Ogni anno l’Aisi (i servizi segreti competenti per la situazione interna) presentano al Parlamento, alla fine di febbraio o ai primi di marzo, la loro relazione annuale sulla sicurezza del paese, una analisi che spazia dalle minacce internazionali alle attività criminali. Un capitolo – titolato “Spinte anti-sistema e minacce eversive” – è sistematicamente dedicato ai movimenti sociali e antagonisti di sinistra. A questi sono dedicate anche nella relazione di quest’anno ben sette pagine e mezzo. Ai gruppi neofascisti, come consuetudine, solo meno di una pagina e mezza e dal tono estremamente rassicurante.
Più sotto segnaliamo vari paragrafi della relazione annuale dei servizi segreti al Parlamento, ma c’è un passaggio che obiettivamente gira il coltello in una piaga politica ancora aperta e sulla quale dovrebbero riflettere molti compagni. Si tratta della ulteriore valutazione della due giorni di mobilitazione del 18 e 19 ottobre 2013 (presente anche nella relazione dello scorso anno), che – a nostro avviso ma probabilmente non solo nostro – continua a rappresentare il momento più alto di ricomposizione politica e sociale degli ultimi anni, gli anni in cui la crisi e le misure di austerità si sono abbattute con maggiore violenza sui settori popolari. La mobilitazione dell’ottobre 2013, con uno sciopero generale, decine di migliaia di persone in piazza per due giorni, un meeting- accampata a San Giovanni e una nuova accampata sotto il Ministero delle Infrastrutture – quello di Lupi – a Porta Pia, era stato valutato nella relazione dello scorso da parte del “nemico”, cioè gli apparati coercitivi statali, come “un successo politico dei manifestanti”. Nella valutazione diffusa quest’anno i servizi mettono invece in evidenza come “quel successo politico” sia stata disperso e lo scrivono esplicitamente:
“Il movimento anticrisi, comunque, non è riuscito a consolidare il successo “politico” riscosso nelle manifestazioni romane dell’ottobre 2013, per le rinnovate divergenze e frammentazioni che ne hanno minato l’unitarietà d’intenti. A depotenziarne l’azione hanno contribuito soprattutto differenti visioni fra realtà attestate su posizioni movimentiste, orientate alla “piazza”, ed espressioni più strutturate ideologicamente, interessate ad accreditarsi come “riferimento politico” sia presso gli ambienti di stampo anticapitalista sia presso le fasce popolari che non si sentono adeguatamente rappresentate”.
L’unico momento di controtendenza rispetto alla logica un po’ suicida che ha portato al consapevole auto-affossamento delle giornate di mobilitazione dell’ottobre 2013, secondo i servizi segreti è stata la giornata di “sciopero sociale” del 14 novembre 2014.
“Dopo l’annullamento del vertice europeo sulla disoccupazione giovanile in programma l’11 luglio a Torino, atteso quale importante occasione per rilanciare la protesta, il movimento antagonista ha ripreso il suo impegno in autunno, pianificando molteplici iniziative a livello territoriale funzionali alla creazione di una microconflittualità diffusa in tutto il contesto nazionale. In proposito, la scadenza di maggiore rilievo per incisività d’azione, modalità e capillarità nel territorio è stata la giornata di sciopero sociale del 14 novembre, tradottasi in manifestazioni in numerose città, sfociate anche in scontri con le Forze dell’ordine, blocchi stradali, picchettaggi e proteste nei contesti aziendali, specie del settore dei trasporti, scioperi, blitz contro sedi governative e istituzionali, banche e agenzie interinali, occupazione di edifici in disuso, iniziative davanti ai centri commerciali e ai negozi-simbolo dello “sfruttamento”.
Nel resto della relazione agli analisti dei servizi segreti non sfugge il contesto in cui si producono i conflitti sociali nel nostro paese. Scrivono infatti che:
“In un contesto macroeconomico caratterizzato da persistenti indicatori negativi, con un PIL in contrazione e un elevato tasso di disoccupazione, specie giovanile, si sono registrati segnali di un’intensificazione del disagio, non solo nell’ambito prettamente occupazionale ma anche in quella ampia area della popolazione – che le componenti antagoniste indicano come una sorta di nuovo proletariato urbano– in cui si collocano vari segmenti a rischio di emarginazione sociale, quali “senza casa”, immigrati, famiglie in difficoltà economica e giovani senza prospettive lavorative”.
