A poco più di un mese dalle elezioni la campagna che deciderà chi amministrerà la Superba è entrata nel vivo.
La sfida per Tursi vede svariati schieramenti in campo e si sovrappone alle battaglie che la giunta Doria sta conducendo per portare avanti parte degli obiettivi incompiuti della mission che il PD gli aveva attribuito, privatizzazioni in primis.
Se da un lato l’ultima esperienza della “rivoluzione arancione” stenta non poco ad avere i numeri per potere attuare, in dirittura d’arrivo, il proprio programma, dall’altro la frantumazione della rappresentanza politica tra le fila di coloro che avrebbero potuto costituire un alternativa sia al centro destra che al centro sinistra è una realtà.
Dal tentativo iniziale di governare le contraddizioni sociali attraverso la creazione di una narrazione di “alterità” e la ricerca di un minimo di consenso della base sociale che l’aveva votato, la giunta Doria è passata al terrorismo psicologico tout court.
Ci si è trovati quindi in un clima di “creazione del nemico” nei confronti di coloro che si oppongo all’attuale corso politico, siano essi consiglieri comunali “dissidenti”, porzioni combattive della working class, componenti politiche “incompatibili” con il progetto che la trama di poteri ha designato per Genova.
Quattro sono i dossier principali che questa amministrazione giunta al capolinea sta cercando di “archiviare”, lasciando le scelte compiute in eredità a chi governerà la Superba, ma soprattutto alla popolazione del capoluogo ligure:
– la privatizzazione delle partecipate con il previsto accorpamento tra Amiu e Iren e la preparazione per la svendita dell’azienda del trasporto pubblico urbano: AMT
– il finanziamento pubblico del Blue Print: ennesima operazione di speculazione edilizia utile solo al “partito trasversale” del cemento, progettata dall’ archi-star Renzo Piano nel solco della ristrutturazione urbana secondo la filosofia della smart city
– la velocizzazione delle politiche per rendere il centro cittadino una vetrina per il turismo mordi-e-fuggi e bandito all’attività politica delle classi subalterne anche attraverso la rigida applicazione della legge Orlando-Minniti;
– il definitivo sdoganamento di una politica dichiaratamente razzista nei confronti degli immigrati da parte delle forze politiche del centro-sinistra che si sono rese protagoniste, tra l’altro, di una mobilitazione della totalità degli eletti del Municipio Centro-Ovest contro l’installazione di un Cas con un centinaio di migranti in una zona retro-portuale pressoché disabitata.
il centro destra e il centro-sinistra, sono entrambi motivati nel perseguimento della dismissione dell’apparato produttivo rimanente almeno che non prenda la forma di “zone economiche speciali”, e delle privatizzazioni, nella riconfigurazione del porto agli interessi delle “multinazionali del Mare”, nel proseguimento delle “Grandi Opere” e nei vari progetti di speculazione edilizia (e del Sistema che alimentano), nell’abbandono sostanziale delle periferie, tranne che per un parziale soddisfacimento di quella residuale rete clientelare che ne garantisce il sostegno elettorale attraverso interventi di cosmesi urbana che incidono molto parzialmente sulla realtà dei quartieri-dormitorio.
La peculiarità di questo passaggio elettorale per il centro-sinistra sta nella recisione netta con il proprio storico corpo sociale di riferimento, al di là degli endorsement della dirigenza del “vecchio movimento operaio” e dei corpi sociali intermedi ad esso connessi, portando a compimento la lunga marcia di cui la giunta Doria è stata un tassello fondamentale.
Per il centro-destra l’aspetto rilevante è una ricomposizione politica attorno ad un blocco sociale di riferimento che vuole giocare le sue carte in un contesto di rapporti di forza che hanno fatto saltare ogni istanza conciliatoria e concertativa soprattutto tra Capitale e Lavoro Salariato.
Questo “centro-destra” vuole capitalizzare maggiormente gli anni di “lotta di classe dall’alto”, liberandosi di pratiche di mediazione a cui ha dovuto suo malgrado adattarsi.
In sostanza si candida a farsi carico in prima persona dell’attuale congiuntura politica, sobbarcandosi direttamente il governo della città (dopo quello della regione) per smaltire una obsoleta rete clientelare che “a sinistra” gli ha garantito fino ad ora una relativa pace sociale e una sostanziale subordinazione ai propri interessi.
Si appresta in questo senso a cercare di “sfondare” anche tra i ceti popolari, assumendo un profilo di “destra sociale” fino ad ora relativamente sconosciuto in città.
L’allineamento imposto dal blocco sociale dominante definisce nettamente due campi rispetto ai nodi centrali sovra-esposti: chi “a sinistra” non ha scelto ancora da che parte stare è inservibile ad un qualsiasi progetto alternativo al quadro politico dato, mentre chi questa scelta l’ha fatta “dalla parte giusta della barricata” è indispensabile per la costruzione di una differente rappresentanza politica, al di là della propria collocazione all’interno della configurazione delle rappresentanze elettorali “alternative” che non sono state in grado di trovare una espressione unitaria.
Questa mancanza non è dovuta esclusivamente ad un deficit di capacità di “ingegneria politica”, ma alla pressoché totale assenza di un processo politico collettivo sufficientemente forte che non prendesse come proprio orizzonte prioritario la consultazione elettorale e che cercasse di imparare dalle situazioni concrete in cui questa dinamica virtuosa ha portato a risultati limitati ma apprezzabili nei contesti delle Città Ribelli. In questo quadro la frantumazione della rappresentanza, e la priorità date alle scelte personali individuali senza un dibattito pubblico danno la cifra della fase politica, in cui il “primato della Politica” è stato sostituito dal “primato della persona” seguendo in fondo uno dei credo dell’ideologia neo-liberale, e senza comunque produrre come risultato nessuna leadership “forte” tra le fila dell’opposizione.
