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Dipendenti pubblici fannulloni: i dati smentiscono il ‘senso comune’

Tempi duri per i dipendenti pubblici, attaccati dal governo Renzi e da un senso comune che invece di prendere posizione a partire dalla realtà dei fatti preferisce farsi guidare dal pifferaio magico di turno. E’ bastato che media e governo montassero a Capodanno alcuni casi eclatanti – “vigili urbani assenti a Roma”, “spazzini assenti a Napoli”, “macchinisti assenti a Roma” e così via – per scatenare la consueta e aggressiva ondata di critiche, contumelie, accuse e offese nei confronti di milioni di dipendenti pubblici già alle prese con tagli, decurtazioni salariali, aumento degli orari di lavoro, blocco del contratto e chi più ne ha più ne metta. E come al solito sono i luoghi comuni a farla da padrone, con i sentito dire che diventano scienza esatta e sapere popolare, alimentati da una stampa di servizio – nei confronti di governo e padroni ovviamente – che si presta a sostenere una campagna politica orchestrata a tavolino dai poteri forti nazionali ed europei e che mira a ridurre lo Stato a vantaggio di un privato che funziona spesso peggio e con costi assai più alti per i contribuenti.

Certo bisogna riconoscere che aver scelto come bersaglio della campagna di capodanno contro i dipendenti pubblici uno dei settori più odiati dalla popolazione – i Vigili Urbani – è stata una mossa geniale da parte di Renzi e compagnia.
Senza andare troppo a zonzo nella rete basta vedere i commenti ai nostri articoli sull’affaire ‘Vigili Urbani’ per imbattersi nei classici luoghi comuni sul settore pubblico sui quali il governo più antipopolare che questo paese abbia conosciuto negli ultimi decenni sta incredibilmente costruendo un consenso che non merita. I più frequenti affondano e condannano il settore pubblico in quanto tale, senza fare differenze e distinguo, confrontandolo con un settore privato nel quale invece i dipendenti sarebbero inesorabilmente obbligati a ‘sudarsi la pagnotta’ – come si dice a Roma – senza privilegi e con abnegazione. Senza nasconderci che in alcuni – ma solo alcuni e sempre meno – settori della Pubblica Amministrazione i ritmi di lavoro non sono propriamente sfiancanti, basterebbe analizzare qualche dato per sfatare il mito di un settore pubblico descritto come dominio dei fannulloni.
Ad esempio quelli pubblicati all’inizio di ottobre dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre nel 2012 (ultimo anno in cui i dati sono a disposizione). Secondo i quali i giorni di malattia di cui usufruiscono mediamente i lavoratori pubblici italiani non sono centinaia l’anno come sembrerebbe di capire dalla manifestazione così creativa della vox populi a proposito del caso ‘Vigili Urbani’, ma molti, molti di meno. Non solo. Se si raffrontano i giorni di malattia dei dipendenti del settore pubblico con quelli del settore privato ci si accorge che la differenza è minima e che anzi, in realtà nel settore privato ci si ammala di più.
Nel 2012, ci dice la CGIA, mediamente ciascun lavoratore dipendente italiano si è ammalato 2,23 volte ed è rimasto a casa un totale di 17,71 giorni; complessivamente sono stati quasi 106 milioni i giorni di malattia persi durante tutto l’anno.

Da notare che oltre il 30% dei certificati medici che attestano l’impossibilità da parte di un operaio o di un impiegato di recarsi nel proprio posto di lavoro è stato presentato di lunedì. Perché in alcuni casi il dipendente cerca di allungare indebitamente il fine settimana di qualche giorno, magari per riposarsi dagli impegni o dai bagordi del sabato e della domenica. Ma anche – e lo diciamo per esperienza personale – perché magari durante la settimana precedente si è andati a lavoro nonostante il crescente malessere per continuare a svolgere qualche mansione indispendensabile e irrimandabile mentre il fermo del finesettimana ha causato poi una “esplosione” della malattia. Inoltre, considerato che chi si ammala di venerdì aspetta il finesettimana per capire se si tratta di una cosa serie e che la maggior parte dei medici di base non lavorano il sabato e la domenica è ovvio che un gran numero di certificati di malattia si accumulino il lunedì.
Secondo i dati è vero che nel pubblico ci si ammala più spesso, ma è anche vero che si perdono meno giorni di lavoro che nel settore privato.

