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Caselli lascia Magistratura Democratica “per colpa” di Erri?

Se un solo,articolo, un testo peraltro breve, riesce a sciogliere un equivoco lungo 40 anni… deve trattarsi di un capolavoro. O comunque di una stringa di parole che trasuda verità di potenza solare.

L’equivoco è quello che vede Giancarlo Caselli come un “campione della sinistra”, distaccato per ragioni politiche – è la tesi che Berlusconi condivide, rovesciando ovviamente il giudizio in negativo – nella magistratura e quind, “naturalmente”, esponente di una corrente che ha annoverato nelle sue fila molte figure assolutamente di rilievo. Basti citare Palombarini, per comprendere quanto sia stata importante persino in anni di oscuramento totale della democrazia giuridica – gli anni ’70 e ’80 – quando Caselli militava sul fronte “emergenziale”, spaccando come una mela la stessa Magistratura democratica.

Il capolavoro è opera di Erri De Luca, scrittore e montanaro, che non ama il “politically correct” d’ordinanza nei salotti “dem” così come in quelli “democristian”.

E grande merito va anche al presidente di MD, Luigi Marini, che ha deciso che questo articolo andava pubblicato “per la sua bellezza” sull’agenda 2014 edita dalla corrente (Agemda), nonostante fosse davvero urticante per la “sensibilità diffusa” all’interno di questo gruppo di magistrati.

Caselli non ha ancora confermato le voci sulle sue dimissioni da MD. Ma non le ha nemmeno smentite. Quindi sono un’opzione apertamente in campo. Visto quel che è riuscito a “partorire” contro il movimento No Tav, in effetti, sarebbe più logico vederlo in compagnia di Montebove. Un equivoco in meno…

Qui di seguito l’articolo di Erri, preceduto da una breve premessa della redazione dell’agenda 2014 di MD.

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Questa è la nota completa di Magistratura Democratica:

Dopo aver ricevuto e letto questo contributo, è stata forte la tentazione di non pubblicarlo, perché alcuni passaggi si prestano a interpretazioni ambigue, che non vogliamo in alcun modo avallare. Ma, per imitarne la conclusione, povero è il gruppo che censura uno scritto così bello, anche se altrettanto controverso, e così eccolo qua. Dei tanti temi che esso lambisce si è molto discusso, e si discuterà ancora. Noi non ci sottraiamo a questa discussione, ma partendo da una incrollabile certezza: la condanna e il rifiuto deciso, unanime, incondizionato, di ogni forma di violenza, qualunque ne sia la motivazione.

Con tale premessa, in questo pezzo leggiamo un potente richiamo all’impegno civile. Solo con l’impegno di tanti è possibile la compiuta realizzazione di quei nuovi diritti di cui Agemda si occupa. Speriamo che la passione per la giustizia si diffonda inarrestabile, come un virus allegro e pacifico, immune dalle degenerazioni e dalle aberrazioni del passato.

 

Questo è l’articolo integrale di Erri De Luca, uscito con il titolo: «Notizie su Euridice»:

 

Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione è scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.

C’è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un’alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice.

Innamorati di lei, accettammo l’urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali. Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo e stato il più imprigionato per motivi
politici di tutta la storia d’Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste.

Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all’aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio.

Cos’altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell’esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L’Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta. Chi lo nomina sotto la voce “sessantotto” vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell’isolamento, lei non c’era.

Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all’aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s’innamora di Euridice e non la va a cercare anche all’inferno.

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