Le stesse persone – o come le vogliamo chiamare – che hanno obbedito agli ordini di un ambasciatore kazako accampatosi negli uffici ai piani alti del Viminale hanno rovesciato tutta la propria residua capacità di “fermezza dello Stato” contro 500 manifestanti in Val Susa. Lo scarto è incommensurabile e dà la misura del livello “bassino” – o come lo vogliamo chiamare – di come venga intesa, negli apparati ma soprattutto nell’esecutivo, la qualità dell’essere Stato: un manganellatore del dissenso, ma con le brache calate davanti ad “interessi superiori”.
La cronaca degli scontri nella notte tra venerdì e sabato è ormai nota. Ci soffermiamo oggi sulle “reazioni” – sia dei politici che dei media – per evidenziare le modalità della “costruzione del nemico”. Il quale, visto il livello della dignità del potere, deve naturalmente essere piuttosto piccolo. Ma ciò nonostante risulta incomprimibile.
Abbiamo scelto qui quattro articoli dai giornali di oggi per dare plasticamente la ben scarsa articolazione degli argomenti. Diciamo che il “pluralismo”, in questa sequenza, è ormai scomparso. Come se al governo delle “larghe intese” corrispondesse un messaggio mediatico totalitario; ripetuto però da diverse fonti per dare, appunto, l’impressione della “varietà” e restituire il senso di un “coro”. Di condanna.
Gli abitanti della Val Susa e gli attivisti solidali che ne condividono la lotta vengono dipinti come un mostro violento, anche quando – come in questo caso – la “battaglia” era stata chiaramente preparata da parte delle forze militari di occupazione posizionate in valle (basta leggere i ricorrenti accenni al “cambio di strategia” messo in atto dal Viminale). Per di più, stavolta si sono posizionati in campo aperto anche due magistrati della Procura di Torino, cancellando di fatto anche la pretesa formale di “terzietà” che la magistratura inquirente dovrebbe rappresentare rispetto ai fatti.
Due parole in merito vanno spese. Che uno o più magistrati partecipino a perquisizioni e arresti è normale. Ma si tratta per l’appunto di “operazioni di polizia” che concludono un percorso di indagine su un reato consumato e constatato un certo tempo prima. La presenza dei magistrati in Val Susa è invece palesemente “preventiva”. Il “reato” ancora non c’è, ma potrebbe “ragionevolmente” verificarsi (la manifestazione No Tav era stata annunciata una settimana prima); quindi vanno sul campo – protetti ovviamente da quelle stesse “forze dell’ordine” che dovrebbero invece essere uno dei tanti soggetti implicati nella possibile commissione di “reati” (con la storia che abbiamo alle spalle in Italia, non è affatto un pregiudizio pensare che il comportamento di piazza degli agenti, per non parlare di quel che avviene in commissariati e caserme, possa configurarsi come reato anche gravissimo; dalla tortura all’omicidio).
Insomma: i “magistrati combattenti” non sembrano il massimo quanto a verifica puntuale e imparziale delle violazioni di legge. Ma questa è la scuola di Giancarlo Caselli, dagli anni ’70 in poi. E Rinaudo è certamente uno dei più longevi “militanti” di questa particolarissima interpretazione del ruolo inquirente. “Toghe di polizia”, prolungamento giudiziario del potere esecutivo al pari di quello poliziesco, non certo le temute “toghe rosse” di cui parla sempre Berlusconi.
