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Stavolta l’Italia rischia la procedura d’infrazione

L’Europa “a due velocità” sarà un inferno, non il tranquillo purgatorio in cui i forti corrono e i deboli fanno lo stesso percorso con i propri tempi, senza sfiancarsi.

Se ne sta accorgendo il governo Gentiloni, insie al ministro Padoan, impegnati per ruolo istituzionale in un confronto quotidiano e defatigante con la Commissione europea, mentre l’omino di Riganano scatena i suoi (facidiati) parlamentari per aprire la crisi di governo che dovrebbe permettere di andare alle elezioni entro giugno; prima cioè che la battutina di Zoro (“t’o o ricordi Renzi?”) diventi senso comune per tutti.

Bruxelles in questi giorni sta insistendo con molta decisione perché il governo italiano fissi le misure per una manovra correttiva da 3,4 miliardi – quanto già contestato dalla Commissione stessa rispetto alla legge di stabilità approvata l’ultimo giorno del precedente governo – entro il 22 febbraio. Altrimenti, è la minaccia, verrà aperta una procedura di infrazione, che non avrebbe grandi effetti immediati nei rapporti tra Ue e Italia, ma certamente consegnerebbe il debito pubblico del paese agli spiriti animali della speculazione. Insomma: lo spred tornerebbe a salire a quote “berlusconiane”, costringendo lo Stato a spendere per il servizio sul debito molto di più di quanto non abbia dovuto fare grazie al quantitative easing della Bce.

Tra gli effetti “istituzionali” di più lungo periodo, comunque, una procedura di infrazione avvicinerebbe di molto il passaggio all’”amministrazione controllata” da parte della Troika. Una “ellenizzazione” che non ha bisogno di essere illustrata, visto che la situazione di Atene è sotto gli occhi di tutti.

La prima scadenza chiarifcatrice si avrà lunedì mattina, quando Bruxelles pubblicherà le sue previsioni economiche sull’anno appena iniziato. Non essendo ancora state varate le “correzioni” richieste, il quadro previsionale sarà probabilmente molto pessimistico, evidenziando una “deviazione significativa” rispetto ai parametri di Maastricht e agli obiettivi concordati con la stessa Commissione. Anche perché, verrà certamente ricordato, l’Italia ha negli ultimi due anni beneficiato di ben 26 miliardi di “flessibilità”, senza peraltro ottenere né risultati economici in termini di crescita (in quel caso le percentuali si sarebbero leggermente aggiustate da sole, matematicamente), né tantomeno risultati politici (l’intera “strategia delle riforme” – anche questa concordata con la Troika – è miseramente crollata solo la botta del rerendum del 4 dicembre).

Vista dall’Unione Europea, insomma, è inutile concedere all’Italia margini di flessibilità ulteriori, che verrebbero ampliati oltre il concordato senza peraltro conseguire risultati utili. E' un anticipo già operativo delle "due velocità". A quelli rimasti indietro non verrà regalato nulla (tanto meno una rinegoziazione più flessibile dei trattati in materia di conti pubblici), mentre i "forti" accelereranno la loro integrazione, forse fino al punto i accennare ad una vera unione fiscale.

Gentiloni e Padoan, messi all’angolo da Bruxelles, hanno delineato una manovra fatta di tagli alla spesa pubblica e ritocchi delle accise (in primo luogo su benzina e tabacchi, come in tutti gli ultimi 70 anni). Ma si sono ritrovati subito sotto il “fuoco amico” degli ultrà renziani, ridotti ad appena 37 deputati firmatari di una mozione che vorrebbe stoppare “altri aumenti delle tasse”. Poca roba per mettere davvero in crisi l’esecutivo, ma un segnale di quel che andrà montando nelle prossime settimane, man mano che i tempi per un’eventuale voto a fine primavera diventeranno più stretti.

Gentiloni ha così pochissimi margini di manovra. Non ignora infatti che dentro le varie istituzioni sovranazionali si fa sentire la pressione del nucleo forte dell’Unione )Germania, Olanda e altri “nordici”), che vedono male qualsiasi “favoritismo” nei confronti dell’Italia, colpevole di presentare un debito pubblico al 133% e neanche scalfito negli ultimi anni.

In questo quadro la scadenza del 22 febbraio risulta addirittura una “mediazione” offerta dalle cosiddette “colombe”, malamente rappresentate dal commissario agli affari economici, il francese Pierre Moscovici, abituato da anni a giocare il ruolo del “poliziotto buono” che ti costringe comunque alla resa.

L’unica certezza è che, senza una “correzione significativa” – uguale o molto vicina alle richieste di Bruxelles – i “falchi pretenderanno l’avvio di una procedura di infrazione dagli esiti imprevedibili (l’Italia, fin qui, ne ha ricevute altre, ma mai per i conti pubblici).

Lo hanno capito tutti, meno che Renzi. Un vero statista…

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