La battuta è antica, ma mai come in questo caso ha calzato a pennello. Il gotha della Guardia di Finanza è sotto inchiesta e non si può davvero parlare di “mele marce”, di singoli individui infedeli all’interno di un “corpo sano”. Il ministro Pier Carlo Padoan, responsabile politico dell’arma, se non altro per motivi istituzionali è obbligato a dire \esprimo la mia totale fiducia nelle Guardia di Finanza e nei suoi membri». Ma nessuno può credere che sia così.
Di sicuro non ci crede la procura di Napoli (i pm Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, con il coordinamento dell’aggiunto Alfonso D’Avino), che ha affidato le indagini alla Digos, proprio per impedire che le notizie filtrassero ai generali sotto inchiesta per vie interne alla GdF.
L’unico arrestato – il colonnello Mendella, capostazione a Livorno dopo essere stato a Napoli e poi a Roma – può ancora esser fatto passare come un singolo “avido” di soldi. L’imprenditore che ha fatto scattare l’indagine, Giovanni Pizzicato, gestore di ristoranti e di stabilimenti di lavorazione dei metalli, afferma di avergli passato in pochi anni quasi un milione di euro. E si capisce dai verbali che questo ufficiale era un amante della bella vita, anziché dell’arcigno lavoro di contrasto dei crimini finanziari e/o fiscali.
Ma di certo non avrebbe potuto molto – un copo militare non ha, non dovrebbe avere, margini di autonomia così ampi – se non avesse potuto contare sull’appoggio o copertura di almeno un paio di generali posizionati sulla poltrona di vice-comandanti nazionali, in tempi ovviamente diversi.
Per corruzione è invece indagato il generale Vito Bardi, attuale comandante in seconda della Guardia di Finanza. Già comandante regionale delle Fiamme gialle in Campania, era stato a suo tempo indagato nel 2011 con l’accusa di favoreggiamento e rivelazione di segreto nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta “loggia P4” (con Luigi Bisignani e altre vecchie conoscenze nel ristretto comparto dei “faccendieri” di appartenenza massonica). Era stato poi prosciolto, e la sua posizione archiviata dal gip su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock.
I dettagli dell’inchiesta li potete leggere dappertutto, a cominciare dai giornali mainstream, che pubblicano pagine e pagine di verbali senza però azzardare la minima analisi “sistemica” di quel che viene definito un “sistema”.
Nel nostro piccolo, siamo obbigati a constatare che l’ancien regime del capitalismo nazionale sta tirando rapidamente le cuoia. Parliamo di quel “sistema”, appunto, che metteva in relazione strettissima amministrazione politica, manager pubblici e “controllori” istituzionali (come la GdF, appunto) per garantire protezione a una rete di aziende che potevano così operare in regime di monopoilio (per esempio negli appalti pubblici, specialmente per la grandi opere). Ma il “sistema” si era negli anni articolato fino ai livelli intermedi e bassi della struttura delle imprese, diventando così un costo generalizzato, quasi una tassa aggiuntiva, a un sistema produttivo travolto dalla crisi globale.
Chiaro anche che con questo fardello sulle spalle nessuna “ripresa”, per quanto illusoria sul piano generale, è minimamente ipotizzabile. Dunque deve saltare. E poco importa – o molto, a seconda dei punti di vista – che questo “sistema” sia stato il cemento ventennale del “blocco sociale” berlusconiano, tanto da venir “partecipato” alla grandissima anche dal blocco teoricamente concorrente ascrivibile al Pd. Le inchieste su Expo e Mose non lasciano dubbi sull’inesistenza di alcuna distinzione tra centrodestra e cosiddetto “centrosinistra”.
Questo è il blocco che va smottando, visto che non è assolutamente riciclabile nella nuova divisione internazionale del lavoro disegnata dall’Unione Europea. Divisione del lavoro che favorisce un tipo di impresa non “eticamente” migliore, né “più attenta alla legalità”; ma che semplicemente impone una selezione capitalistica del tipo di imprese. Le vecchie pratiche “sanfediste”, per cui lavora soltanto chi paga il pizzo e il conto lo mandiamo – debitamente gonfiato – allo Stato, non hanno più diritto di esistenza nell’arena della competizione voluta dalla Troika.
Non ci piange il cuore, naturalmente. Ma guai a illudersi che il “sistema” che si va affermando in sostituzione sia anche soltanto un po’ meno cattivo.
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