Emblematico è il caso del Movimento 5 Stelle a Genova, di fatto spaccato in tre “tronconi”: la coalizione elettorale “Chiamami Genova” con il candidato sindaco Putti, ex capogruppo consiliare del Movimento fuoriuscito alcuni mesi fa insieme ad altri 3 consiglieri comunali ed un eletto in regione, la lista elettorale di Marika Cassimatis, vincitrice delle “comunarie” poi ben presto estromessa dallo staff pentastellato, e Luca Pirondini, il candidato della dirigenza nazionale del Movimento in città, votato dagli aventi diritto dei 5 Stelle a livello nazionale.
Per chi vuole costruire una rappresentanza politica degna di questo nome, e per il ruolo centrale che in essa devono svolgere i comunisti ed in generale chi si riconosce in un orizzonte di trasformazione radicale dell’esistente si apre una partita importante che va giocata al meglio e che non può prescindere dall’analisi concreta della situazione concreta per risolvere praticamente i rompicapi politici che ci stanno di fronte.
In prima istanza bisogna partire da un dato oggettivo che non può essere rimosso: il fallimento trasversale di tutte le forze politiche comuniste (e allargando lo spettro: antagoniste e di “movimento”) nell’essere state in grado di dettare un piano politico qualsiasi su qualsiasi tema in vista delle elezioni.
Ragionare sulla sconfitta è una necessità propedeutica per affrontare le sfide che ci attendono, a cui non sopperiscono le scorciatoie elettoraliste né l’atteggiamento da “anime belle” pronte a “cecchinare” qualsiasi tentativo di costruire un percorso differente dalla riproduzione dei propri angusti perimetri di gruppi ideologico-identitari, salvo poi ricadere in un cretinismo elettoralista “in sedicesimi” ancora più deleterio e paradossale.
Si tratta di ricostruire un progetto politico con una agenda sociale ed un radicamento ancora deficitario nei settori strategici della classe lavoratrice: i settori centrali nella creazione della catena del valore e la sempre più ampia porzione di precariato sociale diffuso.
Una ipotesi politica capace di radicarsi nei territori periferici in cui la crisi ha impattato maggiormente, incominciando a sperimentare forme organizzative che coniughino le istanze sociali con un orientamento politico definito, e rifuggendo la nefasta ipotesi di divaricazione tra lotta sociale e lotta politica.
Nel solco di questa strategia, l’appuntamento elettorale può essere una verifica del proprio consenso, un passaggio di consolidamento di quella guerra di posizione che permetta di non essere esclusi dalla rappresentanza politica istituzionale ed un tentativo di intercettare quella fascia degli esclusi dal patto sociale che se non trova una ragione d’essere per recarsi alle urne le diserta.
In questo processo appare prioritario “lo svecchiamento” dei quadri politici attuali e delle loro scelte (e non scelte) corresponsabili della situazione politica attuale, anche rispetto alle elezioni.
Diviene centrale una formazione che fornisca non solo “la cassetta degli attrezzi” per una corretta decifrazione della realtà, ma un metodo organizzativo che ponga l’accento primario sulla necessità dell’organizzazione stessa come orizzonte imprescindibile e probabilmente unico ancoraggio in grado di assicurare una certa capacità di tenuta in questi tempi estremamente fluttuanti e soggetti a repentine accelerazioni storiche.
Bisogna invertire “il provincialismo politico” teso a non saper leggere la propria situazione specifica in dialettica con l’universo-mondo, capendo la prossimità e l’incidenza di fenomeni continentali anche e soprattutto dal punto di vista della costruzione della rappresentanza politica e il ruolo che in questa svolgono i comunisti e le forze antagoniste nell’UE.
In questa fase specifica non si intravede nella UE un modello unico di organizzazione che serva da “matrice” o da “polo principale”, ma una pluralità di esperienze chiamate a passaggi storici per certi versi epocali che spesso hanno poco a che fare con le discussioni astratte dei “generali senza esercito” risultanti dal processo di balcanizzazione della rappresentanza politica di classe.
Ed il discrimine fondamentale appare sempre più evidente quello dell’atteggiamento rispetto all’UE e all’inasprirsi delle contraddizioni inter-imperialistiche che generano una tendenza alla guerra sempre più al rischio di precipitazioni.
Appare quindi chiaro che senza questa prospettiva a monte, le elezioni per le forze di opposizione politico-sociale rischiano di essere la sterile riproposizione di uno schema che non funziona ormai nemmeno per avere una rappresentanza politica istituzionale residuale che capitalizzi in parte l’impegno politico quotidiano profuso nel lottare contro il blocco sociale dominante.
Senza questo orizzonte, le elezioni certificheranno solo la propria inconsistenza politica e la fase “crepuscolare” della sinistra di classe e difficilmente si potrà impedire che le luci della città vengano spente…
P.S. Una versione organica dei quattro interventi precedenti rivisti e corretti sulle elezioni genovesi usciti su Contropiano è disponibile su: http://www.citystrike.org/2017/04/21/elezioni-genova-le-forze-in-campo
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
marco
bhe un dato buono c'è.
frantumati come sono i cinque stelle non rappresentano più la tentazione di una facile scorciatoia, quindi a meno che non si sia manifestamente autolesionisti i compagni di genova non rischiano di tirar la menata alla previta locale come è successo a roma (salvo poi accorgersi che la signora in questione era la tirocinante di previti e come tale si comporta).
Possono quindi dedicarsi senza distrazioni ad iniziare un percorso di riunificazione della diaspora comunista.
Cosa di cui c'è decisamente più il bisogno che non di una assessorato protempore come quello di berdini.