cosa che una stagione è finita definitivamente. La Lega Nord ha chiarito che con il Cavaliere in campo sfumerebbe l’ipotesi di un’alleanza tra Pdl e il Carroccio per le politiche e per le regionali in Lombardia, ma è il più insignificante dei soggetti che gli ha voltato le spalle.
Il ministro delle finanze tedesco, l’onnipotente Wolfgang Schaeuble, protagonista del certice odierno del Partito Popolare Europeo (cui il Pdl aderisce,a Bruxelles) lo ha seppellito: «Il Governo Monti ha fatto meglio del suo predecessore». Probabile che oggi il fuoco di fila contro di lui sarà ancora più esplicito, a porte chiuse e a quattr’occhi.
Sembra dunque che sia diventato inutile anche nel ruolo di “usato finale”. La sua ricomparsa, infatti, non ha spaventato proprio nessuno, tranne quella parte di centrosinistra (Repubblica, l’Unità, parte de “il manifesto” e de Il Fatto) che non avendo idee proprie lo ha sempre adottato come “il nemico che ci costringe a stare insieme”. Ma è una parte che ormai conta zero sul piano progettuale, anche se orienta ancora discrete percentuali di elettori da sottrarre alla tentazione di votare “contro” i futuri governi della Troika. Insomma, elettori che vanno tenuti alla coda delle alleanze subordinate al Pd e quindi sottratti a possibili ipotesi alternative.
“I mercati” e le istituzioni europee, invece, hanno irriso il “ritorno della mummia”. I primi accennando appena a un’increspatura dello spread, le seconde preparando il plotone di esecuzione che oggi si esibirà al vertice del Ppe.
In ogni caso è una “liberazione”. Il dibattito politico in Italia può ora svolgersi senza più il velo offerto da un personaggio inqualificabile la cui sola presenza inquinava la possibilità di identificare con una certa chiarezza gli interessi in campo, le linee di politica economica, le modificazioni istituzionali “necessitate” dalla costruzione europea (sempre confuse con quelle motivate dalle sue esigenze “ad aziendam” o “ad personam”).
Ora la partita si semplifica: da una parte tutte le forze che si riconoscono dentro l'”agenda Monti”, anche se naturalmente si presenteranno con schieramenti parlamentari ufficialmente differenti per non lasciare troppo campo a un’opposizione politica. Dall’altra, se si troverà la forza e la chiarezza necessari a procedere, le forze (sociali, politiche, di movimento) che cominciano a lottare contro quell’agenda. La componente “confusionaria” – l’antieuropeismo reazionario, nazionalista o addirittura “regionalista” – resta affidata alla sola Lega e alla destra impresentabile.
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