Il programma dei governi nazionali lo scrive la Troika, ripetiamo ogni giorno. La cosa stupefacente è che che esista ancora qualcuno che ne dubita, “a sinistra”. Così, ad ogni “report”, i pilastri della stessa Troika si fanno in quattro per ricordarcelo.
Ieri è toccato al Fondo Monetario Internazionale, Fmi, che ha rivisto anche lui al ribasso le previsioni “creascita” per l’Italia. Le virgolette sono d’obblico, perché in realtà si tratta delle ennesimo calo. Bisogna persino dire che il Fmi è meno pessimista del Centro studi di Confindustria, che aveva stimato pochi giorni fa un calo dello 0,4% per l’anno in corso, mentre l’istituto guidato da Christine Lagarde si ferma al -0,1.
Le previsioni per gli anni successivi (+1,1 nel 2015, + 1,3 nel 2016) appartengono al wishful thinking, più che alle stime scientifiche, perché è ormai chiaro che le variabili macro globali sono fuori dal controllo di qualsiasi ente. Semplicemente, nessuno sa come andrà; si incrociano le dita e si sparano “ricette” a seconda degli interessi che si rappresentano.
Il Fm si è fatto una solida fama come braccio armato del capitale multinazionale – con preponderanza anglo-statunitense e qualche problema, ormai, di credibilità al di fuori di questo ambito, che comprende anche l’Unione Europea – e non si è smetito nappure stavolta. Se l’obiettivo è trasferire quote di ricchezza dalle popolazioni alla finanza multinazionale, ecco che i “consigli” del Fondo assumono toni granguignoleschi.
La chiave di volta resta il debito pubblico (la finanza globale ama soltanto quello privato, ovvero fondamentalmente il proprio debito, e si scaglia contro quello “pubblico” pretendendo trasferimenti diretti verso le proprie casse). Il debito italiano, come ammete ormai anche il ministro Padoan, è destinato a salire anche a dispetto (o meglio a causa) ei tagli dispesa fatti, previsti e intimati. Toccherà il 136,4% del pil nel 2014, per poi scendere progressivamente, ma restando comunque sopra il 130% fino al 2017.
Facciamo notare incidentalmente che, trattandosi di una proporzoione e non di una cifra assoluta, se a un governo vengono “consgliate” manovre recessive il risultato sarà una contrazione del Pil. E quindi la proporzione del debito/Pil resterà negativa anche tagliando alla grande il debito. Calano insime, ma la proporzione non cambia (o cambia pochissimo).
Di conseguenza, sentenzia il Fmi, Il tasso di disoccupazione in Italia è destinato a salire ancora (12,6%, il più alto dalla fine della seconda guerra mondiale). E qui arrivano i primi “complimenti” al governo renzi, la cui “riforma del mercato del lavoro” – con tanto di precarizzazione universale e contrazione dei salari – è vista come condizione ottimale per aumentare la quantità di persone da mettere al lavoro a salari da fame. Per questo tipo di statistiche, infatti, non ha alcuna importanza la qualità dell’occupazione. Dunque, la riforma del lavoro del governo Renzi “va nella giusta direzione”, ma deve ”muoversi rapidamente sulle riforme”. Bene anche l’idea di un ”singolo contratto di lavoro”, anche perché “con il 70% dei nuovi contratti a tempo determinato, ulteriore flessibilità ai margini fa poco per ridurre dualita’ e spingere investimenti”. Traduzione: la precarietà è utile per le produzioni o le imprese “marginali” (piccole o piccolissime, o attive in settori non centrali), ma l’attacco va condotto direttamente contro il nucleo centrale dell’occupazione “stabile e a tempo indeterminato”, in modo da comprimere violentemente e una volta per tutte il costo del lavoro anche nei comparti chiave dell’economia italiana.
Benedizioni dunque anche per la “spendig review” – non a caso affidata a Carlo Cottarelli, un economista dello stesso Fmi, che ad ottobre rientrerà nei ranghi dell’organismo sovranazionale – considerata uno ”strumento importante”.
Ma al Fondo sanno fare i conti: per quanto si possa tagliare la spesa pubblica toccando le varie “sacche di inefficienza” o spreco, non si arriverà mai a sforbiciare abbastanza da riportare il debito pubblico entro quel 60% indicato dagli accordi di Maastricht. Come si può fare, allora? ”Ulteriori risparmi saranno difficili senza affrontare l’elevata spesa per le pensioni” e anche la spesa sanitaria. Bingo! Il Fmi dice fuori dai denti che è ora di far fuori un po’ di anziani, riducendo le loro “aspettative di vita” grazie a pensioni ancora più basse e minori prestazioni sanitarie. Non serve, insomma, “tagliare gli sprechi”, il Fondo consiglia (prescrive? ordina?) ditagliare la carne viva della gente fino all’osso e anche oltre.
Se non farà questo, e anche molto presto, l’Italia rimarrà ”vulnerabile a una perdita di fiducia del mercato” e al ”contagio finanziario”; diventando in quel caso una pericolosa ”fonte di contagio per il resto del mondo”. Non vorrete mica costringere il capitale multinazionale a “isolarvi” in attesa di diventare sufficientemente “asettici”, no?
Per tutte queste ragioni, il Fmi promuove l”’agenda ambiziosa di riforme” del governo Renzi, suscitando la poco divertente impressione del burattinaio che dice “bravo!” alla marionetta. ”Attuare le riforme strutturali simultaneamente e genererebbe significate sinergie di crescita”.
Quanto sia “invasiva” la logica del Fondo è dimostrato da una delle tante raccomandazioni non direttamente economche: il progetto di legge elettorale delineato dall'”Italicum” è considerato un’ottima idea perché “aiuta il sostegno e l’attuazione delle riforme”. Non servirebbe la traduzione, ma ve la diamo egualmente: un programma di “riforme” così sanguinose e infami non avrebbe alcuna possibilità di esser approvato anche elettoralmente; bene dunque l’idea di escludere che il parere dei cittadini possa rallentare – o, orrore!, “impedire” – l’attuazione del programma.
La democrazia non serve più al capitale, ergo si può e si dee metterla da parte.
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