Basta dare una scorsa al Giornale, del resto, per vedere che contro i No Tav non ci sono differenze apprezzabili tra la Procura di Torino e i gazzettieri del Cavaliere. Né con i vertici del Partito democratico. Lo scomposto deputato Stefano Esposito, casualmente esponente del Pd (anche se parla come Borghezio) batte tutti: “E’ sempre più chiaro come l’opposizione al treno – aggiunge – non c’entri più nulla con le violenze messe in campo da questi delinquenti, la loro è una battaglia allo stato e come tale va repressa, senza esitazione alcuna”. Arrivando persino a chiedere arresti mirati: “Mi chiedo come mai Francesco Richetto, vero mandante reo confesso dell’assalto di questa notte, possa rimanere a piede libero in un paese come l’Italia. Se vogliamo debellare questa forma di guerra allo Stato dobbiamo “decapitare” i mandanti politici e le organizzazioni che li sostengono”. Chissà se ha già pronta la scimitarra talebana per eseguire le “decapitazioni” che gli attraversano la mente…
Ovviamente sullo stesso fronte anche il quotidiano di casa Fiat, che ci fa il dubbio onore della citazione tra i media del “campo avverso”. Leggeteci pure, potreste imparare qualcosa. Su come fare giornalismo dignitosamente, magari.
In nessun articolo, tra le centinaia che abbiamo censito, si fa il minimo cenno al “merito” della vicenda Tav. Nessuno si chiede se l’opera abbia mai avuto una prospettiva di utilità sociale od economica, a parte l’ovvio guadagno per le imprese che la costruiscono. Specie ora che la Francia ha rinviato al 2030 – al duemilatrenta! – ogni decisione sul completamento del tunnel dalla propria parte.
Nessuno si chiede, insomma, perché mai “lo Stato” dovrebbe schierare migliaia di uomini, spendendo cifre non certo irrilevanti, per “difendere” un cantiere che non serve a un tubo, in cui si fa finta di costruire un tunnel che non porterà – per i prossimi venti anni almeno – da nessuna parte; per un traffico merci che non esiste oggi e non esisterà nel prevedibile futuro (già ora, sulla linea di Modane, che attraversa la Val Susa sul versante di Chiomonte, il traffico risulta in progressiva diminuzione da oltre un ventennio).
Nessuna domanda. Soltanto un “nemico”, i residenti resistenti e che porta loro la propria solidarietà restituendo a questo paese il senso di una dignità che, ai piani alti dei palazzi del potere, sembra definitivamente scomparsa. Se mai vi è passata attraverso.
Pm in trincea a Chiomonte: “Vogliamo vedere di persona”. Minacce dagli antagonisti
Beppe Minello
TORINO
Pm in trincea. L’insolita presenza a Chiomonte, l’altra notte durante gli scontri, dei procuratori Andrea Padalino e Antonio Rinaudo che da dicembre seguono le inchieste penali legate al cantiere Tav, ha scatenato le proteste del movimento. Accanto, ma non «con» le forze di polizia impegnate ad affrontare i manifestanti più violenti («Ci mancava solo che dovessimo preoccuparci anche della loro incolumità» è la battuta nei corridoi della Questura), hanno vissuto sulla loro pelle «ciò che ogni volta subiscono poliziotti e carabinieri: un’esperienza paragonabile alla guerra e che dovrebbero fare in molti, soprattutto quelli che giudicano in punta di penna e di diritto, come molti colleghi e anche tanti giornalisti» è il commento che si raccoglieva ieri a Palazzo di Giustizia. Dove, resisi conto che la dichiarata presenza dei due pm durante gli scontri – ché non è certo la prima volta che sostituti procuratori partecipano, ad esempio, ad arresti e perquisizioni – sta rendendo ancora più esplosiva una situazione già pesantissima di suo, preferiscono non commentare.
Commenti che, invece, piovono, ad esempio, dai social network dove in un post di Facebook si legge: «Se c’è ancora chi crede che esista una risoluzione “democratica” e “pacifica” al conflitto, dove per democrazia e pacifismo si intende farsi menare da uomini in divisa e subire condanne da magistrati che banchettano allegramente con essi durante i pestaggi, o è male informato o un subdolo imbonitore delle masse. Lo schifo ha superato ogni limite ma è necessario reagire». «Magistrati politicizzati» o «embedded» spuntano invece su Twitter. Padalino e Rinaudo, sul sito comunista «Contropiano», sono stati indicati come i «capi» di un pool capace di iniziative «mirate a disarticolare in maniera quasi definitiva» il movimento No Tav. Capi o meno, Rinaudo e Padalino da dicembre sono i destinatari di tutti i fascicoli relativi alle violenze attorno al cantiere di Chiomonte: da quelle dell’8 dicembre a quelle di febbraio, del 13 maggio e, ovviamente, dell’altra notte. Quindi, volersi rendere conto di persona di ciò che accade quando i manifestanti attaccano reti e cantiere potrebbe, forse, ragionevolmente essere addebitato come un merito. E in Val di Susa non è la prima volta.
