Nel 2003, Saverio Tibaldi, 30 anni, uno dei capi dei Blood&Honour, la frangia più violenta e razzista del tifo di Varese protagonista anche di duri scontri con la polizia, veniva ucciso a coltellate in Spagna da un colombiano. Con lo spaccio al dettaglio di stupefacenti, Ribaldi era diventato un piccolo boss alle Bustecche, la zona di Varese dove in precedenza aveva dettato legge suo zio Franco, diventato poi “collaboratore di giustizia”. A metà anni 90, con alcune persone, quasi tutte con precedenti penali, aveva fondato il gruppo dei Blood&Honour che, facendo riferimento a simbologie di estrema destra, come croci celtiche e cori razzisti, si era reso protagonista di ripetuti atti di violenza ai danni di tifosi avversari del Varese, sia negli incontri casalinghi che in trasferta, e di scontri con la polizia.
Ma Varese, negli anni, ha accumulato una serie di pessimi episodi di razzismo sia durante manifestazioni sportive che nella vita sociale e politica della città, tanto fa far parlare di un fenomeno nazi-leghista in uno dei cuori della Lega ma soprattutto di legami tra gruppi neonati-leghisti e criminalità. “La specificità varesina – raccontano in Questura – è la netta saldatura tra tifo razzista e criminalità comune: spesso i capi del tifo sono anche i capi dello spaccio di droga in diversi quartieri della città”.
Nel marzo 2011, Vito Jordan Bosco, 35 anni, ritenuto il fondatore e il capo degli ultras neofascisti “Blood & Honour” del Varese calcio, si è costituisce con il suo avvocato al personale di frontiera in servizio presso il valico di Gaggiolo (Varese). Bosco era destinatario dal settembre 2010 di una ordinanza di custodia cautelare in carcere per traffico di hashish dall’Olanda, che poi veniva in parte rivenduto proprio ai tifosi della curva biancorossa. Secondo quanto riferisce la polizia, Bosco aveva lasciato l’Italia poco prima della emissione del provvedimento cautelare a suo carico ed era stato poi individuato dalla polizia a Guadiaro in Spagna (anche lui) dove aveva avviato una piccola attività commerciale.
Questa connessione si manifesta più clamorosamente con alcuni episodi di razzismo in occasione di eventi sportivi che si giocano a Varese. Il 7 marzo 1979 al palazzo del basket arriva il Maccabi di Tel Aviv: quando le squadre entrano in campo, dalla curva nord piovono polli e croci uncinate. Il libro “Intolleranze, cronache di una provincia lombarda 2000 – 2004”, scritto nel 2005 da Enzo La Forgia, e dal giornalista di Varesenews, Michele Mancino pubblica un lungo elenco di fatti. Ma rimanendo solo nell’ambito dei raid targati Blodd&Honour, il libro ricorda l’aggressione subita da fratelli Benhassen, calciatori di origine marocchina del Varese; l’accoltellamento di un giovane in centro città; l’esaltazione della strage di Bologna durante la partita di basket contro la Skipper; gli insulti razzisti rivolti al cestista Carlton Myers, con il ministro Bossi presente in tribuna che non alzò ciglio.
C’è poco da soprendersi, basta pensare che il Pro Patria, la squadra di Busto Arsizio (vivino Varese) con la tifoseria che ha insultato il calciatore del Milan Boateng durante una partita amichevole nei giorni di Natale, il primo giugno 2011 è stata premiata dall’ex assessore regionale allo sport, la leghista Monica Rizzi, che l’ha insignita del prestigioso premio “Rosa Camuna”, massima onorificenza concessa dalla Regione Lombardia come esempio positivo a sostegno di una squadra di calcio. La tifoseria del Pro Patria, è da tempo monitorata per le sue connessioni con un gruppo di cameratoni filonazisti – l’associazione Ardito Borgo – di cui parecchi iscritti, sono vicini a Forza Nuova, sono collegati con la Skinhouse di Bollate e con Militia Como, altri due avamposti del neofascismo in Lombardia. “Tre anni di vita quest’anno, il Borgo è considerato, di fatto, un solo corpo con gli ultrà della Pro Patria” riporta La Repubblica.
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