“Qui comando io”. La trasformazione di Sergio Mattarella, da mite notaio delle istituzioni in decisore di ultima istanza delle sorti del paese, si è consumata in pochissimi giorni.
Prima ha rotto il cincischìo dei “tre poli” incapaci di formulare una maggioranza di governo, avanzando esplicitamente la formula del “governo neutrale”, con tanto di nomi ultra-tecnici fatti circolare nel sistema mediatico.
Ieri ha definitivamente messo da parte ogni cautela per avanzare una originale rivisitazione dei poteri del Capo dello Stato, in senso marcatamente autoritario. Lo ha fatto a Dogliani, residenza abituale di Luigi Einaudi, il secondo a ricoprire la carica nell’era repubblicana, economista liberale di fama internazionale, ex governatore della Banca d’Italia e ministro delle finanze (del Tesoro e del Bilancio, contemporaneamente), nel quarto governo De Gasperi. Un “super-tecnico”, non a caso; un Ciampi accademicamente molto più considerato.
Ma Mattarella non si è affatto limitato a magnificare il ruolo di un presidente di 70 anni fa, ma ha voluto evidenziare alcuni passaggi decisivi di quella presidenza che oggi diventano la sua stella polare nell’affrontare questa crisi politica.
Ha messo infatti in fila quattro concetti che cambiano radicalmente il suo del presidente:
a) «Cercando sempre leale sintonia con il governo e il Parlamento, Luigi Einaudi si servì in pieno delle prerogative attribuite al suo ufficio ogni volta che lo ritenne necessario [… ricordando] il caso illuminante del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo le elezioni del 1953 per la quale non ritenne di avvalersi delle indicazioni espresse dal principale gruppo parlamentare, quello della Dc».
Trasportato nella situazione attuale, Mattarella ha inteso dire a Salvini e Di Maio, impegnatissimi nel “cercare la quadra” tra le rispettive promesse elettorali e la durissima sorveglianza dell’Unione Europea sui conti pubblici, che il nome del presidente del consiglio dovrà essere di suo gradimento. Ovvero un “tecnico” iper-liberista che possa fare da garante della subordinazione anche del prossimo esecutivo rispetto al quadro fissato dai trattati dell’Unione.
Come Einaudi rifiutò di nominare come successore di De Gasperi un uomo scelto dalla Dc (partito di maggioranza relativa), scegliendo invece Giuseppe Pella, un economista suo ex allievo all’università, per formare quello che fu chiamato allora “governo d’affari o governo amministrativo, il cui unico compito era quello di arrivare all’approvazione della legge di bilancio, senza altri particolari fini politici”. Non proprio il “governo neutrale” di Mattarella, ma qualcosa di molto simile…
b) «Un testo – quello scritto da Einaudi in occasione della ratifica della Comunità Europea di Difesa – che conserva un’incredibile freschezza», sottolineando che «la civiltà europea avrebbe potuto salvarsi dall’autodistruzione soltanto collocandosi nella prospettiva dell’integrazione e perseguendo la via degli Stati Uniti d’Europa». Tradotto in linguaggio presente, nessuno pensi di poter allentare qualche vincolo dell’Unione Europea, di nessun tipo, perché anzi oggi bisogna farsi carico anche del richiesto incremento della spesa militare visto che – come ha ricordato Alngela Merkel solo tre giorni fa, e casualmente ieri presente ad Assisi – “Non si può più pensare che gli Usa ci difenderanno, l’Europa deve prendere il suo destino nelle proprie mani”.
c) “Solo una società libera e robusti contropoteri avrebbero impedito abusi“. L’affermazione, in altri tempi quasi banale, assume oggi un significato molto concreto: le forze politiche che stanno cercando di formare un governo non credano di poter fare qualsiasi cosa venga loro in mente (per realizzare almeno in parte i rispettivi programmi), perché il loro ruolo verrà comunque limitato da “altri poteri”, compensativi o di rango superiore. E lui è lì per garantire che il nuovo governo non uscirà dal solco tracciato da quelli precedenti, perlomeno da Monti in poi.
d) “Era tale l’importanza che Einaudi attribuiva al tema della scelta dei ministri, dal volerne fare oggetto di una nota, nel 1954, in occasione dell’incontro con i presidenti dei gruppi parlamentari della Dc, dopo le dimissioni del governo Pella“. Oltre alla scelta del premier, insomma, Mattarella vigilerà attentamente sul profilo di ogni ministro che verrà proposto dalla “strana coppia” riunita ieri al Pirellone. Nessuno spazio per “populisti fantasiosi”, gente senza competenze affidabili secondo i parametri fissati dall’establishment continentale.
e) “Einaudi rinviò due leggi approvate dal Parlamento, perché comportavano aumenti di spesa senza copertura finanziaria, in violazione dell’art.81 della Costituzione“. E’ l’avvertimento finale. Nessuna cancellazione o revisione della legge Fornero, se non saranno previsti tagli di spesa pubblica (ma non a quella militare, che deve invece aumentare) in altri settori. Nessuna flat tax, se il gettito complessivo non fosse identico o superiore a quello attuale. Nessun ritocco neppure al Jobs Act, per le parti che prevedono spesa da parte dello Stato (ammortizzatori sociali, insomma); e dunque nessuno spazio al “reddito di cittadinanza”, neanche nella versione costrittiva uscita di recente dal pensatoio grillino.
Nell’insieme, il discorso di Mattarella ieri disegna un assetto istituzionale nuovissimo, ma pienamente cosrrispondente alla costituzione reale costruita in base ai trattati dell’Unione Europea. I partiti politici non contano più nulla, nel senso che non possono più neppure pretendere di convogliare interessi sociali strutturati, se questi configurano politiche economiche non compatibili con l’assetto Ue. Di fatto, dunque, il voto popolare – quello per cui si può e deve fare guerra contro paesi che non lo prevedono – non ha più il potere di far cambiare le politiche cambiando il personale dirigente della Repubblica. Peggio ancora: neanche il Parlamento ha più il potere di decidere nulla, se non nelle materie su cui poteri sovranazionali non hanno nulla da eccepire (insomma: se Salvini vuole buttare un po’ di immigrati a mare, per mantenere il consenso dei suoi, può farlo, ma in modica quantità; soprattutto, però, non creda di poter decidere su cose che “costano”).
Avevamo capito, e non da ora, di vivere in una democrazia a sovranità limitata. Lo avevano capito quando la Nato e gli Stati Uniti intervenivano in ogni vicenda nazionale in difesa degli assetti che garantivano i loro interessi. Ma fin qui ogni presidente della Repubblica o del consiglio dei ministri si era affannato a narrare la favola bella del “paese libero” di decidere sulle proprie sorti.
Mattarella ha chiuso con quella finzione. Qui comando io, perché sono il garante di questa costituzione materiale. Il resto non conta.
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Roberto
Se Salvini e Di Maio avessero un pò di “palle” potrebbero proporre come presidente del consiglio un nome di loro gradimento e non uno che piaccia a Mattarella e alla UE rovesciando la colpa sullo stesso Mattarella per il rinvio a nuove elezioni.
Dimostrerebbero di avere almeno un minimo di personalità e di non essere dei semplici zerbini servi delle istituzioni come si dimostrerà
andrea’65
in attesa di Draghi, facimmo ammuina per un annetto