Nel 2012, infatti, i giorni di malattia medi registrati tra i lavoratori del pubblico impiego sono stati 16,72 (con 2,62 eventi per lavoratore) mentre nel settore privato le assenze per malattia hanno toccato i 18,11 giorni (con un numero medio di eventi per lavoratore uguale a 2,08). Da notare cha dalla CGIA sottolineano che la malattia di un lavoratore viene considerata come unico evento anche nel caso di più certificati tra i quali intercorra un intervallo di tempo non superiore a 2 giorni. Inoltre, viene segnalato che questi dati sono stati estratti dall’Osservatorio sulla certificazione di malattia dei lavoratori dipendenti privati e pubblici dell’Inps, avviato nel 2011.
I dati mostrano che la durata media degli eventi di malattia è, comunque, relativamente breve. A livello nazionale, nel 71,7% dei casi la guarigione avviene entro i primi 5 giorni dalla presentazione del certificato medico.

Se si disaggregano i dati, emerge che i lavoratori più cagionevoli si concentrano nel Sud Italia – senza grandi differenze tra pubblico e privato – mentre ovviamente i lavoratori anziani sono più a rischio dei giovani. Dalla rilevazione emerge infatti che le assenze aumentano in misura corrispondente all’avanzare dell’età. Se fino a 29 anni il numero medio di giorni di malattia per lavoratore è pari a 13,2, nella classe di età tra i 30 e i 39 anni sale a 14,9, per toccare il valore massimo sopra i 60 anni, con 27,4 giorni medi di assenza all’anno. Il che dimostra anche che l’aumento dell’età pensionabile imposto in tutta Europa e anche in Italia negli ultimi anni con la scusa che l’età media della popolazione è aumentata in realtà non è proprio una scelta oculatissima.

In aggiunta ai dati forniti dalla Cgia, l’Inps ha messo a disposizione un aggiornamento relativo al 2013 pubblicato nel novembre scorso: l’Istituto dice che in quell’anno “sono stati trasmessi 11.869.521 certificati medici per il settore privato e 5.983.404 per la pubblica amministrazione; nel settore privato il numero dei certificati di malattia trasmessi è stato sostanzialmente uguale a quello del 2012, con un aumento dell’1,1%, mentre per la pubblica amministrazione complessivamente si rileva un aumento del 9,2%”. L’istituto dice che “confrontando le serie mensili dei certificati medici trasmessi per settore, emerge che nel settore privato l’andamento è abbastanza stabile nel triennio 2011-2013”. Nel pubblico, invece, lo stesso periodo “evidenzia un trend crescente”. Ecco qua, penserà qualcuno, la prova che comunque i dipendenti pubblici sono dei fannulloni. Ma forse la spiegazione del trend in aumento nel settore pubblico sta proprio nell’invecchiamento progressivo dei pubblici dipendenti, alle prese ormai da molti anni con il blocco del turn over con il conseguente aumento dei carichi di lavoro (e dello stress) e con lo stop all’assunzione di giovani leve in sostituzione di coloro che hanno la fortuna di andare in pensione. E come abbiamo visto – ma non ci vuole uno scienziato per capirlo – più aumenta l’età media più si moltiplicano i casi di malattia.
Insomma la realtà smentisce il cosiddetto ‘senso comune’, che altro non è che il frutto di anni di campagne denigratorie contro i pubblici dipendenti. Appare quindi quanto mai paradossale e autolesionistico che i dipendenti del settore privato e i giovani precari, di fronte al rapido peggioramento delle proprie condizioni di lavoro, invece di far fronte comune con i lavoratori pubblici chiedendo un miglioramento per tutti, si schierino contro la pubblica amministrazione sfogando così le proprie frustrazioni sul bersaglio sbagliato. Speriamo che il 2015 porti consiglio…

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