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Renzi mente: questo non è più un paese per giovani

Che l’Italia non fosse un Paese per giovani lo dice la realtà, e lo conferma anche l’ISTAT. Non è bastato il Job Act, il contratto a tutele crescenti e la garanzia giovani per gonfiare in modo sostanziale i dati sull’occupazione, e sgonfiare quelli sulla disoccupazione.

A dispetto di quanto periodicamente i media scrivono per tentare di convincerci che l’economia ha ripreso a crescere, l’anno scorso sono stati oltre 90.000 i giovani tra i 18 e i 40 anni che non solo hanno lasciato l’Italia, ma hanno addirittura trasferito la propria residenza altrove; in Gran Bretagna, Germania e Svizzera, principalmente, dove i tassi di occupazione giovanile salgono all’80-90% contro il 45% in Italia (fonte Eurostat).

Questo almeno quanto si è riusciti a tracciare, perché i dati sui flussi in entrata e in uscita dei giovani da e nel nostro Paese non riescono a tener conto di tutta quella parte di popolazione “nomade”, che va e viene in cerca di un barlume di stabilità;  probabilmente, come succede spesso, il dato presentato è sottostimato. Si tratta non solo di “qualche” generazione di giovani, ma di una fascia molto piu consistente di popolazione che rappresenta la parte piu attiva della popolazione. Sono giovani e adulti in cerca di avventure, di benessere, di lavoro, la maggior parte dei quali non provengono dalle periferie ma dai centri metropolitani piu grandi del Paese: Milano, Roma, Napoli, Torino.

Un dato, questo, in netta controtendenza rispetto alle esperienze migratorie del secolo scorso. Durante il ‘900, abbiamo visto un’ondata migratoria di giovani braccia oltreoceano, verso il continente americano, e poi verso le città industriali del nord Italia, e del nord Europa. Allora era manodopera a basso costo, analfabeti o quasi che poco erano sostati allo Stato, come sintetizza Repubblica.

Oggi, invece, si tratta di giovani istruiti, “costati” allo Stato circa 23 miliardi di euro. Braccia o cervelli che siano, assistiamo a un nuovo fenomeno migratorio, oggi come allora in cerca di un futuro migliore, ma oggi come allora coscienti che la scelta non è facile e che il futuro migliore non aspetta al di là delle Alpi. Anzi, molto spesso si tratta di cervelli trasformati in manodopera a piu o meno basso costo.

Ma qual è quell’azienda che regala tanti soldi a un suo cliente, senza avere nulla in cambio? Forse solo un’azienda in profonda crisi, che dopo aver speculato per qualche tempo sulle proprie risorse umane, se ne disfa senza rimpianto, magari vendendole al primo offerente. La differenza tra uno Stato e un’azienda è che disfarsi delle risorse migliori, e di molto piu di una generazione di know how tecnologicamente e intellettualmente avanzati, non promette nulla di buono per il futuro del Paese.

La differenza tra uno Stato e un’azienda è che la politica di precarietà e di compressione delle tutele e dei diritti provocano uno svuotamento economico, sociale e culturale che accelerano in modo esponenziale la caduta del Paese nel baratro. Uno Stato o un’azienda che non valorizza le proprie risorse migliori prima o poi le perderà (ed è cio che sta avvenendo), è uno Stato che non guarda avanti e che condanna il futuro di molte generazioni a condizioni di vita sempre peggiori.

E i consigli di Poletti ai giovani su quali tipologie di studi intraprendere, e su come apprendere, dicono un po questo: abbassate le pretese, perchè la piramide demografica in italia mostra una forma distorta, con sempre meno nati. Ci troveremo, nel prossimo ventennio, ad avere sempre piu vecchi da sostenere e sempre meno giovani, a meno che non si inizi a sfoltire un po’ questa grossa fascia di popolazione che va dai 20 ai 55 anni che rappresenta la pancia della nostra piramide demografica: quindi emigrazioni, esclusione dalla società, fame, ditruzione e morte, un modo efficace per sfoltire la popolazione, e annullare nel giro di pochi anni, le condizioni di benessere raggiunte in decenni di lotte, sviluppo e miglioramento continuo.

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