Usb Scuola esprime solidarietà e vicinanza all’insegnanti di Palermo e Torino barbaramente aggrediti all’interno della scuola nell’esercizio delle loro funzioni.
Crediamo che i violentissimi episodi, ormai all’ordine del giorno, aprano quattro questioni di rilevanza generale:
1) le condizioni di vulnerabilità, di rottura degli argini e di non riconoscimento da parte della società e delle famiglie della funzione educativa che i docenti ricoprono. Condizioni che determinano l’individuazione del docente come soggetto su cui scaricare liberamente aggressività e violenza, cosa che accade, deve essere chiaro, nel solco della visione della scuola come erogatrice di servizi e non come agenzia educativa e degli studenti e delle famiglie come utenti e clienti del mercato dell’istruzione.
2) le condizioni di abbrutimento complessivo e di disagio sociale che la scuola si trova a fronteggiare, nell’assenza di adeguate politiche di crescita educativa e materiale nei quartieri popolari della nostra città. Assenza che costringe la scuola a svolgere funzioni una volta affidate ai servizi sociali, oggi smantellati e impotenti, nella logica dei tagli del servizio pubblico, soprattutto quello di prevenzione.
3) il fatto che la Scuola italiana da alcuni anni a questa parte stia perdendo velocemente il suo ruolo di presidio culturale, sociale ed educativo nelle città e nei quartieri, soprattutto quelli più disagiati, con il chiaro obiettivo di farla diventare una sorta di centro civico omnicomprensivo che tradisce le sue funzioni originarie.
4) le retribuzioni dei docenti, ben al di sotto della media europea, che, insieme alla campagna denigratoria che da anni ha investito una categoria di lavoratori che svolge una funzione chiave sul piano sociale, hanno tolto “valore” alla professione, con la complicità di Cgil, Cisl e Uil che firmano miseri aumenti di 50 euro mensili dopo 10 anni di blocchi contrattuali, hanno favorito per anni lo snaturamento della funzione docente e poi organizzano convegni sul recupero della dignità e del prestigio della professione.
I ragazzi e le famiglie non trovano più nella scuola un luogo dove concretamente emanciparsi e migliorare rispetto al proprio contesto sociale e familiare di partenza. Come istituzione essa non sembra più interessata a svolgere quel ruolo fondamentale, ma piuttosto tutta la comunità scolastica (sotto il controllo vigile e spesso minaccioso dei nuovi presidi-manager-sceriffi) viene forzata a inseguire progetti, imporre pseudo riforme, fare alternanza scuola-lavoro, cercare sponsor privati e contenere costi e ora, grazie ai PON su cui tutti si sono lanciati in cerca di soldi, a tenere aperta la scuola oltre l’orario per svolgere le più diverse attività, che nulla hanno a che fare con l’educazione, la produzione e la riproduzione di cultura. Il risultato è che il ruolo educativo e sociale in ogni scuola – indipendentemente dal grado, indirizzo e territorio in cui opera – viene lasciato sulle spalle di ogni singolo professore che in un attimo può divenire anche il parafulmine e il capro espiatorio di disagio, aggressività, frustrazione, violenza e ignoranza di alunni e genitori.
Su questi temi è necessario aprire il dibattito, costruire mobilitazione, organizzare lavoratori studenti e famiglie perché lo scontro non sia fra di loro ma contro coloro che determinano l’impoverimento materiale e culturale nella nostra società.
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