In compenso gli apparati coercitivi dello Stato si sentono ancora una volta rassicurati dalla funzione dei sindacati ufficiali (Cgil, Cisl, Uil) come ammortizzatori dei conflitti sociali. Scrive infatti la relazione dell’Aisi:
“Le forme di conflittualità sul territorio non hanno tuttavia prodotto nel corso dell’anno percorsi di generalizzazione ed estensione delle lotte, rimanendo sostanzialmente circoscritte alle rivendicazioni di settore volte alla tutela del posto di lavoro. Il ricorso al sistema degli ammortizzatori sociali e l’opera di mediazione dei sindacati confederali, che hanno consolidato la propria immagine di “riferimento essenziale” per la maggior parte dei contesti occupazionali, si sono ribaditi efficaci strumenti di difesa della coesione sociale. La base dei lavoratori, in linea generale, si è pertanto dimostrata sostanzialmente refrattaria ai perduranti tentativi di innalzamento del livello della protesta esperiti dalle formazioni dell’antagonismo, specie di matrice marxista-leninista, intenzionate a ricondurre le problematiche occupazionali nell’ottica ideologica del conflitto antisistema”.
Ma ai servizi segreti non sfugge il dato che le contraddizioni nel mercato del lavoro e il peggioramento delle condizioni lavorative, salariali e normative di segmenti interi del lavoro possano sottrarsi al controllo dei sindacati complici:
“Nel quadro delineato, ha continuato a distinguersi il crescente fermento espresso dal comparto della logistica, le cui maestranze, in gran parte di origine extracomunitaria, sono considerate un ambito di potenziale consenso proprio da quei settori dell’antagonismo che guardano alle vertenze in un’ottica di classe. Parimenti, si profilano, in prospettiva, quali ambiti lavorativi a maggior rischio mobilitativo, tutti quelli ad “alto tasso di precarizzazione”, caratterizzati dall’utilizzo di manodopera asseritamente sottopagata, priva di tutele e senza adeguata rappresentanza sindacale. In termini previsionali, il protrarsi delle criticità occupazionali, correlato alla mancata soluzione delle vertenze, potrebbe originare un innalzamento del livello di protesta operaia nei contesti aziendali più colpiti dalla crisi in atto, suscettibile di estemporanee degenerazioni, anche violente.Ulteriore fattore di rischio appare connesso alle dinamiche rivendicative del cd. precariato esistenziale (precari, disoccupati, giovani, immigrati, etc.) che al problema del lavoro sommano istanze relative a bisogni primari, quali il diritto alla casa, alla salute e, più in generale, alla fruizione di beni e servizi pubblici”.
Anche sul piano sociale e territoriale, la crescente esclusione e il degrado di interi pezzi delle aree metropolitane – le periferie in particolare – comincia a mostrare che queste contraddizioni possono esplodere:
“Nel complesso, emerge dunque uno scenario di crescente malessere acuito da sentimenti di disaffezione verso la politica e le istituzioni e destinato ad accrescere percezioni di frustrazione e insicurezza, che si diffondono specialmente tra quelle fasce della popolazione afflitte da un senso di progressiva esclusione sociale e che trovano valvola di sfogo in forme di contestazione spontanea, dal carattere di generica contrarietà alla situazione esistente. Emblematici, nel senso, gli episodi di vera e propria guerriglia urbana scoppiati soprattutto in alcune aree metropolitane ed etichettati dai media come il fenomeno delle “periferie in rivolta”. Al momento, tali impeti risultano privi di connotazioni ideologiche, ma potenzialmente forieri di improvvise sortite ribellistiche specie contro la rappresentanza politica, sindacale e istituzionale. Nella medesima ottica, non sono da sottovalutare i rischi di un possibile sviluppo di pulsioni razziste e xenofobe nei confronti delle comunità di immigrati, specie se scarsamente integrate, che già in passato hanno trovato differenti forme di innesco e che, nell’attuale sensibile congiuntura, potrebbero trovare ulteriori spunti, tra l’altro, nella percezione di una concorrenzialità sul terreno occupazionale e del welfare. La protesta “anticrisi” ha continuato a catalizzare l’impegno delle componenti antagoniste, determinate ad intercettare nuove disponibilità alla lotta tra le categorie considerate più esposte al disagio con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del conflitto sociale”.
