Un premier bugiardo è quasi la normalità, da che mondo è mondo. Sono davvero pochi quelli passati alla storia per aver detto pubblicamente la verità, specie sui fatti che lo riguardavano da vicino. Quindi non c’è da meravigliarsi se ne abbiamo sempre uno a palazzo Chigi.
Ma quello attuale, quasi quanto il suo modello – Berlusconi – ha due problemi serissimi. Il primo è l’esistenza di una magistratura in qualche caso indipendente dal potere politica (“frange marginali” si sarebbe detto una volta). Il secondo è la sfortuna di dire la menzogna più grossa nel giorno sbagliato.
Vediamo un po’ quel che ha combinato ieri, nelle ore in cui la sua protetta Mariaele Boschi veniva sentita dagli odiati magistrati della Procura di Potenza.
“Il governo ha sbloccato un’opera bloccata dal 1989. Lo scandalo non è che sia stato approvato l’emendamento ma che per 27 anni si sono perse opportunità. Se avete qualcosa da chiedere chiedetemelo. Che si vada a sentenza. In Basilicata le inchieste sul petrolio si fanno ogni 4 anni, come le Olimpiadi. Non si è mai arrivati a sentenza. Se qualcuno ha rubato va messo in galera ma non si blocca l’opera. Chiedo alla magistratura di procedere velocemente e andare a sentenza”.
Il caso di Potenza è davvero singolare, bisogna ammetterlo. I pm indagano, emettono ordini di cattura, iscrivono al registro degli indagati politici nazionali e locali, dirigenti di multinazionali, ecc, ma difficilmente il processo si conclude.
Ha ragione dunque il premier? L’esatto contrario, ha torto marcio. A dirlo non siamo soltanto noi, ma un articolo de La Stampa, organo di casa Fiat-Fca, insomma degli Agnelli e del suo sponsor Sergio Marchionne, apparso il giorno prima del citato discorso alla direzione del Pd.
Dal resoconto si capisce benissimo che i processi contro i “poteri forti”, in quel tribunale, non arrivano a sentenza per i motivi più diversi (magistrati giudicanti trasferiti, giudici a latere che si fidanzano tra loro, carenze di organico, ecc), ma sicuramente non per l’insussistenza delle accuse. Lì i processi subiscono così tanti incidenti e interruzioni da concludersi sempre per intervenuta prescrizione. Gli imputati vengono insomma prosciolti perché il tempo trascorso è troppo, non perché siano innocenti.
Quindi è falso quel che Renzi, tra le righe del suo discorso, vorrebbe far credere: ovvero che quelle inchieste erano campate in aria.
Ma un bugiardo seriale compulsivo, oltretutto messo alle strette da un’inchiesta che sta minando il suo governo (dimissioni della Guidi, “audizione” della Boschi, poi vedremo) e che lo ha costretto a rivendicare personalmente l’emendamento pro Tempa Rossa (un favore alla Total e al convivente della Guidi), è stato stavolta anche sfortunato.
Mentre parlava davanti ai complici del direttorio Pd, infatti, a Potenza veniva emessa una sentenza di condanna proprio contro la Total. Prendiamo la notizia ancora da La Stampa, in modo da non incorrere in sospetti di “complotto” contro il premier-pinocchio.
“sono stati condannati a sette anni gli uomini della Total della Basilicata, Roberto Pasi e Roberto Francini. L’ex amministratore delegato di “Total Italia” Lionel Lehva e un altro dirigente del gruppo petrolifero francese, Jean Paul Juguet, hanno avuto 3 anni e 6 mesi. Il processo era istruito contro 31 imputati. Una inchiesta «granitica», con le intercettazioni ambientali che raccontano della manipolazione della gara d’appalto: e lo stesso Lehva che dà indicazione di aprire le buste della gara e contraffarle. Nell’ambito di quella inchiesta, un parlamentare del Pd, Salvatore Margiotta, ė stato processato con il rito abbreviato e assolto.”
Riassumendo: la Total corrompe abitualmente amministratori pubblici (questo processo riguarda un altro episodio, collaterale alle vicende di Tempa Rossa) e manipola le gare d’appalto in modo da vincerle o farle vincere alle imprese controllate.
Ma anche questo processo, tormentato come i precedenti, finirà a giugno in prescrizione. Gli imputati, trovati colpevoli in primo grado, verranno sgravati da ogni accusa. Ma non diventeranno per questo degli imprenditori senza macchia e senza paura.
Come si vede, la situazione dei processi lucani delinea un quadro tutt’altro che tranquillizzante. Al punto da lasciar pensare che “i processi non arrivano a sentenza” perché qualcuno – a Potenza o nei palazzi del governo – si preoccupa di non farceli arrivare.
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