Dimitris Papachristos è uno scrittore e giornalista greco. Era uno degli speaker della radio del Politecnico di Atene occupato dagli studenti dal 14 al 17 novembre 1973. Quella rivolta contribuì a far cadere la giunta militare al potere dal 21 aprile 1967. Oggi Papachristos è uno dei personaggi più popolari e stimati della sinistra alternativa ellenica. Abbiamo raccolto questa testimonianza nel settembre scorso, poche ore prima che, a piazza Syntagma ad Atene, Papachristos pronunciasse un’orazione per ricordare Pavlos Fyssas, il rapper antifascista assassinato da un membro del partito neonazista Alba Dorata.
Un poeta scriveva che mentre gli anni passano le persone che ci giudicano e ci condannano aumentano.
Sono passati quarant’anni (dalla rivolta studentesca del Politecnico di Atene del 14-17 novembre 1973, ndr) e queste persone sono aumentate perché ci ribellammo e ci sollevammo contro la Giunta militare. Perché noi eravamo i giovani nulla facenti dell’epoca, gli anarco-comunisti e adesso non sanno cosa dire.
L’enorme dimensione acquisita dall’evento del Politecnico è storica e nello stesso tempo simbolica. Si tratta di un avvenimento storico che nessuno può contestare, anche se hanno tentato di negare i tanti morti e il sangue versato. Un sangue che cercherà sempre giustizia, anche se non necessariamente vendetta.
I morti di cui parliamo, io li rianimo perché loro non hanno avuto l’opportunità di vivere quel momento di liberazione.
Per i giovani d’oggi sussiste la dimensione storica ma c’è anche quella simbolica. Per loro (la rivolta del 1973, ndr) rappresenta una stazione di approvvigionamento, per cominciare da dove noi non siamo potuti arrivare, e lanciarsi verso il futuro.
Non è un caso che nelle attuali manifestazioni contro l’occupazione della Troika in Grecia e di tutte le coalizioni che le sono sottomesse, tra le canzoni e gli slogan figurino anche quelli del Politecnico.
Non è un caso che questi ragazzi gridano: “Il politecnico non è finito nel 73′ – pane-istruzione-libertà!” .
Oggi la gente ha uguali richieste. La stessa esigenza di rovesciare questo sistema che crea persone sottomesse, coltiva il terrore e conduce alla dittatura e al fascismo.
All’epoca la dittatura si vedeva, aveva un volto, indossava il berretto, era il grigio che si era creato nella società greca, c’era mancanza di democrazia e di libertà.
Adesso viviamo in un’illusione. Una dittatura economica che col pretesto della democrazia cerca di legittimare prepotenze che non si verificavano neanche negli anni della giunta militare. E non si tratta solo di questo: tale dittatura cerca di incolparci e farci diventare complici.
Questo rappresenta un enorme problema per noi e i nostri figli, perché esiste una diffusa situazione confusionale. Esistono tante giunte. Le persone non sanno con quale di queste possono scontrarsi.
In questo momento è il sistema capitalistico la più grande giunta.
Quest’ultimo produce giunte come quelle dei mezzi di disinformazione, travisamenti e stupidità di massa che determinano la quotidianità di ognuno di noi.
Non è un caso che quelli che detengono il potere economico e fanno parte dell’élite capitalistica si occupano dei mezzi di comunicazione di massa, non solo di quelli che producono profitti.
Nel politecnico abbiamo creato la nostra stazione radio.
Si sentiva la nostra voce.
Dicevamo, “Qui la libera stazione di radio dei greci, qui il politecnico”.
Era la nostra esistenza e voce che voleva rompere il silenzio e la solitudine nel centro di Atene.
Volevamo farci sentire in tutta la Grecia e ci siamo riusciti.
La nostra voce si è sentita in tutto il mondo e risuona ancora oggi.
Per me e gli altri ragazzi, Maria, Labros, è molto importante ed è un gran peso rappresentare la voce del Politecnico e nello stesso momento diventare la voce di tutti e diffondersi nell’universo per la libertà, la bellezza, l’amore, la democrazia, per le possibilità che abbiamo di realizzare il sogno.
All’interno del Politecnico abbiamo avuto questa possibilità. Eravamo una grande comunità: assemblee generali, rappresentanti – aiutata da tutti.
La stazione di radio è stata chiusa.
La lotta continua con le ”armi” che ognuno ha a disposizione.
Lì dentro queste armi erano la fantasia, l’azione, i fatti, le voci. Ognuno si è mobilitato per convivere con l’altro in collettività e solidarietà.
Non ci siamo messi paura, non perché fossimo eroi ma perché abbiamo condiviso la paura e l’abbiamo superata di fronte ai carri armati.
Ero davanti al carro armato (quando sfondò il cancello del Politecnico, ndr). Cantavo l’ inno nazionale, un simbolo secolare che i fascisti avevano macchiato e che adesso stanno macchiando i loro successori, quelli di Alba Dorata.