Le crescenti mobilitazioni e consapevolezza sulle responsabilità nelle misure antipopolari imposte dall’Unione Europea, non si sottraggono dall’attenzione dei servizi italiani:
“Le rivendicazioni in tema di reddito, diritti sociali e beni comuni hanno costituito il principale ambito di intervento a livello territoriale mentre, in un’ottica più generale, contestazione è stata indirizzata contro i provvedimenti del nuovo Governo, specie in materia di lavoro, e le politiche d’austerity imposte dall’UE, tematica, quest’ultima, che ha assunto rilievo centrale nel corso del semestre italiano di Presidenza Ue”.
Una particolare attenzione dei servizi segreti viene riservata ancora ai movimenti di lotta per la casa e al coinvolgimento degli immigrati in questo tipo di conflitto sociale:
“Fra i principali attori della mobilitazione anticrisi, i movimenti per la casa hanno mantenuto un ruolo centrale e trainante sotto il profilo del conflitto sociale, con l’attuazione in tutto il territorio nazionale di pratiche illegali e azioni di “disobbedienza civile”, tra cui occupazioni abitative e di spazi sociali, nonché presidi “antisfratto” e inedite iniziative di “pressione” nei confronti dei municipi. In prospettiva, il movimento antagonista si conferma determinato a superare le contrapposizioni interne per dar vita ad una sorta di “coalizione sociale” che interpreti la percepita diffusa voglia di tornare in piazza. Si punterà proprio su quel meticciato dei percorsi di lotta che, pur nella pluralità di rivendicazioni, consente di ottenere “massa di manovra” da utilizzare e gestire per innalzare i toni ed il livello della conflittualità sociale. In tale ottica, acquisterà rilievo in particolar modo l’adesione alle proteste sia della componente migrante, portatrice di un crescente malessere, che di quella giovanile – studentesca, da sempre considerata dagli ambienti antagonisti una forza propulsiva in grado di conferire incisività e spessore alle mobilitazioni di piazza. Significative sinergie si sono consolidate intorno all’asserita recrudescenza dell’attività repressiva, cui sono state ricondotte le iniziative giudiziarie nei confronti dei reati commessi dai militanti, nonché le misure di prevenzione di illeciti in occasione di manifestazioni, qualificate come un tentativo di frammentare e depotenziare i movimenti e la protesta sociale”.
Infine non poteva mancare il monitoraggio e l’analisi sul movimento No Tav in Val di Susa:
“Sul versante della lotta di stampo ambientalista, è proseguito l’attivismo del movimento No TAV, tradottosi in iniziative diversificate in territorio valsusino in linea con la sperimentata “strategia di logoramento”: attacchi al cantiere concentrati soprattutto nel corso della stagione estiva; azioni dimostrative contro imprese e strutture funzionali alla realizzazione dell’opera; gesti intimidatori nei confronti di amministratori locali e politici favorevoli al progetto; diffusione di propaganda denigratoria nei confronti dei magistrati responsabili delle inchieste sugli attivisti d’area. La mobilitazione ha ricercato nuove occasioni di visibilità a livello nazionale, specie in concomitanza con scadenze processuali relative a militanti No TAV che hanno offerto spunti di attivazione anche a frange di matrice anarco-insurrezionalista. Sulla scia della protesta valsusina appaiono destinati ad assumere spessore e visibilità anche gli altri fronti di lotta contro l’Alta Velocità già attivi tra Liguria e Piemonte (Terzo Valico) e in Trentino (TAV del Brennero)”
Alla fine di sette pagine e mezzo di questo tenore, anche con analisi sofisticate dal punto di vista politico ed evidentemente con fonti ben informate sul dibattito nei movimenti antagonisti, i servizi segreti dedicano una paginetta scarsa all’attivismo dei gruppi neofascisti. Poca, pochissima roba nonostante il via vai di fascisti dal fronte di guerra in Ucraina o le evidentissime connessioni emerse tra fascisti e criminalità organizzata. Se sui fascisti è difficile non cogliere la sottovalutazione e la complicità che costella la storia del nostro paese, per gli apparati coercitivi dello Stato il problema continuano ad essere i “sovversivi” di sinistra e non “l’eversione”, i rivoluzionari e non i ribelli.
Il testo integrale della relazione dell’Aisi sul 2014
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