Padalino c’è chi lo ricorda in elicottero sopra Tossic Park, in passato una piaga per Torino dove si spacciava e delinqueva, a valutare la situazione con l’antidroga oppure presente alle perquisizioni nella casbah attorno alla stazione di Porta Nuova. Rinaudo, dall’alto dei suoi 65 anni di triatleta e per questo motivo portati alla grande, partecipava, negli Anni 80, alle perquisizioni nei covi Br. Nulla di strano quindi, sottolineano gli investigatori, e men che meno di illegale nella loro presenza al cantiere Tav durante le violenze: «Violenze altamente ipotizzabili ben prima che scoppiassero realmente: i due pm sono accorsi per capire». Nella tarda serata di venerdì, ad esempio, attraverso un take di agenzia, il senatore Esposito, fiero avversario dei No Tav, denunciava la presenza di «antagonisti nei boschi di Chiomonte». «Andranno a funghi?» si chiedeva con un’ironia forse fuori luogo. Come s’è visto, e come hanno potuto osservare Padalino e Rinaudo, non volevano andare a funghi. I due pm hanno potuto osservare giovani marciare pacificamente per poi cambiarsi d’abito dietro gli alberi, e così rendere difficile il successivo riconoscimento, e attaccare. Con tutto e di più: «Anche bazooka artigianali per “sparare” fuochi che di artificiale hanno solo il nome». Un paio di essi hanno quasi colpito i due magistrati, rimasti impressionati dalla drammaticità della situazione: «Ci vuole coraggio ad affrontare tutto questo».
da La Stampa
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Val Susa palestra dei violenti d’Europa
RomaVal di Susa «palestra per i violenti di tutta Europa». L’altra notte erano in tanti, più di quattrocento in tutto ma divisi in gruppetti. Prima incendiano copertoni lungo l’autostrada Torino-Bardonecchia e la galleria di Giaglione invasa dal fumo viene chiusa. Poi verso mezzanotte, incappucciati o coperti da maschere antigas e caschi, assaltano il cantiere della Tav di Chiomonte in Val di Susa. Si coprono dietro grandi scudi bianchi e lanciano bombe carta, razzi, pietre e petardi contro le reti. Inizia la guerriglia con la polizia che esce dal cantiere e respinge gli incappucciati nel bosco. Al mattino il risultato di questa folle notte di violenza è un bollettino drammatico: 9 fermati, 15 i feriti tra le forze dell’ordine che hanno ricostruito così gli scontri. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, respinge le intimidazioni. «Lo Stato non si ferma neanche di fronte ad attacchi di pura guerriglia come quelli del cantiere di Chiomonte – assicura Alfano – Episodi gravissimi che non possono definirsi manifestazioni di dissenso ma veri e propri attacchi mirati alle forze dell’ordine».
