Di segnali negli anni e nei mesi scorsi ce n’erano stati molti. Il movimento/azienda creato da Beppe Grillo e dalla Casaleggio Associati non è né un movimento democratico, né innovatore né tantomeno ‘antisistema’. È un sapiente esperimento di marketing politico basato su pochi ma efficaci presupposti: rigido controllo da parte dei due boss, mancanza di strutturazione interna e di possibilità di incidere sulla linea da parte degli aderenti o dei parlamentari, nessuna identità ideologica che permetta di prendere voti da destra e da sinistra; elenco di punti programmatici spesso di buon senso senza che però si arrivi mai ad una proposta compiuta, ad una visione organica della società e dei cambiamenti da realizzare. Certamente l’irruzione del Movimento Cinque Stelle in parlamento ha avuto il pregio di spezzare un bipolarismo artificiale e opprimente che la sinistra, anche nella versione presuntamente radicale, non ha mai saputo e voluto rompere, accodandosi sempre al centrosinistra in nome di un antiberlusconismo che non ha mai avuto senso, e men che meno da quando il PD e i suoi cespugli hanno cominciato a governare insieme al ‘nemico pubblico numero uno’. Ma il recente incidente sul reato di clandestinità ha rivelato che Grillo e Casaleggio non tollerano alcun cambiamento di rotta rispetto ai propri programmi: sanno che l’elettorato medio, in particolare quello di centrodestra in libera uscita dopo la crisi strategica del Pdl e del berlusconismo, è assai sensibile ai discorsi contro l’immigrazione. E non accettano che qualche senatore o deputato troppo intraprendente faccia perdere preziosi consensi a destra in un momento delicato come questo. L’ordine agli eletti è di tenersi lontani dalla politica, di evitare di prendere posizione, di non uscire mai dall’ambiguità del ‘né destra né sinistra’; a decidere per loro deve essere solo la punta della piramide, che si appoggia ad una democrazia digitale che mobilita poche migliaia di fedelissimi attivisti digitali pronti a votare ogni volta il plebiscito. Grillo vira a destra dunque. E non saranno le sacrosante battaglie di alcuni dei suoi eletti a cambiare di segno la sterzata reazionaria del movimento Cinque Stelle. Mesi fa ad un dirigente di Casapound Grillo disse che “l’antifascismo non lo riguardava”. Poche settimane fa ad un giornalista che chiedeva a due eletti dell’M5S cosa pensassero della Bossi-Fini i due pentastellati risposero che non ne avevano idea, visto che ‘non si occupavano del tema in parlamento’. E’ ora che i deputati e i senatori antifascisti eletti dal M5S, se ci sono, escano allo scoperto.
Di seguito alcuni interessanti articoli degli ultimi giorni sulla vicenda.
Beppe Grillo fotocopia di Marine Le Pen
Alessandro Dal Lago – Il Manifesto
La sconfessione dei senatori del M5S da parte della ditta Grillo & Casaleggio non ha nulla di sorprendente. Invece, quello che lascia di stucco è l’ingenuità di quelli che pensano che Grillo sia un vendicatore di torti e un difensore dei diritti dei deboli, compresi i poveri migranti. I seguaci che oggi si indignano con il capo ignorano l’assoluta coerenza di Grillo sulla questione. Nel 2007 parlava dei «sacri confini della patria» violati dai Rom. In seguito, si è espresso contro la cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia. Poi, tempo fa, ha detto che «i veri extracomunitari siamo noi». E oggi, ecco la presa di posizione sulla clandestinità. La spiegazione di questo indurimento progressivo, ma lineare, si chiama Marine Le Pen.
Proprio come Grillo non vuole essere confuso con la sinistra, lei non vuole essere chiamata di estrema destra. Per entrambi, l’opposizione all’«invasione» crea rosee prospettive elettorali. Marine Le Pen è in testa nei sondaggi in Francia. E Beppe Grillo sa che il contrasto dell’immigrazione è un tema popolare non solo nell’elettorato del Pdl e della Lega, ma anche in una parte di quello del Pd, per non parlare della massa dei non votanti. Grillo l’ha detto brutalmente ai suoi senatori: «Se avessimo messo l’abolizione del reato di immigrazione nel nostro programma avremmo ottenuto percentuali da prefisso telefonico». D’altronde, su questo tema, la destra ha vinto in Norvegia, come già in Danimarca e Austria. E in Francia la «sinistra» si allinea, al punto tale che il ministro degli interni di Hollande fa di tutto per scavalcare a destra Marine Le Pen.
