Dicono che quella di oggi sia la Giornata del silenzio. E, con la consueta dose di ironia involontaria che accompagna ogni tragedia, per una volta il nome sembra adeguato a descrivere la situazione a due anni dal terremoto che spazzò via Amatrice, Accumoli e Arquata.
Un gran silenzio: per ricordare le vittime, certo. Ma anche il silenzio che avvolge una ricostruzione mai cominciata. Il silenzio quotidiano intorno ai sopravvissuti, migliaia di persone in casette colorate di giallo spento, villaggi vacanza permanenti affacciati su macerie mai toccate. Il silenzio delle comunità che si sfaldano, perdono pezzi, si spengono. Nel 2016 ad Arquata vivevano 1.300 persone, adesso i residenti superano di poco i 500. E gli altri? Boh, mah, chissà. È importante? Forse sì, e allora il premier Conte va alla fiaccolata notturna e promette, ancora una volta, che il suo governo non lascerà solo nessuno. O forse no, e allora meglio il silenzio. Un dignitoso silenzio? Oppure un silenzio sinonimo di morte.
Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte: sono i nomi di chi ha governato durante questi ultimi due anni. Vasco Errani, Paola De Micheli e tra qualche giorno qualcun altro: questi i commissari straordinari. Fabrizio Curcio, Angelo Borrelli: i capi della protezione civile. Luca Zingaretti, Luca Ceriscioli, Catiuscia Marini, Luciano D’Alfonso: loro reggono le regioni su cui si estende il cratere.
Chiedetelo a loro cosa vuol dire il silenzio, se sarebbe stato meglio stare zitti prima oppure no, se il presente è vita, morte, dignità o vergogna.
Oggi si celebra e si ricorda, ed è giusto così. Ma, non prendiamoci in giro, domani tutto si fermerà di nuovo. Perché ormai c’è rimasto solo il terremoto a ricordarsi dei terremotati. E del nostro paese, che non c’era, non c’è e forse non ci sarà mai.
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