Ma che cosa sta succedendo in Val di Susa? Per la Digos di Torino non ci sono dubbi: da qualche mese c’è stato il salto di qualità. «Quella della scorsa notte è stata violenza allo stato puro – dice il dirigente Digos di Torino, Giuseppe Petronzi – Questi non si presentano per manifestare un’idea. Arrivano travisati ed attrezzati per commettere atti criminali». Non si tratta più soltanto di gente del posto. Molti sono stranieri che «benché appartenenti ad ideologie e movimenti diversi, sono ben disposti a dare una mano quando è il momento di confliggere». Dunque conclude Petronzi, «di fronte a questo crescendo di violenza stiamo modulando la nostra strategia operativa». La Val di Susa, denuncia il segretario generale provinciale del sindacato di polizia Siap, Pietro Di Lorenzo, «è considerata la palestra per i violenti di tutta Europa che si sono dati pubblico appuntamento, presentandosi armati di molotov, razzi e bombe carta intenzionati a fare del male e tutto ciò in Italia viene permesso da due anni». Una denuncia pesante contro la politica quella di Di Lorenzo, che chiede «perché lo Stato sperpera una somma di denaro enorme per difendere un cantiere minacciato da una manciata di violenti senza prendere decisione drastiche per fermarli». Duro anche Silvio Viale, presidente dei Radicali e consigliere comunale a Torino. Per Viale i guerriglieri anti Tav «cercano il morto per bloccare il cantiere ad ogni costo». Sette dei 9 fermati sono stati arrestati. Due appartengono all’area anarchica: Luke Molina di Trento, 23 anni, e Marcello Botte, 24, di Potenza. Tra gli antagonisti il figlio di un magistrato piemontese, Edoardo Ennio Donato, 29 anni; Matthias Moretti, 27, e Piero Rossi, 56, di Roma. L’arresto dei romani ha scatenato la protesta dei centri sociali della capitale che ieri hanno bloccato piazzale Tiburtino con un sit-in.
I militanti No Tav non mollano. Accusano le forze dell’ordine di aver alzato il tiro e parlano di «trappola». Denunciano 63 feriti tra loro, un’attivista pisana accusa i poliziotti di averla palpeggiata e malmenata. Ma soprattutto nel mirino finiscono due magistrati, accusati di essere stati presenti durante la notte degli scontri nel cantiere. Magistrati che hanno ricevuto minacce via web. Sono Antonio Rinaudo e Andrea Padalino che hanno preso in mano i fascicoli sui No Tav. Sui social network corrono commenti sulla «magistratura embedded» che farebbe parte di un «disegno repressivo ben congegnato». E oggi un gruppo di amministratori della valle vicini ai No Tav proveranno a violare la «zona rossa» intorno al cantiere di Chiomonte.
da Il Giornale
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No Tav, in 400 attaccano il cantiere. Alfano e Lupi: «Lo Stato non si ferma»
Elisa Sola
Ancora una notte di tensione al cantiere della Tav di Chiomonte, in Val di Susa. Prima un incendio sull’autostrada Torino-Bardonecchia. Poi l’assalto. Bombe carta, razzi, pietre e petardi lanciati contro le reti. Una battaglia di esplosivi. Nove i manifestanti fermati, tra cui anche una donna. Più alto il numero di feriti: 15 soltanto tra le forze dell’ordine. Si tratta di sette poliziotti, sette carabinieri e un soldato. Ci sono anche alcuni feriti tra i fermati. Nessuno è grave. Dei 9 fermati, sei sono stati arrestati per resistenza e violenza a pubblico ufficiale aggravata. C’e’ anche il figlio di un giudice piemontese: Edoardo Ennio Donato, 29 anni. Gli altri sono Molina Luke, di Trento, 23 anni, Matthias Moretti di Roma, 27, Gabriele Tomasi, milanese di 18 anni, Piero Rossi, romano di 56 e Marcello Botte, di Potenza, 24 anni. Un’altra attivista, residente a Pisa, di 33 anni, è stata denunciata per il reato di resistenza a pubblico ufficiale in concorso.
A MEZZANOTTE – È quasi mezzanotte quando oltre quattrocento incappucciati armati di scudi bianchi, caschi e maschere attaccano il cantiere dell’alta velocità. Avanzano nel buio, nei boschi. Sono divisi in più gruppetti, che hanno percorso sentieri diversi da Giaglione, il punto di ritrovo, perché la tattica stabilita è quella di «disperdere la polizia». Dalla galleria autostradale all’altezza di Giaglione, tirano sassi contro i carabinieri che marciano contro di loro per respingerli, mentre l’autostrada ancora brucia. In fiamme i copertoni a cui i manifestanti hanno dato fuoco. Attaccare in più fronti, contemporaneamente, con qualsiasi cosa prenda fuoco. La strategia è chiara. E la polizia lancia lacrimogeni per disperderli. Sono centinaia le forze dell’ordine che presidiano i diciannovemila metri quadrati di area di scavo immersi nei boschi della Val Clarea, tra alture, saliscendi e rocce da perforare.