L’inno nazionale proviene dalle ossa sacre dei greci, è un inno alla libertà. Possono confermarlo gli italiani, i francesi, i tedeschi e tutto il resto del mondo.
Quando il poeta l’ha composto, stava per terminare la nostra schiavitù ottomana.
Adesso i fascisti usano la violenza e non hanno niente in comune con la libertà e il diritto di ognuno alla vita. Fanno uso dell’inno e lo oltraggiano.
Ora non è il momento opportuno di raccontarvi fatti che sono accaduti e che ho scritto anche nei miei libri.
È arrivato il momento di affrontare questa situazione.
È una vergogna, perché dopo 40 anni sono cambiate tante cose ma in fin dei conti non è cambiato nulla.
Le cose che sono cambiate sono superficiali. Lo sfruttamento della classi in Europa e in tutto il mondo, l’esistenza di 25 milioni di disoccupati in Europa e di 1,5 in Grecia, dove il tasso di disoccupazione dei giovani arriva al 60% e la società gli taglia la strada per la vita e il futuro.
Non serve uccidere materialmente qualcuno se tutti i giorni lo uccidi in questo modo.
La violenza dell’insicurezza e dell’indigenza è terribile. È peggio di quando ce l’hai di fronte sotto forma di un manganello che ti colpisce.
Perché questa violenza odierna ti colpisce nei bisogni quotidiani. Non esiste una dittatura più terribile di quella della quotidianità e della sopravvivenza che tende a degradare la vita.
Diceva il poeta: questa vita non dobbiamo disprezzarla e degradarla, dobbiamo difenderla con dignità.
Non si tratta solo di sopravvivere, ma di godercela finché ce ne ”andiamo”, così che possano continuare i nostri successori.
Il Politecnico rappresenta un elemento di continuità per quelli che sentono nostalgia perché non l’hanno vissuto, come i giovani in tutte le scuole in Grecia e nel mondo. È un evento importante per tutti i movimenti giovanili a livello globale.
Ho prodotto documentari sul Maggio francese, l’Italia, la Grecia. Ho girato tutto il mondo e vedo che lo stesso bisogno spinge i giovani a ribellarsi.
Non esistono barriere. Come il capitale è libero e non ha confini, così la possibilità umana è libera e non ha confini. Basta rintracciare i propri simili che non vogliono vivere schiavizzati. Quelli che soffrono e chiedono non solo la loro libertà ma anche quella degli altri, dei i loro vicini, dei lavoratori.
Esistono delle armi grandiose. La prima è la memoria. Un’arma che resiste alle ingiurie del tempo e di qualsiasi forma di potere. L’altra è l’amore. Anche l’amore è una rivoluzione e ti può bruciare. Per un momento sfidi la morte, come chi minaccia di ucciderti. E quando supererai la paura, chi vuole ucciderti resterà disarmato.
In questo momento del XXI secolo che stiamo vivendo in Grecia, stiamo perdendo parte della nostra indipendenza e sovranità. Svendiamo il nostro paese, la nostra casa.
Ci serve una lotta e un fronte antifascista come quello creato contro l’ occupazione dei Tedeschi, l’EAM (Fronte di Liberazione Nazionale).
Un fronte patriota e di classe per cambiare definitivamente questa situazione.
Rappresentiamo la cavia dell’Europa e dell’euro zona. Ma possiamo diventare l’esperimento della liberazione, perché gli stessi fenomeni e avvenimenti esistono in tutta Europa.
Quindi ci serve una lotta nazionale e una liberazione di classe che si unisca con tutte le lotte che già esistono e che verranno in tutti i paesi dell’Europa.
Per una Europa libera. Non quella delle élite, dei banchieri e dei padroni.
Una Europa dei popoli che non offenderà la sua storia, la sua memoria e la sua cultura.
Dobbiamo diventare cittadini attivi. Per riuscirci dobbiamo prima umanizzare noi stessi e poi la società. Di conseguenza dobbiamo andare contro la cultura barbara che coltivano e c’impongono.
Contro ogni imperialismo. Contro la sua forma culturale che corrode e altera le nazioni, le etnie, i popoli, la lingua e schiavizza le persone in un sistema mondiale ed ecumenico che loro controllano.
L’1% controlla il 99% di questo pianeta, compresi esseri umani e beni materiali.
Ci dovrà essere un rovesciamento mondiale di questa situazione, che non deve avvenire con le guerre, perché quelle le manipolano loro per avere profitto dal nostro sangue e dalle nostre morti.
Dovrà venire col pugno unito di tutti i popoli, quelli che nel 19° secolo, Marx, Lenin, chiamavano i dannati di questa terra.
Allora forza dannati della terra!
Non sono dei dannati quelli che sono persi e vogliono trovare sé stessi, sono degli oppressi che devono conquistare la vita.
* testimonianza raccolta da Michelangelo Cocco
traduzione di Kostantinos Klitzikas
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