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No Tav. Chieste condanne più pesanti che per un omicidio

Che nella gestione politico-giudiziaria della repressione contro i No Tav fosse scattato un doppio standard era evidente. La richiesta dei Pm Padalino e Rinaudo di condanna per più di 9 anni e con l’accusa di terrorismo per quattro attivisti No Tav sotto processo, ne è la conferma. Averlo segnalato ci porterà in tribunale ad affrontare la denuncia del dott.Caselli, ex procuratore capo di Torino che non ha gradito l’averlo sottolineato dalle pagine del nostro giornale.

I pm Padalino e Rinaudo, estromessi dall’arringa finale al maxiprocesso contro decine di attivisti No Tav, hanno esposto in aula una ricostruzione inverosimile di quella notte al cantiere di Chiomonte e sono arrivati a parlare di “organizzazione paramilitare” e di attentato. Sulla base di questo sono stati chiesti in 9 anni e 6 mesi per i No Tav Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò in carcere ormai da quasi un anno.  “Violenza armata e organizzata in modo paramilitare per acquisire consensi e per costringere lo Stato a retrocedere” è l’accusa alla base di questa richiesta di condanna. I due Pm hanno definito il danneggiamento di un compressore come “un atto di guerra” per arrivare ad indicarlo come un “attacco alla personalità dello Stato”, come se il compressore fosse una persona. Gli stessi poliziotti, secondo i pm, “non sono stati aggrediti come singoli, ma come rappresentati dello stato”. Tra l’altro la Corte di Cassazione a maggio, aveva accolto il ricorso degli avvocati Claudio Novaro e Giuseppe Pelazza che contestava la configurabilità dell’accusa di terrorismo per l’attentato al cantiere di Chiomonte messo a punto con un’azione dimostrativa il 14 maggio del 2013. Dunque nove anni di carcere per il danneggiamento di un compressore? In Italia abbiamo assistito a sentenze per omicidio molto più lievi, soprattutto quando riguardano proprio il personale dello Stato. E tutto questo avviene mentre la  Tav  perde credibilità e credito giorno dopo giorno per i sovracosti lievitati vertiginosamente e ben oltre quanto i governi avessero dichiarato fino ad oggi o per le infiltrazioni mafiose negli appalti e nei lavori dell’Alta Velocità. Ultima notizia in ordine di tempo, l’arresto giovedi dell’imprenditore Ferdinando Giosuè Lazzaro, ex  titolare dell’Italcoge, l’azienda della Val di Susa finita nell’inchiesta sull’infiltrazione della ’ndrangheta nei lavori propedeutici dell’Alta Velocità.  Uno degli imprenditori che aveva denunciato di essere vittima dei No Tav. La pesantezza della condanna contro i No Tav vorrebbe in qualche modo mandare a dire che tutto questo non pregiudica l’azione dello Stato quando lo Stato ha deciso di fare una scelta, anche quando questa si rivela alla fine sbagliata, costosa, controproducente e arrogante.

Per protestare contro l’assurda richiesta di condanna dei quattro attivisti No Tav, ieri sera c’è stata una prima manifestazione con battitura delle reti al cantiere (e fortino) di Chiomonte. 

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