Il nuovo “mito di stagione”, il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, ha fatto scalpore alimentando l’eterno derby morale tra Roma e Milano. Le sue dichiarazioni, in linea con luoghi comuni triturati dalla storia, gli hanno meritato la torta in faccia del nostro giornale. Lo stesso Corriere della Sera – quotidiano milanese per eccellenza – non se l’è sentita di sostenerle, preferendo rilanciare l’opzione che contro il malaffare l’unica ricetta è privatizzare tutto. Anche questo un luogo comune ampiamente smentito dalla realtà visto che l’appetito dei soggetti privati sulla “polpa pubblica” è ancora più famelico di quello dei funzionari pubblici mazzettari che vengono beccati con il sorcio in bocca. Tra la “Milano da bere” e la “Roma da mangiare” non c’è poi grande differenza.
L’eterno derby tra la Capitale economica (Milano) e quella politica (Roma), difficilmente potrebbe schierare in campo la dimensione morale a sostegno della propria squadra. Le differenze tra Milano e Roma, sul piano economico continuano a persistere, anzi con la crisi si sono accentuate.
Secondo la nota agenzia economica “Bloomberg”, nella più lunga recessione dalla Seconda guerra mondiale, il Lazio e Roma hanno perso il 24,3% del pil procapite mentre Milano ha perso “solo” un 8,5%. La disoccupazione a Milano si attesta all’8%, mentre a Roma raggiunge l’11% nonostante una forte presenza del settore pubblico nel mercato del lavoro, la quale da tempo – a causa blocco delle assunzioni e riduzione degli organici – ha cessato di essere espansiva sul piano occupazionale. Sul piano delle infrastrutture poi, occorre tenere conto che Roma è estesa sette volte Milano, e con una popolazione che è più del doppio. Nel 2015 Milano raggiungerà quasi 100 chilometri di rete metropolitana, contro i 60 chilometri di Roma. Infine c’è l’impatto della presenza turistica. Roma ha 10 milioni di turisti all’anno (ma secondo fonti del settore si sale a 13 milioni), in confronto ai 7 milioni di Milano. Con l’ Expo, il numero di turisti a Milano è cresciuto del 9% in maggio e del 12% in giugno. A Roma, nello stesso periodo, del 5%.
Appare invece in perfetto equilibrio – smentendo Cantone – la partita sul malaffare. Roma un anno fa ha dovuto fare i conti con lo scandalo di Mafia Capitale che vede 40 imputati alla sbarra nel processo che si apre il prossimo 5 novembre. Milano, solo con gli appalti per Expo, ha visto 15 arresti e una cinquantina di persone indagate. C’è poi la filiera del malaffare della famosa sanità lombarda – la più aziendalizzata d’Italia – con i recenti 3 arresti e 12 indagati e gli strascichi delle vicenda San Raffaele, Maugieri etc. Quasi un pareggio.
Ma al di là delle incommentabili “cantonate”, è utile invece un ragionamento sulla funzione economica e strategica che sono venute assumendo le metropoli dentro la competizione globale.
Ad esempio un rapporto reso noto a giugno dalla Camera di Commercio di Monza basato su dati Eurostat e Registro imprese, segnalava come la macroarea di Milano più Lodi e Monza e Brianza occupa il quarto posto per il Pil tra le grandi aree metropolitane europee. In cima alla classifica figurano Parigi e Londra, rispettivamente con 623 e 617 miliardi di euro. La terza è Madrid (332 miliardi). E poi arriva l’area metropolitana di Milano che supera sia Barcellona che Berlino. Se si valuta il reddito procapite, l’area milanese si piazza al sesto posto dietro Stoccolma, Parigi, Bruxelles, Londra, Amsterdam. Queste metropoli però, a differenza di Milano, sono anche le capitali di uno Stato, con tutto l’indotto che ciò comporta.
Un rapporto dell’Ocse sulle “città competitive” elaborato negli anni scorsi, sottolineava come l’accelerazione dell’urbanizzazione abbia rafforzato il peso delle grandi città o delle aree metropolitane. Oggi, più della metà (53%) della popolazione totale dei paesi OCSE vive nelle aree urbane. Nei paesi aderenti all’OCSE – quindi quelli maggiormente sviluppati dal punto di vista capitalistico – vengono annoverate 78 aree metropolitane con più di 1,5 milioni di abitanti , le quali tendono a concentrare una notevole parte delle attività economiche nazionali. Ad esempio, Budapest, Seoul, Copenaghen, Dublino, Helsinki, Randstad-Holland e Bruxelles concentrano quasi la metà del PIL nazionale nelle aree metropolitane, mentre Oslo, Auckland, Praga, Londra, Stoccolma, Tokyo e Parigi registrano un PIL che rappresenta circa un terzo di quello nazionale. Fatto ancora più saliente: la maggior parte delle aree metropolitane attesta un PIL pro capite superiore alla media nazionale (del 78% contro il 66%) e una più alta produttività della manodopera (del 78% contro il 65%). Inoltre, molte aree metropolitane hanno un tasso di crescita economica più rapido rispetto al proprio paese.
Ma questo quadro economico che sprizza “mission” imprenditoriale da tutti i pori, ha anche i suoi effetti collaterali, quelli che impattano con più forza – e con maggiori strumentalizzazioni – sulle fasce popolari, in particolare nelle periferie e nelle cinture delle aree metropolitane. Ad esempio oltre 1 milione e mezzo degli immigrati residenti in Italia, praticamente un terzo dei 4.570.317 residenti stranieri presenti in tutto il paese, vive nelle aree metropolitane. In particolare, è nelle cinture metropolitane che si registrano i tassi di incremento più significativi della presenza di immigrati, soprattutto a Roma, Venezia, Torino e Reggio Calabria.
Negli ultimi 10 anni si è assistito poi a una crescita demografica importante dei comuni nella cintura delle metropoli italiane, dovuta soprattutto all’aumento dei flussi migratori degli stranieri (+249%) che hanno stabilito la propria residenza in questi luoghi.
Se il dibattito pubblico partisse da questi fattori e non dalle “Cantonate”, magari si riaprirebbe una seria discussione sulla qualità e le possibilità di sviluppo nelle aree metropolitane. Ma un serio dibattito pubblico su questi temi sarebbe una smentita colossale dei sostenitori delle privatizzazioni e della prevalenza del privato sul pubblico. Il secondo può fare “sistema”, il primo ha fatto danni, enormi danni, nelle città come nel pianeta. I dati della crisi sono lì a dimostrarlo. I “prenditori” che abbondano sia a Milano che a Roma e che prosperano privatamente sulle risorse pubbliche, non possono rappresentare in alcun modo una prospettiva di progresso nè di risposta alle domande sociali. Onestà e legalità non bastano più, non sono mai bastate.
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