“Bombardiamoli con i droni”. “Inviamo le truppe”. Sullo scenario Libia e traffico dei migranti nel Mediterraneo si rincorrono le proposte più svariate. L’opzione più esplicita l’ha fornita il gen. Tricarico, ex Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica Militare e oggi presidente della Fondazione Icsa (uno dei vari think thank sulla “sicurezza”). Ad una domanda dell’agenzia Askanews sul come intervenire per frenare il flusso di rifugiati e le stragi di migranti nel Mediterraneo, Tricarico risponde: “Attuando un controllo sulle coste anche con l’utilizzo di Predator armati di cui l’Italia al momento non dispone. Vanno colpiti, senza spargere nemmeno una goccia di sangue, le imbarcazioni e i natanti che vengono utilizzati per il traffico di esseri umani. Queste imbarcazioni non devono prendere più il largo. Per fare questo è fondamentale che vi sia un pieno coinvolgimento delle forze libiche. Dobbiamo convincerli – sottolinea Tricarico – a farlo insieme anche dicendogli ‘decidete voi quando e cosa colpire’ perchè non è una guerra alla Libia ma è una azione di polizia per il perseguimento di un obiettivo comune”. L’Italia – ha aggiunto Tricarico – può assumere un ruolo guida in questa missione sotto l’ombrello dell’Unione Europea. “Siamo i titolari più accreditati”. Tricarico auspica inoltre che in tempi brevi il governo si attivi per dotare i Predator dell’Aeronautica militare italiana degli armamenti idonei.
Ma se il generale Tricarico già pensa ai bombardamenti con i droni, il documento in discussione in queste ore tra i rappresentanti dei governi dell’Ue, prevede una escalation interventista in Libia con una sorta di tabella di marcia. Come al solito la premessa è che i negoziati tra le fazioni libiche con la mediazione dell’Onu possano arrivare a buon fine con la costruzione di un esecutivo di unità nazionale. Dopo che il conflitto interno sarà cessato, Bruxelles ipotizza una scala di interventi dell’Unione Europea che prevedono un impegno crescente, anche sul piano militare.
Innanzitutto un’azione di “supporto e monitoraggio del cessate il fuoco” che deve essere messo in atto a livello locale. Ma per realizzare l’obiettivo, l’Unione Europea parteciperà con supporto esterno, coordinamento degli osservatori, l’invio di tecnici, sostegno logistico ma anche con il dispiegamento di forze militari.
Bruxelles sta valutando poi la protezione e il supporto delle infrastrutture strategiche, creando una “green zone” che includa porto e aeroporto di Tripoli, ovviamente presidiata da forze militari europee.
Ci sono poi sono la terza e quarta opzione, quelle che – almeno formalmente – riguardano i profughi in partenza dalla Libia. Secondo questa escalation, l’Ue vuole controllare le frontiere della Libia non solo sulle coste ma anche in ingresso, cioè sui confini della Libia con altri paesi africani.
Infine l’ultima opzione riguarda l’attività di sorveglianza marittima nelle acque territoriali libiche per fermare il traffico di armi e il contrabbando di petrolio.
Se non abbiamo le traveggole, a Bruxelles si ha la netta impressione che stiano pianificando più una sorta di occupazione della Libia che un intervento teso a ridurre o scoraggiare i flussi di migranti nel Mediterraneo. Di cinque step dell’escalation solo una dichiara infatti di avere questo come obiettivo.
Da un lato l’emergenza c’è ed è oggettiva. Centinaia di migliaia di persona in fuga dall’Africa devastata da guerre, miseria e pandemie cerca salvezza lì dove dicono che forse ce la si può fare. Ma se questa è la spinta che sta dietro i flussi di popolazione in cerca di salvezza, le misure prese in esame, nella migliore delle ipotesi, potranno produrre degli immensi e via via ingestibili campi profughi ai confini o sulle coste della Libia. E lì poi saranno o i contractors pagati dai paesi occidentali o i miliziani locali a decidere delle sorti, della vita e della morte delle persone. Il fatto che potrebbero non arrivare più sulle nostre coste servirebbe solo a nascondere nei telegiornali la realtà e a mettersi in pace la coscienza. Ma se l’Unione Europea (Italia in testa) intendono mettere gli scarponi dei propri militari sul territorio della Libia approfittando dello shock emotivo delle stragi dei migranti, dovranno prepararsi ad affrontare qualcosa di molto più simile all’inferno di quanto abbiano sperimentato fino ad oggi in Afghanistan, Iraq o Libano.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa