Un milione di persone in piazza non contano niente. Questa è la risposta del regime renziano alla Cgil e – di conseguenza – alla minoranza Pd (oltre che a Vendola ed altri). Sia chiaro: è anche la risposta a chi ha scioperato con Usb, Orsa e Unicobas venerdì scorso. E a tutte le mobilitazioni che ancora si stanno preparando contro il jobs act, lo “sblocca Italia” e quant’altro.
Benvenuti nel nuovo mondo! Eravamo tutti abituati – forze di governo e d’opposizione, movimenti e sindacati – a vivere e confliggere in un “sistema di relazioni” complesso ma aperto alle opinioni contrarie. Un sistema consociativo, certamente. Un sistema democristiano, altrettanto certamente. Ma anche un sistema “inclusivo”, anzi obbligatoriamente inclusivo. In quel sistema nessuno poteva davvero restare fuori, nemmeno gli estremisti più estremi, neanche i centri sociali antisociali o i punkabbestia. Un angoletto poteva e doveva essere trovato per tutti. Quanto bastava per garantire la sopravvivenza, per carità, nulla di eccezionale. Nulla che potesse consentire di coltivare velleità davvero rivoluzionarie; un sistema “oppressivo ma comprensivo”, affluente e redistribuente (molto alle imprese, tanto ai servi del potere, briciole a lavoratori e opposizioni polirico-sociali). Ma, appunto, anche se in modo fortemente diseguale, ce n’era per tutti. La “coesione sociale” teneva anche per questo.
In quel sistema ogni sciopero riuscito, ogni grande manifestazione, era un segnale di “distonia” col governo e le sue politiche. Segnale che veniva recepito emendando in tutto o in parte (moderatamente, truffando, prendendo per i fondelli, ecc) i provvedimenti contestati, contro cui si era manifestato e/o scioperato. Una dialettica squilibrata, in cui il potere comunque guadagnava qualcosa di più, ma che non negava “le ragioni” dell’opposizione.
In quel mondo, una manifestazione da uno o tre milioni di persone bloccava il tentativo di abolire l’art. 18 pur essendo al governo Berlusconi, Fini, Bossi, Gasparri e La Russa. In quel mondo si poteva ottenere una legislazione su divorzio, aborto, Statuto dei lavoratori, una riforma carceraria “progressista” e cento altre leggi “progressive” pur restando opposizione, tra cariche di polizia, morti, sparatorie, scontri e guerriglia aperta. Era un sistema in cui i “rapporti di forza” venivano riconosciuti da tutte le parti in conflitto. Più forza sociale esprimevi – a prescindere addirittra dai metodi usati – più “pesavi” nella determinazione delle politiche nazionali. Era infatti un sistema che prevedeva la mediazione come metodo di governo. Fatti sentire, bussa con forza ai portoni del potere e qualcosa – con lo sconto – potrai ottenere.
E’ finita. Questo significano le parole con cui Renzi ha commentato, dalla Leopolda, la manifestazione della Cgil. Rileggiamole: “Quando ci sono manifestazioni come queste non c’è da dire nulla, ma ascoltare una piazza bella, importante. Ci confronteremo, ma poi andremo avanti, non è pensabile che una piazza blocchi paese”.
Non è difficile tradurre: “potete fare quello che vi pare, non cambierete una sola virgola di quel abbiamo deciso di fare”. In questo “nuovo mondo” non c’è più spazio per la mediazione sociale, quindi neanche per la mediazione politica.
Non si tratta di “fascismo”, anche se comincia a somigliarci in molti tratti. E’ un autoritarismo da disperazione, camuffata coi sorrisi fissi di questo o quel “ggiòvane” messo davanti alle telecamere a negare anche l’evidenza. La mediazione sociale si fa con le risorse dello Stato, redistribuendo qualcosa anche ai soggetti sociali sfruttati. La mediazione politica è la formalizzazione legislativa di quella sociale, in base ai “rapporti di forza”.
Ma dopo oltre sette anni di crisi, di fronte alla prospettiva di una “stagnazione secolare” (lo scenario numero uno nel recente report di Goldman Sachs), la “gestione del declino” è l’unica strategia possibile per cercare di mantenere il “modo di produzione capitalistico”. L'”austerità” dell’Unione Europea sta diventando una sorta di “decrescita senza redistribuzione”; anzi, se possibile aumentando a dismisura la quota di ricchezza prodotta che va a pochi.
Quindi nessuna mediazione sociale. Renzi, naturalmente, non lo dice in modo così esplicito. La “tecnica di comunicazione” serve a camuffare il più possibile la realtà delle cose. E quindi, descrivendo per slogan quel che avviene dentro la Leopolda: “Qua si accapigliano su questioni importanti come la riforma della scuola o il fisco e il lavoro, su come creare occasioni per i posti di lavoro, che non si creano con le manifestazioni, ma con ambienti e imprese capaci di farlo”.
E’ una visione del mondo precisa, implacabile, senza alternative: “il lavoro lo creano le imprese”, non c’è altro sistema al di fuori del capitalismo, non avrai altro dio all’infuori di me. Lavoratori, sindacati, partiti, movimenti, le manifestazioni di piazza, l’infinito universo dei sognatori di un altro modo di vivere, produrre, redistribuire ricchezza, non hanno più neanche la possibilità di essere ascoltati dentro questo “nuovo mondo”. Qualsiasi forza sociale mostrino di saper organizzare.
Un “me ne frego” che va ben al di là delle giornate di mobiltazione che ci sono state in questi giorni o ci saranno nei prossimi mesi. Un “me ne frego” che vuol segnare un’intera epoca.
Va constrastato e rovesciato, ovviamente. Ma bisogna partire dal prenderne atto. Pensare di affrontarlo con la logica – sociale e politica – adottata fin qui significa votarsi all’impotenza.
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