Non c’è bisogno di ricordare al grande pubblico quali sono i meriti che il nostro sistema universitario, da qualche anno a questa parte, può annoverare nel proprio curriculum: preparazione al lavoro gratuito, organizzazione aziendale della formazione, mercificazione del sapere.. Ma da oggi l’università nostrana potrà vantarsi anche di patrocinare un concorso di bellezza.
Poche settimane fa, il Magnifico Rettore dell’università di Roma La Sapienza ha presieduto la giuria di Miss Università 2015, accompagnato da un chirurgo plastico, un marchese, un giudice della corte d’Assise e alcuni personaggi dello spettacolo: uomini di potere e d’intrattenimento quindi, riuniti al “luxury gaming hall” Billions di Roma per premiare la “studentessa più bella e sapiente degli atenei italiani”.
Come ci si potrà aspettare, dato il carattere spiccatamente culturale della “prestigiosa” iniziativa, le valutazioni non sono state date solo sulla base dell’aspetto fisico ma tenendo in considerazione anche il curriculum universitario delle ragazze: per partecipare a Miss Università infatti sono richieste, oltre alla misura di seno e fianchi, anche la media dei voti e il numero di esami sostenuti.
Gia da qualche anno diversi atenei si avvalgono di alcune ragazze immagine per “reclutare” iscritti, il che è indicativo di come sia ancora viva nella società lo stereotipo della bellezza e, implicitamente, di quale sia il ruolo della donna.
Il concorso di Miss Università fa sorridere molto, ma la gravità con cui si accostano la media dei voti e la taglia di reggiseno è (o dovrebbe essere) quanto di piu umiliante possa esserci per una giovane studentessa. Bellezza e intelligenza diventano, anche ufficialmente, due categorie perversamente equiparabili. Ma non è finita qui, perché avere una bella presenza potrebbe non bastare in questo mondo spietato, e forse un aiutino fa sempre comodo: le prime dieci classificate hanno vinto l’incredibile possibilità di perfezionare il loro aspetto in una delle cliniche estetiche di La Clinique, sponsor ufficiale dell’evento. D’altronde di cos’altro potrebbe aver bisogno una bella e sapiente laureanda, lanciata verso una vita di precarietà e sfruttamento?
Questa grottesca pantomima diventa l’emblema della direzione che ha preso il mondo della formazione, non più luogo di saperi e conoscenza, ma piuttosto l’anticamera di un sistema in ristrutturazione, progettata per abituare i futuri lavoratori (e viene quasi da ridere nel pronunciare questa parola) a quelli che sono criteri di selezione aziendale razzisti e, in questo caso, sfacciatamente sessisti. Per le donne inoltre, si prospettano tempi di crisi anche peggiori, esclusione lenta dal mercato del lavoro, lavoro domestico, ruolo di velina o dama di compagnia. Dimenticatevi dunque l’università dove si studia, si discute e si progetta di cambiare il mondo, perché qui al massimo ci si cambia il naso, in barba all’emancipazione raggiunta con le lotte del secolo scorso.
Eccoci quindi di fronte a un doppio binario inquietante ma – è bene rendersene conto – reale e ben avviato: da un lato un’alta formazione di serie A (o meglio, di “classe A”…), strutturata per la formazione politica e scientifica della futura classe dirigente italiana ed europea, dall’altro un laureificio di massa di serie B, che parcheggia i più in facoltà senza un soldo, inducendo a rincorrere finte opportunità – i 20.000 posti non pagati dell’EXPO, per esempio.
Iniziative come il Carreer Day, in cui le multinazionali entrano a testa alta nelle università per offrire un’opportunità lavorativa a uno su un milione, o come il concorso Miss Università, che seleziona qualche (bella) ragazza per completare il suo curriculum di un merito inesistente, contribuiscono, offrendo seppur pochissimi posti di lavoro, ad alimentare la speranza dei “parcheggiati” che queste iniziative siano realmente opportunità di avere una vita migliore. “Vai a lavorare gratis per l’EXPO, che magari conosci qualcuno”, dicono.. e intanto o emigri, o fai una sfilata (e forse ti va bene), o sei disoccupato: a te la scelta.
Ma per fortuna c’è sempre qualcuno che va al nocciolo del problema e commenta “Certamente la serata e l’evento, che appare ben congegnato e quindi con alle spalle una laboriosa preparazione, ci pone inevitabilmente qualche interrogativo, di spessore variabile, dai più semplici ai più complessi. Il primo è senz’altro immediato e naturale e richiede una riflessione che desidero proporre a tutte e tutti: perché Miss Università e non, anche, Mister Università?…”
Sarcastico o meno il senso di questo commento, il femminismo in Italia ha decisamente bisogno di ripetizioni.
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