Le batoste fanno male, soprattutto se a rifilartele è la stragrande maggioranza del paese. E così una classe dirigente vile e servile si sta lambiccando su come evitarne un'altra.
Il tema è il referendum sul Jobs Act, che effettuato “a caldo” – questa primavera, stando ai tempi tecnici dopo la sentenza di ammissibilità – darebbe molto probabilmente un responso ferale per l'esecutivo Renzi-bis chiamato Gentiloni.
Le ipotesi per rinviarlo non sono molte. Quella più politicante dipende dalla durata del governo attuale. Se viene fatto cadere in primavera, si deve andare a nuove elezioni politiche e quindi – per legge – il referendum sul Jobs Act verrebbe rinviato all'anno prossimo. Per allora, sperano le imprese e il capitale mutinazionale, un po' della rabbia popolare potrebbe essere sbollita, al punto da non garantire il raggiungimento del quorum e quindi la delegittimazione bis dei loro terminali a Palazzo Chigi.
Questa soluzione andrebbe bene a Renzi, perché ogni mese che passa il suo appeal rischia di passare di moda. E anche Signorini – il direttore di Chi, che gli dedica copertine strappacuore mentre fa la spesa alla Coop – potrebbe considerarlo alla fine uno dei tanti ex. Non andrebbe però tanto bene per chi deve trovare a breve molte soluzioni (non esclusi gli impegni internazionali di marzo e maggio) per tenere in carreggiata un veicolo piuttosto malconcio.
E allora? L'altra soluzione è fare delle finte modifiche al Jobs Act, ritoccando appena un paio di cose insignificanti sul piano sociale, ma sufficienti – su quello legale – a invalidare il quesito referendario sulla legge.
Il tema privilegiato è quello dei voucher, non a caso sponsorizzato dalla presunta “sinistra” interna al Pd. Completamente liberalizzati, sono diventati la forma salariale preferita da imprese di tutte le dimensioni, visto che con quel ticket si può pagare una paga a ora, senza contributi previdenziali né diritti per chi lavora. Una sorta di caporalato legalizzato, uno schiavismo ad hoc che non lascia scampo soprattutto alle giovani generazioni (quelle sempre “in cima ai pensieri”, nelle dichiarazioni in tv).
Ad ottobre ne sono stati venduti 121 milioni, pari a 15 milioni di giornate lavorative. Fatevi due conti a vedete a quanti posti di lavoro “normale” corrispondono, senza peraltro smuovere assolutamente nulla quanto a “ripresa” dell'economia.
Inoltre, dal primo gennaio, grazie proprio al Jobs Act, spariscono tutta una serie di ammortizzatori sociali, a cominciare dalla mobilità. E il nuovo sussidio di disoccupazione, la Naspi, non ha la stessa estensione o durata. E questo potrebbe invece far crescere un malessere sociale già ai limiti di guardia.
Una risposta rapida, da parte del governo, è comunque difficile. Prima di muoversi per modificare a casaccio la normativa sui voucher, infatti, si attende di conoscere i dati sugli effetti provocati dalla cosiddetta “tracciabilità” dei ticket in questione. Da ottobre è infatti in vigore l'obbligo, per il datore di lavoro “voucherista”, di comunicare via sms o mail – un'ora prima della “prestazione lavorativa” – l'attivazione del voucher (fino ad allora erano usabili senza alcun limite). In teoria, questo dovrebbe fare da deterrente per il lavoro neo (spesso il voucher viene attivato dopo un infortunio del lavoratore).
In ogni caso, la Corte Costituzionale deve pronunciarsi l'11 gennaio sull'ammissibilità dei tre quesiti su cui la Cgil ha raccolto oltre tre milioni di firme: i voucher, appunto, l'art. 18 (da ripristinare) e la corresponsabilità dell'impresa vincitrice dell'appalto in quel che combinano i subappaltanti. E' chiaro che se tutti e tre i quesiti dovessero essere promossi, e ricevere il voto favorevole, l'altro pilastro delle “riforme” renziane verrebbe abbattuto , azzerando o quasi una stagione letale per il mondo dei lavoratori e sconfessando – indirettamente – le “prescrizioni” della Troika.
Una modifica della regolamentazione dei voucher potrebbe facilmente essere venduta come una mossa “che va nel senso del relativo quesito referendario”, ma resterebbero comunque in piedi gli altri due. Sui quali, peraltro, non ci sono molti margini di fantasia per modificarne la portata (o c'è la reintegra, dopo un licenziamento illegittimo, o non c'è; e così per gli appalti).
Quindi a Palazzo Chigi si lambiccano sulle possibili soluzioni.
Sia chiaro: per impedire che la gente voti di nuovo contro, non certo per rimuovere una normativa criminogena e criminale.
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