In particolare, la Corte ha condiviso le conclusioni cui erano giunti i giudici d’appello il 13 novembre 2012, i quali avevano evidenziato che l’imputato in questione aveva fatto parte di un «nutrito gruppo di facinorosi, impegnati in una violenta aggressione nei confronti delle forze dell’ordine», e che era stato«individuato mentre, rimasto isolato, lanciava ancora un sasso all’indirizzo degli agenti».
La Suprema Corte ha poi ritenuto di escludere qualsiasi possibilità di concedere all’imputato l’attenuante dell’«avere agito per suggestione di una folla in tumulto» stante l’esistenza di fotografie che testimoniavano come il giovane avesse lanciato anche un tubo incendiario per danneggiare un blindato della Polizia.
Sempre con riguardo all’attenuante in questione – osservano i giudici – essa «è configurabile allorché ricorrano tre presupposti:
1) una moltitudine di persone addensate in un determinato luogo e agitate da passioni che determinino uno stato di eccitazione violenta collettiva;
2) la presenza, in mezzo alla folla, del soggetto agente che non abbia avuto, in precedenza, intenzione di commettere l’illecito;
3) un nesso di causalità psichica tra la suggestione emanata dalla folla e la condotta illecita»;
Solo in presenza di queste 3 condizioni potrà aversi la scriminante di cui all’art. 62, n.3 c.p.
Tuttavia, questi presupposti non sono ravvisabili nel caso in questione poiché l’imputato è stato «chiaramente notato dagli operanti mentre, insieme ad un nutrito gruppo di giovani, poneva in essere un vero e proprio attacco armato, mediante l’uso di picconi, spranghe, sassi e sanpietrini, nei confronti delle forze dell’ordine» e proseguì tale condotta anche quando «rimase isolato dagli altri componenti del gruppo».
In altre parole, l’imputato avrebbe tenuto una condotta che non costituisce affatto l’effetto della concomitanza di plurime e separate iniziative di singoli soggetti, bensì il prodotto di una azione concertata tra i violenti che avevano già deciso la strategia per gli attacchi alle forze dell’ordine.
Ma è lecito chiedersi se è giusto condannare qualcuno rispolverando il codice Rocco del 1930, e soprattutto il reato di devastazione e saccheggio?
Non un caso, che con l’avanzare della crisi economica e l’aumento delle lotte, e con una classe politica totalmente sorda alle richieste della piazza, si contano dal 2001 ad oggi, 11 sentenze definitive per i reati di devastazione e saccheggio, compresa quella per i fatti di Genova 2001, a cui vanno aggiunte 7 persone condannate in primo grado a 6 anni di reclusione per i fatti accaduti il 15 ottobre 2011 a Roma, mentre per la stessa manifestazione altre 18 sono ora imputate ed è in corso il processo.
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