L’INIZIO – La manifestazione dei No Tav è iniziata alle 21, con l’afflusso a Giaglione, il punto di ritrovo da cui parte il sentiero. Poi è partita la marcia attraverso i boschi. Il gruppo si è diviso in più frange a metà percorso, ognuna ha percorso una via diversa per attaccare il cantiere in almeno la metà dei suoi 13 varchi. Sono arrivati non solo valligiani, ma autonomi, anarchici, esponenti dei centri sociali. Da Torino, Roma, Rovereto, dalla Francia.
A VISO COPERTO – Almeno duecento gli «incappucciati» con il viso coperto, armati di zaini carichi e maschere antigas. Altri 175 «sospetti» secondo la questura sono stati identificati prima che calasse il sole, lungo le strade della Val da Susa, durante controlli mirati e organizzati da ieri. Quattordici di questi sono stati portati in questura perché trovati con maschere, caschi e «oggetti atti al travisamento». I più giovani sono arrivati dal campeggio No Tav allestito a Venaus, paese a pochi chilometri di distanza all’inizio scorso, allestito dai primi giorni di luglio. Chi tra le forze dell’ordine lavora ai servizi informativi se lo aspettava, che quella di questa sera sarebbe stata una notte di fuoco.
L’ORGANIZZAZIONE IN RETE – Il tam tam dei movimenti antagonisti, che comunica molto attraverso la rete, anche al di fuori di canali ufficiali, ha attirato in valle anarchici da tutta Italia e da oltre le Alpi. Lo stesso movimento No Tav aveva lanciato la marcia di questa sera con particolare «convinzione», per dare un segnale, dopo i numeri bassi delle ultime manifestazioni. Tutti segnali d’allerta che hanno portato al presidio del cantiere da parte di centinaia di forze dell’ordine. Poliziotti, carabinieri, finanzieri e membri dell’Esercito, piazzati anche fuori dalla reti, appostati nei punti migliori per l’avvistamento nei boschi.
AUMENTA LA TENSIONE – A contribuire ad alzare la tensione, è stata anche la sentenza di condanna a otto mesi inflitta nel corso della mattinata dal tribunale di Torino a un’anarchica No Tav, Marianna Valenti. Era accusata di resistenza a pubblico ufficiale per un’irruzione con altri anarchici a uno degli uffici di esecuzione sfratti a Torino. Ma era diventata uno dei «simboli della lotta No Tav» da quando era stata arrestata proprio fuori dal cantiere di Chiomonte durante una manifestazione notturna No Tav nel settembre del 2011. Al Palagiustizia ad ascoltare la sentenza di prima mattina sono accorsi oltre duecento antagonisti. Non solo italiani. Pronti per salire in Valle durante la serata.
CAMBIO DI STRATEGIA – rispetto a tutti gli episodi di «guerriglia» avvenuti al cantiere dal 2011, anno in cui e’ stato costruito, le forze dell’ordine hanno cambiato strategia: sono uscite dalla reti del cantiere «venendo incontro» ai manifestanti, dopo che era partito il lancio di molotov, anziché restare dentro o nei pressi delle reti come avvenuto nei mesi e negli anni scorsi Questa tattica ha fatto sì che gli scontri avvenissero nei boschi e che poco dopo un’ora dal tiro del primo razzo – quindi dall’inizio degli scontri – venissero fermati una decina di «incappucciati». La protesta si è conclusa prima delle 4 del mattino.
REAZIONI – «Lo Stato non si ferma e non consente alcuna forma di intimidazione», scrive in una nota il ministro dell’Interno Alfano. «Lo Stato non si ferma neanche di fronte ad attacchi di pura guerriglia come quelli avvenuti questa notte al cantiere Tav di Chiomonte». Un commento è arrivato anche dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi : «La risposta delle istituzioni all’inaccettabile attacco di questa notte contro la Tav sarà decisa e ferma come quella delle forze dell’ordine, alle quali va tutta la mia solidarietà e il mio plauso». «La Tav – ha sottolineato il ministro – «è un’opera strategica per l’Italia e per l’Europa decisa democraticamente e lo Stato non indietreggerà di un millimetro dalla sua difesa e dalla volontà di realizzarla».
dal Corriere della Sera
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Assalto al cantiere della Tav
M.Mor.
