L’accordo dell’ultima ora Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale, tradotto in un emendamento di poche righe dal Senatore Esposito, ha dunque superato l’esame del Senato, e questo nonostante i forti mal pancia espressi, sia nel PD che in Forza Italia, dalle minoranze interne.
Riguardo a queste ultime è però bene fare un minimo di chiarezza. Tolta, infatti, la feroce critica ai capilista bloccati, per quanto riguarda l’aspetto più inquietante dell’Italicum, e cioè l’assegnazione ad ogni costo del premio di maggioranza, in barba alla sentenza della Consulta che nel caso del Porcellum ha censurato l’assenza di una soglia minima di voti per la sua assegnazione, siamo di fronte allo zero più assoluto.
Stesso atteggiamento anche da parte delle opposizioni numericamente più significative, con addirittura alcune controproposte non meno scandalose dell’accordo Renzi-Berlusconi: dalla reintroduzione del Mattarellum, all’aver spianato la strada all’assegnazione del premio di maggioranza alle singole liste e non più, anche, alle coalizioni di liste.
Premesso ciò, non è questo il momento per stigmatizzare il comportamento delle opposizioni o delle minoranze interne, tanto più che sarebbe tempo perso, vista, appunto, l’assenza di una reale alternativa al patto maggioritario del Nazareno.
Come poco sopra ricordato, infatti, l’aspetto più peculiare dell’accordo del Nazareno sull’Italicum, accordo che peraltro prevede anche la rottamazione del Senato, sarà quello di “regalare” all’Italia, unico paese al mondo, un potere esecutivo forte di una maggioranza parlamentare che non deriva tanto dal consenso elettorale effettivamente conseguito, bensì GARANTITA per legge; una maggioranza parlamentare, inoltre, che per un 30% circa sarà costituita dai capilista e, quindi, da nominati.
Ma per arrivare ad avere la certezza di questo risultato in assenza di un effettivo consenso elettorale, l’accoppiata Renzi-Berlusconi ha ovviamente dovuto escogitare un trucco per cercare di aggirare la sentenza della Consulta sopra ricordata: il turno di ballottaggio tra le due liste maggiori.
Un turno di ballottaggio che non prevede dei requisiti minimi da dover adempiere, quali ad esempio un numero minimo di elettori al turno di ballottaggio o il consenso di un numero minimo di voti tenuto conto del risultato del primo turno.
In ipotesi, quindi, forze politiche al 25%, impossibilitate ad accedere al premio di maggioranza con il primo turno, perché al di sotto del previsto 40% dei voti validi, potrebbero facilmente conquistare questo premio dopo il turno di ballottaggio, pur conseguendo un numero di voti inferiore o, comunque, meno dei voti che sarebbero stati necessari per accedere al premio di maggioranza nel turno precedente.
Una distorsione dell’effettiva rappresentatività del voto espresso dagli elettori che potrebbe raggiungere quegli stessi livelli di intollerabilità già verificatisi con il Porcellum e che, per l’appunto, sono già stati motivo della bocciatura del Porcellum da parte della Corte Costituzionale.
Se a questo aggiungiamo che con la modifica ultima il premio si assegna alla singola lista e non più anche alle coalizioni, la frittata è completa.
Delle due l’una: a contendersi i ballottaggi saranno liste molto omogenee ma ancor più scarsamente rappresentative di una parte significativa del corpo elettorale; oppure dei listoni destinati a dividersi il giorno dopo le elezioni, ma dove la spartizione delle candidature nelle circoscrizioni, in particolare la scelta dei capilista bloccati, e quindi la futura rappresentatività di ogni singola forza politica costituente il listone, verrà decisa dal mercato delle vacche tra i capi bastone e non dal voto degli elettori.
*coordinatore di www.riforme.info
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