Una battuta veneta, richiamata nel titolo, indica che quando viene colpito un nervo scoperto scatta fuori qualcosa. Nel caso più innocuo si tratta del pupazzo a molla contenuto in una scatola che scatta se si pigia un pulsante. Declinato in politica vuole dire che, in una disattenzione colpevole, con il referendum sull’autonomia del Veneto dello scorso anno, si è messo in moto un processo che nasconde brutte sorprese di cui ancora non si coglie la gravità.
Su un aspetto di quella che abbiamo denunciato come secessione reale, quello dell’istruzione o della sanità, pubblichiamo un’ampia disamina elaborata dalla Usb Scuola, tra le poche organizzazioni che sembrano aver compreso la gravità dei processi in corso.
L’invito che estendiamo a tutti gli altri soggetti politici e sociali però è quello di guardare nel loro insieme l’albero, la foresta, il dito, la luna, insomma la complessità di un processo disgregante che sta già riscrivendo la geografia delle disuguaglianze sociali, territoriali, costituzionali e civili del paese, sotto il nostro naso.
*****
No alla regionalizzazione dell’istruzione!
La regione Veneto ha proposto una legge delega per un’autonomia molto accentuata, in materie essenziali come la sanità e l’istruzione, ma anche rapporti con l’UE, coordinamento del sistema tributario, gestione dei beni culturali, ecc. Lo ha fatto alla luce del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione che consente di attribuire alle regioni che ne facciano richiesta alcune materie di competenza statale, tra cui le “norme generali sull’istruzione”. La regione Veneto si è sentita giustificata in questa operazione dalla vittoria riportata dai “sì” nel referendum regionale consultivo il cui quesito era: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Questo disegno di legge che la Costituzione consente, grazie alla riforma del titolo V del 2001, ha carattere espressamente secessionista e preoccupa che altre regioni “ricche” del Nord stiano lavorando a disegni di legge simili, prima fra tutte la Lombardia, dove, peraltro il Referendum consultivo sull’autonomia è stato fallimentare.
Per quel che riguarda l’istruzione, la proposta è sostanzialmente la regionalizzazione completa di scuola e università: programmi, tassazione, ricerca, personale. Questo significa che la regione avrebbe totale arbitrio in tutte le decisioni che riguardano l’istruzione, indipendentemente da quello che accade nel resto del paese. Questa richiesta si associa a quella di attribuire alla regione Veneto risorse maggiori, da sottrarre alle altre regioni, nonché al loro sistema di istruzione, in base a parametri che tengano conto del maggior gettito fiscale prodotto dai veneti.
È chiaro che non possiamo che respingere questa proposta per molti motivi, tutti di enorme portata.
In primo luogo, siamo di fronte alla violazione più completa del principio solidaristico e di redistribuzione su base nazionale, per cui chi produce più ricchezza potrà tenerla per sé, impoverendo chi è già più debole. Una legge del genere permetterebbe di avere tanti sistemi di istruzione quante sono le regioni italiane, creando evidenti sperequazioni e differenze di opportunità tra i bambini e i giovani del paese. L’autonomia in fatto di programmi ci fa pensare a programmi piegati alle esigenze del sistema produttivo dei diversi territori; non è un caso che le proposte partano da quelle regioni dove il sistema produttivo ancora tiene e che evidentemente ritengono di potersi liberare della “zavorra” delle regioni del Sud o, in generale, più impoverite, restando agganciate alle nazioni centro e nord europee e al loro sistema economico.
Ci preoccupa moltissimo l’idea che il personale diventi regionale, per molte ragioni: in primo luogo perché, come nel DDL Pittoni per l’istituzione del domicilio professionale, ci leggiamo il vecchio progetto leghista delle gabbie salariali e la volontà di impedire alle persone di trasferirsi, ovvero impedire ai docenti del sud di tornare nelle terre d’origine. Ma la regionalizzazione del personale ci preoccupa anche perché si concretizzerebbe in una perdita di retribuzione, visto che tradizionalmente il settore regionale (quello della Formazione Professionale) ha stipendi più bassi di quello dei docenti statali. Inoltre, la regionalizzazione dei titoli e delle vie di accesso alla professione docente potrebbe comportare esiti paradossali e pericolosi.
Infine, non ci sembra affatto che i settori che già sono in carico in gran parte alle regioni, come la sanità, ne abbiano risentito positivamente: allungamento dei tempi d’attesa, proliferazione di centri privati, aumento dei ticket, gravi episodi di corruzione, come recentemente dimostrato dal caso Formigoni.
Non possiamo poi non sottolineare che questa legge è resa possibile dallo stravolgimento della Costituzione che è rappresentato da quel Titolo V, modificato a seguito di un referendum consultivo a scarsissima partecipazione (nemmeno il 35% degli italiani di cui solo il 64% circa si espresse favorevolmente alla modifica costituzionale) e che due anni fa, invece, gli italiani, con grandissima partecipazione, si sono espressi con chiarezza contro ulteriori stravolgimenti della costituzione.
USB Scuola respinge categoricamente questa proposta di legge ed è pronta alla mobilitazione su ogni fronte per difendere la scuola pubblica e statale, unica e uguale per tutti i bambini, i giovani e i lavoratori del paese.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Manlio Padovan
E il tutore della nazione che ci sta a fare? Nulla ha da dire?