CHIOMONTE
Nuovo assalto, nella notte tra venerdì e sabato, al cantiere Tav di Chiomonte (Alta velocità Torino-Lione), in Valsusa. Il bilancio finale è di nove attivisti fermati, 16 agenti contusi e l’autostrada A32 Torino-Bardonecchia bloccata per alcune ore per un incendio. Tra i militanti No Tav si conterebbero 63 feriti e decine di contusi. Fulminea la risposta del Governo. «Lo Stato non si ferma, il cantiere va avanti» scrive in una nota il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che parla di «episodi gravissimi che, per modalità e violenza, non possono definirsi manifestazioni di dissenso, ma sono dei veri e propri attacchi mirati alle forze dell’ordine». Interviene anche il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi: «I tentativi di guerriglia, una sorta di assurda campagna estiva, di un movimento che non sembra aver più ragioni se non la violenza cieca, non hanno futuro. La Tav – afferma Lupi – è un’opera strategica per l’Italia e per l’Europa decisa democraticamente e lo Stato non indietreggerà di un millimetro dalla sua difesa e dalla volontà di realizzarla».
Gli scontri e gli arresti
I primi segnali di guerriglia si sono avuti quando, a cavallo della mezzanotte tra venerdì e sabato, circa 400 antagonisti No Tav incappucciati hanno preso d’assalto il cantiere lanciando razzi, bombe carta e pietre all’altezza del varco 8. Altri gruppetti hanno preso di mira ulteriori punti del cantiere Tav di Chiomonte. L’autostrada A32 Torino-Bardonecchia è stata chiusa al traffico in direzione del capoluogo piemontese nella zona della galleria di Giaglione (Torino), dove alcuni attivisti del movimento hanno bruciato dei copertoni rendendo il tunnel inagibile. I carabinieri sono intervenuti in forze per respingere i dimostranti e spegnere gli incendi. Gli scontri si sono protratti per oltre un’ora e mezza. I manifestanti si sono poi dispersi tra la boscaglia. Al blitz hanno assistito, a fianco delle forze dell’ordine, i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo. Tra i nove attivisti fermati, sette sono gli arrestati (per i reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale aggravata) e due i denunciati da polizia e carabinieri. Degli arrestati, due sono di area anarchica: Luke Molina, 23 anni di Trento, e Marcello Botte, 24 anni, residente a Potenza. Arrestato anche Ennio Donato, 29 anni, abitante a Ivrea (Torino), figlio di un giudice piemontese.
Le armi
I No Tav, precisa la Questura nelle prime ore di ieri, sono stati comunque mantenuti lontano dalle recinzioni del cantiere. Durante le operazioni di bonifica dei boschi, dopo i disordini, sono stati trovati residui di molotov, grossi petardi, razzi da segnalazione, bulloni, fionde, mazze, un’ascia, maschere antigas, cappucci, caschi, sacchetti di pietre, anche all’interno di zaini, scudi artigianali, abbandonati dagli attivisti durante la fuga. L’autostrada A32 Torino-Bardonecchia è stata bonificata e riaperta dopo alcune ore. «Dopo i nuovi incidenti è ormai chiaro che la Valsusa è considerata una palestra per violenti di tutta Europa», commenta Pietro Di Lorenzo, segretario generale provinciale del sindacato di Polizia Siap. Oltre ai nove fermati, tra venerdì e la giornata di ieri polizia e carabinieri hanno identificato 175 persone sospette lungo le strade della bassa Valsusa. Molte di queste, provenienti anche da altre città italiane, erano già note ai servizi info-investigativi per aver partecipato a manifestazioni No Tav.
da IlSole24Ore
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