Nonostante il pesante condizionamento del voto da parte del sistema mediatico ed economico britannico e continentale, alla fine il referendum in Gran Bretagna ha sancito la vittoria della Brexit.
L’ennesima smentita dei sondaggi, che ad urne aperte continuavano tutti a certificare la vittoria dei pro-Ue, ormai ampiamente utilizzati dalle classi dominanti non per evidenziare tendenze reali ma per cercare di orientare il voto dei cittadini diffondendo fotografie artefatte.
Non sono servite le minacce e i ricatti dei principali partiti britannici, e neanche quelle dei capi di stato e di governo dei paesi dominanti dell’Unione Europea, a convincere la maggior parte dei cittadini britannici che la scelta migliore fosse rimanere all’interno di quella che ormai anche a livello di massa viene percepita come una gabbia, un potere autoritario e antipopolare, una macchina burocratica senz’anima.
Non è bastato neanche dipingere la campagna per la Brexit come frutto esclusivamente delle pulsioni protezioniste e xenofobe della destra, cancellando totalmente da mesi di resoconti giornalistici e politologici la posizione, espressa da forze sindacali e politiche di classe e di sinistra radicale. Appare abbastanza ovvio che all’interno di quel 52% di cittadini che hanno votato ‘leave’ c’è anche un voto progressista, democratico e di sinistra stufo di diktat neoliberisti, di tagli allo stato sociale e al lavoro, di privatizzazioni, di guerra e di riduzioni dei diritti, conseguenza delle politiche imposte dal meccanismo di governance continentale, e non solo della volontà dei governi nazionali.
Il risultato britannico evidenzia per l’ennesima volta la crisi verticale di egemonia che sta investendo le classi dominanti e in particolare la borghesia europea ed europeista, reduce da una serie di passi falsi che vanno dalla sconfitta nel referendum in Grecia – che Syriza non ha voluto e saputo tradurre in conflitto – al crollo del Pd alle recenti elezioni amministrative fino alla massiccia e inaspettata protesta dei lavoratori francesi contro una legge ispirata da Bruxelles e Francoforte.
Da anni Londra ha goduto di una rendita di posizione derivante dalla sua collocazione intermedia tra Unione Europea e polo statunitense. Per questo ha ottenuto numerosi privilegi pur godendo delle possibilità che lo spazio economico e politico comune mettevano a disposizione: non è mai entrata nell’Euro, non ha mai aderito del tutto alla libera circolazione, ha mantenuto la propria sovranità su aspetti che nel resto del continente sono stati progressivamente presi in consegna dai livelli comunitari di governance. Nella trattativa di febbraio, per togliere argomenti ai fautori della Brexit, l’Unione Europea ha accettato un aumento ulteriore delle prerogative di Londra, pensando che il trattamento di favore sarebbe bastato a evitare la frattura. Ma non è stato così: le contraddizioni interne all’Ue e tra il polo europeo e i suoi concorrenti a livello globale, primo tra tutti quello statunitense, sono cresciute a tal punto da far saltare quel ponte che Londra ha sempre rappresentato tra le due sponde dell’Atlantico. E’ ovvio che dopo la vittoria della Brexit la prospettiva della firma del TTIP da parte dell’Ue si allontana ulteriormente, ora che la camera di compensazione e il “cavallo di troia” rappresentato dalla Gran Bretagna perde la sua funzione.
Così come è abbastanza evidente che la scelta della maggior parte dell’elettorato inglese di uscire dall’Ue acuisce le contraddizioni con Scozia, Galles e Irlanda del Nord, che in nome di un sentimento europeista – in parte reale ma in parte strumentale, utile a segnare un distinguo netto rispetto a Londra – proveranno ora a rompere del tutto con l’Inghilterra. E a quel punto una Gran Bretagna “finalmente indipendente” fuori dall’Ue potrebbe andare letteralmente in pezzi.
Dopo la vittoria del ‘leave’ al referendum di ieri gli scenari sono tutti da definire, e sarebbe sbagliato adottare letture deterministiche del futuro prossimo. Assisteremo a processi contraddittori e dai tempi lunghi.
E’ evidente che nell’immediato la sconfitta dei pro-Bruxelles in Gran Bretagna assesterà un bel colpo al progetto di unificazione continentale ed avrà ripercussioni politiche ed economiche di non poco conto. Ma è anche vero che, se Londra dovesse rispettare veramente il risultato del referendum, l’Unione Europea ‘residua’ potrebbe uscire in realtà rafforzata dall’eliminazione di un elemento spurio, di una contraddizione quale è sempre stata la Gran Bretagna, eliminata la quale l’Eurozona potrebbe proseguire sul cammino di una nuova ondata nel processo di unificazione, centralizzazione e gerarchizzazione. Una Unione Europea senza Gran Bretagna perderebbe sicuramente “massa critica”, ma acquisterebbe omogeneità e soprattutto vedrebbe un aumento dell’egemonia all’interno del progetto imperialista europeo da parte delle frazioni già dominanti della borghesia continentale, in particolare quella tedesca.
Ma, ovviamente, un’accelerazione del processo di unificazione e centralizzazione europea non farà altro che generare nuove contraddizioni, accentuando il suo carattere autoritario, antipopolare e guerrafondaio. E per tenere a bada le contraddizioni evitando di implodere il nucleo duro dell’Ue dovrà necessariamente ricorrere ad un doppio livello di integrazione, quell’Europa a due velocità di cui da tempo si discute.
Appare davvero paradossale – ed un segnale di notevole arretramento – che, proprio alla vigilia dello storico voto dei cittadini britannici a favore della Brexit il blog di Beppe Grillo abbia preso esplicitamente posizione per una impossibile riforma dell’Unione Europea e non più per una fuoriuscita. Sembra delinearsi dentro al Movimento 5 Stelle una divaricazione tra gli ambienti che continuano a difendere la realizzazione di un referendum sull’uscita dall’Ue e quei dirigenti che invece si attestano sulla parola d’ordine stantia e inattuale della ‘riforma’, pensando probabilmente a future responsabilità di governo nazionale.
I fatti di Londra dimostrano per l’ennesima volta che chi si ostina a difendere una ‘democratizzazione’ di un sistema vorace e irriformabile si mette irrimediabilmente fuori dalla storia e dalla realtà, smentito da un lato dall’intransigenza e dall’incapacità delle classi dirigenti continentali e dall’altra dalla voglia matta di un numero sempre maggiore di popoli di uscire dal recinto e di rompere la gabbia.
Occorre da subito rilanciare la mobilitazione contro l’Unione Europea e per rafforzare la mobilitazione a favore dell’Ital/Exit. La Rete dei Comunisti ribadisce il suo sostegno a tutte le mobilitazioni sociali che si indirizzano verso la possibilità della rottura della gabbia dell’Unione Europea. Il recente Convegno di Napoli organizzato dalla campagna Eurostop ha indicato alcune ipotesi di lavoro per i prossimi mesi. Con un’attitudine internazionalista saremo in queste mobilitazioni consapevoli che l’obiettivo strategico di questa fase resta rafforzare e organizzare l’opposizione al polo imperialista europeo.
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