E così, in Italia, si assiste a un’alleanza, per nulla sorprendente, tra Grillo, Alfano e Bossi. E lo stesso avverrà, probabilmente, sulla questione dell’amnistia. L’attacco di Grillo a Napolitano e la fesseria dell’impeachment sono mosse calcolate per smarcarsi dal «lassismo» di cui avrebbe dato prova il centro-sinistra (un lassismo del tutto immaginario, anche se agitato polemicamente dalla destra, visto che sia il contrasto dell’immigrazione, sia l’infernale degrado del sistema carcerario vanno imputati anche al centro-sinistra).
E intanto le barche affondano. Noi saremo anche anime candide, ma in questo speculare sulle centinaia di morti – come fanno Alfano, Grillo e Bossi – c’è qualcosa di indicibile, per cui non si possono trovare parole adeguate. Quattrocento morti sul tavolo delle prossime elezioni. Ma non solo sono i politicanti a speculare. Giorni fa un conduttore di un famigerato programma radiofonico ha detto che gli annegati conoscevano benissimo i rischi che correvano. Anche i bambini? Anche le partorienti? E i vecchi? E quelli che sarebbero comunque morti di fame in Eritrea, Somalia, Siria, Libia e così via? Tutti consapevoli dei loro rischi e responsabili della loro morte, come vuole l’ignobile ideologia individualistica che ci governa?
Ed ecco che l’unica proposta che sembra mettere d’accordo tutti è intensificare i pattugliamenti. Geniale. Così i disgraziati potranno morire di sete nel deserto, invece che in mare. E già ci immaginiamo i solerti servizi segreti europei negoziare con le bande libiche dei Centri di internamento ben lontani dalle coste, sorvegliate dalle marine di mezzo mondo. E non uno in Europa, dico non uno, che si sforza di immaginare una soluzione diversa dal pattugliamento, dall’internamento, dai fili spinati.
In tutto questo, lo confesso, la presa di posizione di Grillo mi è sembrata una ventata d’aria fresca. Perché finalmente fa chiarezza su un movimento non solo eterodiretto dal comico e dal suo guru, ma anche strutturalmente populista. Questione dell’immigrazione e questione delle carceri sono la cartina di tornasole per stabilire che cosa è il M5S. Non conta più se tanti di sinistra vi aderiscono in buona fede. Perché «ognuno vale uno» solo se è bianco, cittadino e incensurato. Ogni altro vale nulla e non è nessuno.
La «rivolta» dei senatori grillini non c’è mai stata
Giuliano Santoro – Il Manifesto
Adriano Zaccagnini, deputato fuoriuscito dal «Movimento-Azienda»: il disagio interno esiste, ma domina la paura
È stata una giornata delicata, quella che del day after del Movimento 5 Stelle. Dopo la pubblica umiliazione dei senatori del Movimento 5 Stelle colpevoli di aver proposto l’abrogazione del reato di clandestinità, Beppe Grillo e Casaleggio hanno pensato di rassicurare i simpatizzanti, divisi come poche altre occasioni, pubblicando sul sito del comico un articolo col quale il pittoresco professore Paolo Becchi chiede l’impeachment per Giorgio Napolitano. Il presidente della Repubblica viene accusato di di aver «violato la Costituzione» e di sostenere l’amnistia e salvare Berlusconi. Serve a radunare le truppe virtuali indicando una minaccia e, meglio ancora, individuando un nemico.
