Hanno parlato chiaro e forte, sia il vicesegretario abituè del Bilderberg Group – Enrico Letta, nipote del più famoso Gianni – che il segretario che “odora di sinistra”, Pierluigi Bersani. Leggiamo le loro dichiarazioni, per sgombrare ogni sospetto di una possibile nostra interpretazione malevola e pregiudiziale.
«Puntiamo a vincere le elezioni – ha detto Enrico Letta – e dopo chiederemo al centro e ai montiani di sostenere il governo Bersani». Niente aperture al “quarto polo” di Ingroia, Di Pietro e alcuni partiti di sinistra: «dopo le elezioni guarderemo al Parlamento che si è creato e valuteremo le scelte da fare. Il nostro primo interlocutore saranno le liste che si sono raggruppate intorno al senatore Monti».
La conferma di Bersani arriva di lì a minuti: «Ho sempre detto, lo dico da tre anni, che intendo lavorare per un Governo dei progressisti aperto al dialogo e all’intesa con forze democratiche, europeiste, moderate che siano ostative a un revival berlusconiano e populista».
Gioco chiuso? Secondo noi sì. Inutile parlare del Movimento 5 stelle, che può ancora sperare in un mezzo successo soltanto se tiene fermo l’unico punto chiaro della sua piattaforma: da soli contro tutti. Il “quarto polo”, nonostante alcuni suoi esponenti di primo piano si sbraccino un giorno sì e l’altro pure a mostrare possibilismo verso “convergenze” postelettorali (teoricamente anti-montiane, oltre che ovviamente antiberlusconiane), sembra così destinato a diventare la prima rappresentanza parlamentare “a sinistra” del Pd e indipendentemente da esso.
Non si può però sottacere che questo destino si verificherà “suo malgrado”. Alcune forze politiche al cuo interno – come Rifondazione – sostengono con una certa chiarezza e convizione la necessità di questa indipendenza . Altri – come lo stesso Ingroia e Di Pietro – appaiono dcisamente meno entusiasti di ritrovarsi in una posizione di opposizione pura. Il cammino parlamentare successivo alle elezioni potrebbe dunque riservare qualche sorpresa e fin qui impronosticabili “salti della quaglia”.
Chi sta messo decisamente male è il povero Vendola. Il suo ticket con Bersani è al momento ferreo, soprattutto per sua scelta. Ma il futuro postelettorale sembra assai meno certo. Non passa giorno che i giornali “montiani” – quelli della Confindustria più “europeista”, come IlSole24Ore e il Corriere – non riportino stime, sondaggi, scenari e calcoli basati su un’unica variabile: fare a meno dei vendoliani e arrivare a un governo di soli Pd e “montiani”.
Le incognite sono riferite tutte al risultato del Senato, dove una maggioranza Pd-Sel è al momento da escludere, mentre alla Camera i possibili 40 seguaci di Nichi sarebbero agevolmente rimpiazzabili con la squadra raccogliticcia messa insieme dal premier uscente, Casini, Fini e Montezemolo.
Se questo è lo scenario preferito nell’Europa che conta, allora nemmeno una subalternità totale di un pezzo di “quarto polo” sarebbe sufficiente a farsi prendere in considerazione come “alleato”. Perché persino Vendola, a quel punto, sarebbe rigettato nella terribile condizione dell’oppositore che non voleva esserlo.
Il risultato elettorale, specie dopo queste ultime “rassicurazioni” fornite dai vertici del Pd, ci sembra di evidenza solare: vada come vada, si proseguirà con un governo “montiano” nel programma e nelle modalità di gestione (“ascoltiamo tutti, ma decidiamo noi, il consociativismo è morto”). Con o senza l’uomo di Goldman Sachs, che a quel punto diventerebbe il primo candidato per sostituire Napolitano al Quirinale.
L'”invasione della Troika” c’è stata 14 mesi fa; le “forze occupanti” non prevedono di togliere le tende prima di aver concluso il loro lavoro, che peraltro si prospetta di durata ventennale. Possibile che tutta questa folla di aspiranti “utilizzatori finali” di una poltrona parlamentare non ascolti quello che Monti, il Pd, l’Unione europea, il Fondo mentario internazionale, la Bce e persino Berlusconi dicono tutti i giorni?
Scusateci, è vero: non c’è peggior cieco di chi non vuol riconoscere una realtà sgradita. E non compresa…
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