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Trecentomila gilet gialli contro Macron. Facciamo come in Francia?

282.000 “gilet gialli” in tutta la Francia. Più di 2 mila i presidi nel paese. Quasi 400 arresti, diverse centinaia di feriti, un morto, scontri con la polizia. Che succede in Francia? Due parole per capirci di più…

Succede che entra in scena una parte di paese che solitamente non si vede. Quella Francia periferica – non quella delle periferie dei grandi centri urbani, ma quella dei centri minori – che negli anni ha visto trasferirsi la parte più povera dei cosiddetti ceti medi. È la parte del paese che non poteva permettersi un appartamento e il costo della vita delle grandi città. È la parte del paese su cui le spese di trasporto incidono tanto, perché deve spostarsi ogni giorno per km e km. È la parte, quindi, su cui l’aumento del prezzo del carburante incide di più. Per questo i gilet gialli ne sono diventati il simbolo. Sono i giubbotti catarifrangenti obbligatori per ogni automobilista.

Ma l’aumento del prezzo del carburante non può spiegare tutto. Non esiste alcuna “teoria spasmosdica dei movimenti sociali” per cui ad azione corrisponde necessariamente reazione. Ciò che fanno i quotidiani nostrani in questi giorni è spiegare la giornata di ieri sulla base degli ultimi provvedimenti del governo Macron. E invece no, dobbiamo andare più indietro. Perché siamo memoria accumulata. Da anni la Francia è in fibrillazione per gli attacchi che i lavoratori stanno subendo, le due leggi sul lavoro, la riforma dell’accesso all’università, la repressione del dissenso giustificata in nome della lotta al terrorismo, la soppressione degli ospedali, dei tribunali, dei servizi sociali.

Cosa chiedono i “gilet gialli”? Dal punto di vista vertenziale ovviamente l’eliminazione del provvedimento che farà aumentare il prezzo della benzina, ma dietro la rabbia c’è dell’altro. Macron ha tagliato la patrimoniale, quindi nel momento stesso in cui attacca il potere d’acquisto della fascia bassa dei ceti medi, mette più soldi nelle tasche dei più ricchi. Per questo la protesta è diventata subito più complessiva: non si contano i cartelli e gli slogan che invocano le dimissioni di Macron, mentre stupisce – in positivo – l’assenza – o quasi – di qualsiasi riferimento negativo a chi sta peggio. I manifestanti, cioè, fatti salvi alcuni casi, debitamente pompati dai media, individuano il governo come il “nemico” contro cui battersi e non cedono alla guerra tra poveri che pure qualcuno vorrebbe fomentare.

* La posizione di France Insoumise: https://melenchon.fr/2018/11/19/le-mouvement-revolutionnaire-en-jaune/

 

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