Nelle faccende del Movimento 5 Stelle la strategia comunicativa viene prima di quella politica. Ecco perché i responsabili della comunicazione dei gruppi alla Camera e al Senato Nicola Biondo e Claudio Messora, incoronati nelle stanze milanesi della Casaleggio associati, hanno fatto di tutto per abbassare i toni e non fare trasparire dissensi dalla riunione dei gruppi parlamentari che è seguita alla querelle sui migranti. Hanno raccontato una riunione «serena» e parlato della richiesta di incontro con Grillo nella speranza di arrivare ad un «chiarimento». Ancora in queste ore, dagli account Twitter e Facebook dei parlamentari rimbalzano esclusivamente i contenuti che provengono dalla casa madre Beppegrillo.it: nessuno, nel partito della «democrazia digitale», imbraccia la tastiera per dire la sua sul caso del giorno e magari dialogare con la base. I fedelissimi di solito autorizzati a parlare in televisione come il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, l’emergente deputato Alessandro Di Battista, l’ex capogruppo al Senato Vito Crimi hanno sostenuto, seppure a fatica, la linea dell’ortodossia. Tuttavia, non si puo negare che dalla riunione dell’altroieri sera sia emerso spaesamento e che le ragioni dei (pochi) critici non si siano rafforzate. Ma ciò non significa che sia in atto una «rivolta» tra gli eletti pentastellati. Blogger e commentatori dell’universo grillino descrivono l’immagine, in fondo rassicurante per gli elettori più turbati, di un Movimento composto da bravi ragazzi un po’ ingenui ma intraprendenti che si muovono su un binario diverso dal più plateale Grillo. Quell’immagine è semplicistica e fuorviante per due ordini di motivi, che si possono leggere anche alla luce degli eventi delle ultime ore.
Intanto, la «rivolta interna» non si accende perché la impediscono motivi «strutturali». Un dissidente doc come Adriano Zaccagnini, deputato trentunenne eletto nel Lazio fuoriuscito da quello che definisce «Movimento-Azienda», spiega la situazione al manifesto in questo modo: «Il disagio nei gruppi parlamentari esiste. Ma non c’è nulla di strutturato. Domina la paura di venire tacciati come ‘traditori’. Molte persone non sono abituate ad articolare un discorso politico e magari passare al contrattacco. Piuttosto disertano le riunioni e si lamentano in privato. Però poi delegano la gestione del gruppo ai comunicatori e ai più allineati». Ciò significa che non hanno le spalle coperte da un corpo collettivo o situazioni locali alle quali rispondere concretamente. Sono entrati in Parlamento come individui atomizzati, con la debolezza politica e organizzativa che ne consegue.
A soffocare il fuoco della rivolta interna, ci sono poi motivi legati alla contingenza politica. Dopo la reprimenda di Grillo e Casaleggio i due senatori Andrea Cioffi e Maurizio Buccarella hanno cercato di salvare capra e cavoli: non intendono perdere la faccia e subire il pubblico ludibrio ma cercano di sintonizzarsi con le posizioni allarmistiche e securitarie dei due fondatori del M5S. Buccarella ha spiegato che la proposta di modifica legislativa era stata presentata «con leggerezza» perché erano convinti che la maggioranza non l’avrebbe accolta. Cioffi, dal canto suo, ha ribadito che nelle loro intenzioni l’emendamento incriminato doveva servire a «velocizzare le espulsioni dei clandestini», allineandosi al comunicato che a botta calda era comparso sul sito di Grillo per arginare le critiche della parte destra dell’elettorato. Sono posizioni, queste della destra grillina, che pesano e sono visibili nei forum e sul sito del movimento. E che hanno legittimato il salto di qualità dell’altro giorno. Perché, al di là della retorica sulla democrazia liquida, Casaleggio da esperto di marketing sa bene che la Rete non serve davvero a favorire la partecipazione o a diffondere informazioni: essa è piuttosto uno straordinario strumento di misurazione delle emozioni circolanti presso la pubblica opinione. Un modo per tastare il polso della gente e capire come muoversi per catturarne il consenso.
Dai rom all’attacco allo Ius soli, il populismo in salsa stellata
Giuliano Santoro – Il Manifesto
Un retroscena della strategia elettorale dell’ex comico svelata dietro al palco della grande manifestazione di febbraio a piazza S.Giovanni
L’approvazione in commissione giustizia, nella serata di mercoledì scorso, di un emendamento di due senatori del Movimento 5Stelle contro il reato di clandestinità ha fatto scendere il gelo nelle stanze del quartier generale milanese della Casaleggio associati. Passa la nottata, e Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio affermano di dissentire da quel provvedimento «nel metodo e nel merito». «Questo emendamento è un invito agli emigranti dell’Africa e del Medio Oriente a imbarcarsi per l’Italia», scrivono il comico e il manager. Per finire con un classico luogo comune xenofobo: «Quanti clandestini siamo in grado di accogliere se un italiano su otto non ha i soldi per mangiare?».
