Non solo i barboni ma anche molte famiglie, tanti bambini e anziani, in Italia, hanno difficoltà perfino a mangiare. Nel 2012 sono state 3,7 milioni le persone assistite con pacchi alimentari e pasti nelle mense. Solo negli ultimi due anni si sono aggiunte a questa categoria quasi un milione di persone. 923.563 per l’esattezza,, con un aumento del 33%.
È quanto emerge dal Piano nazionale di distribuzione degli alimenti agli indigenti da parte di Agea, presentato di recente. Ma ciò che preoccupa ancora di più è che tra gli indigenti che usufruiscono di questi aiuti, 100 milioni di euro all’anno stanziati dall’Europa, il 10% sono bambini e il 16% anziani. Per quanto riguarda la geografia degli indigenti che chiedono cibo si scorge che è il Sud a detenere il primato con un aumento 45%, passando dal 2010 a oggi da 416.135 poveri a 1.347.706 ed è la Campania la regione in testa, dove si registra un aumento del 56%, a seguire le isole con +40%, il centro con +25% e il nord con +24%.
Il programma europeo di aiuti agli indigenti è nato all’interno della Politica agricola comune, per fare da ponte tra l’attività dell’agricoltura europea e il mondo della sofferenza. Ma come segnala il ministro delle Politiche agricole uscente Mario Catania il programma europeo dovrebbe terminare alla fine del 2013 perchè alcuni Paesi dell’Europa – Gran Bretagna in prima fila – non vogliono che questa misura venga rifinanziata.
L’Italia sarà quindi “costretta” a battersi a Bruxelles per salvare i finanziamenti, perchè il piano per la distribuzione dei prodotti alimentari è attualmente «l’unico strumento forte in pista ma l’Europa ce lo vuole portare via».
Se dovesse fallire il tentativo, in sede di negoziato sulla Pac, il governo sarebbe obbligato a far partire uno strumento nazionale per sopperire alla mancanza delle risorse comunitarie. Ma il ministro parla di appena 10 milioni di euro l’anno, assolutamente insufficienti rispetto a un platea che nel 2013 aumenterà certamente, visto che la recessione resta la previsione principale. Naturalmente, a livello di chiacchiere, lo stesso ministro (dimissionario) afferma che potrebbero «essere attivate risorse nazionali e interventi privati» aveva detto. Probabilmente pensava alla Caritas…
La crisi si può però misurare anche con un altro indicatore. Lo scorso anno in Italia si è perso cibo per oltre dieci milioni di tonnellate, che equivale ad un valore annuale di ben 37 miliardi di euro. La stima è stata elaborata dalla Coldiretti, che segnala però una tendenza a ridurre gli sprechi da parte degli italiani. Tanto che per Natale in più di una tavola su cinque (21%) non avanzerà nulla. L’attenzione alla riduzione degli sprechi si manifesta, secondo l’indagine Coldiretti, con una spesa più oculata nel 34% dei casi, ma nella maggioranza del 62% utilizzando quello che avanza nei giorni successivi magari combinando altre ricette.
Più in generale, un terzo del cibo prodotto a livello mondiale per il consumo umano verrebbe buttato o perso, così come le risorse utilizzate per produrlo. Le perdite e gli sprechi di cibo a livello globale ammontano a quasi 680 miliardi di dollari nei paesi industrializzati e a circa 310 miliardi di dollari nei Paesi in via di sviluppo. In questi ultimi, però, la causa principale sembra essere l’insufficienza dei metodi di conservazione, stoccaggio e distribuzione.
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