È una storia lunga, quella delle posizioni para-leghiste di Beppe Grillo sui migranti. Per decrittarle bisogna svelare un retroscena. Nello scorso mese di febbraio, dal palco romano di una gremita piazza San Giovanni, prima che Beppe Grillo salisse sul palco per lanciare l’ultimo assalto alle urne, il giovane che si occupava di scaldare la folla si fece sfuggire una battuta calcistica su romanisti e laziali. Salvo poi correggersi: «Scusate, non dobbiamo dire nulla che ci possa dividere». È proprio questo lo schema principale della comunicazione grillina: non parlare di temi «divisivi». Come confermano quelli che hanno incontrato il cofondatore Gianroberto Casaleggio, la regola del «non divide et impera» viene continuamente ribadita da quelli dello «staff». Lette da questo punto di vista, le esternazioni con le quali Grillo e Casaleggio indicano la linea politica del Movimento 5Stelle sono dei capolavori di ambiguità. Il «popolo» costruito da Grillo è uno, indivisibile, non esistono classi, blocchi sociali, parzialità, differenze, storie pregresse: sono tutti «italiani». Grillo non dice mai cose che potrebbero aprire conflitti interni al «popolo», serra la fila contro il Nemico di turno, cioè quasi sempre un’entità complottarda ed esterna alla «Gente»: la «Casta», «i Poteri Oscuri della Finanza», il «Vecchio Mondo».
Il gioco riesce quasi sempre. Il segreto è che nelle uscite grillesche ognuno ci vede quello che gli pare. Ma lo schema d’attacco non funziona quando si parla di migranti: ogni volta che tocca questo tema, il comico genovese urta la sensibilità della parte progressista del suo elettorato. Nella migliore tradizione delle destre più o meno postmoderne, i migranti della narrazione di Grillo sono un oscuro esercito industriale di riserva sottopagato che minaccia i salari degli italiani. Quando nel 2008 esplose la fantomatica «emergenza sicurezza» Grillo fu ben lieto di accodarsi all’ondata emotiva e di alzare la posta, parlando di un’inesistente «invasione» di extracomunitari e accreditando la relazione «più migranti, più illegalità». In un’altra occasione pensò bene di unire la lotta alla Casta alla difesa del sacro suolo: «Una volta, i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati», disse. Per poi definire i cittadini rom «una bomba a tempo». E criticare chi utilizza lo Ius Soli come arma di distrazione di massa. Le metafore classiche e le formule linguistiche dei movimenti xenofobi ci sono tutte: Grillo descrive un paese le cui frontiere sono a rischio invasione per colpa della sinistra «buonista» che non è neppure di chiamare le cose con il proprio nome, visto che ormai, afferma Beppe en passant in un post dedicato al linguaggio «politically correct, «un immigrato clandestino è un rifugiato alla luce del sole».
Più di un grillino ha preso il capo alla lettera. Daniele Berti, candidato sindaco del M5S a Legnano nel 2012, si infilò in prescrizioni di carattere genetico: «I rom non hanno alcuna intenzione di integrarsi: non è nel loro Dna». E quelli del Movimento di Pontedera si rifiutarono di solidarizzare con i bambini migranti vittime di un’azione squadristica di Forza Nuova contro il diritto di cittadinanza: «La questione dell’immigrazione e dell’integrazione è molto meno rosea di quello che si vuol fare apparire», dissero pur di non prendere posizione. Nel programma per le elezioni politiche del M5S di migranti non si parla neppure. All’indomani della strage di Lampedusa il blog di Grillo, di solito reattivo e pronto a sintonizzarsi con l’emotività generale scatenata dagli eventi, parla di tutto tranne che di migranti. Il capogruppo alla camera Alessio Villarosa, dal canto suo, confessa di non sapere cosa sia la legge Bossi-Fini. Poi l’emendamento estemporaneo dei senatori Andrea Buccarella e Maurizio Cioffi. Accolto dal governo, rigettato da Grillo e Casaleggio e criticato dal popolo grillino su Internet: «Non vi abbiamo mandato nei palazzi per difendere gli extracomunitari» è il mantra. Anni di parole del leader sull’immigrazione hanno lasciato traccia.
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