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Sindacati e Confindustria si schierano per gli Stati Uniti d’Europa

A poco più di un mese dal ritrovato feeling sulla via del patto neocorporativo tra i sindacati e la “mejo rappresentanza padronale”, CiglCislUil e Confindustria prendono il toro per le corna e lanciano un «Appello per l’Europa» in vista delle prossime elezioni europee di fine maggio.

La campagna elettorale europeista è già in pieno svolgimento – si pensi tra gli altri al lungo ciclo di iniziative svolto all’interno dei tre maggiori atenei romani, che ha visto nella tappa finale la presenza dell’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato, prontamente contestato dalle realtà studentesche –, ma questo passaggio rappresenta un mattone decisivo, per il nostro paese, nella costruzione del fronte che mira alla consacrazione del polo europeo nella competizione interimperialista.

Perché, a nostro avviso, in fondo a tutta la retorica buonista e da sognatori che pervade molti momenti del documento, di questo si tratta: il mondo sta cambiando, l’Unione europea è in grave ritardo nella ridefinizione dei rapporti di forza internazionali, e allora non c’è altro tempo da perdere, bisogna rafforzare la struttura interna dell’Unione e mettere a tacere ogni “velleità sovranista”.

A parte la miopia profonda che soggiace a un ragionamento del genere, come se per esempio la Cina avesse costruito il proprio successo (in termini di peso geopolitico, quindi senza nessun endorsement valoriale) in tre mesi piuttosto che negli ultimi trent’anni, un posizionamento di questo tipo è l’ennesima prova di quale prospettiva di mondo viene propinata dal quartetto di cui sopra: la competizione è il valore fondante, e se qui nell’Unione la traduciamo con le politiche di austerità, è con queste «politiche europee» che si possono affrontare i «giganti economici». Con buona pace di quelli a cui toccherà pagarle.

Entrando nel merito del documento, questo è strutturato in due parti: nella prima, troviamo il portato ideologico che sostiene l’intero progetto europeista, un misto di autentiche menzogne circa la natura dell’Ue e uno sguardo consapevole sulle difficoltà che ci si trova ad affrontare. Si passa dalla «pace duratura», a i «valori fondamentali dei diritti umani, della democrazia, della libertà», al «progresso economico e sociale senza precedenti», in quanto caratteri “garantiti” dall’Unione dalla sua nascita, alla «globalizzazione senza regole, […] disoccupazione, prospettive per i giovani», a «le preoccupazioni, le frustrazioni, il disagio e la sofferenza sociale dei tanti milioni di europei».

Per questo motivi, «urge accelerare il processo di integrazione europea» e da qui nasce l’esortazione «ai cittadini di tutta Europa ad andare a votare alle elezioni europee dal 23 al 26 maggio 2019 per sostenere la propria idea di futuro e difendere la democrazia, i valori europei, la crescita economica sostenibile e la giustizia sociale». Come Ue e democrazia, crescita sostenibile e giustizia possano stare nella stessa frase, resta per noi ancora un mistero.

Nella seconda parte invece, arrivano le proposte pratiche, che vengono sezionate in tre punti: nel primo, si chiede di «unire persone e luoghi», mediante il potenziamento degli strumenti di emigrazione forzata in chiave competitiva (prossibilità di lavoro e studio all’estero, scrivono) e un «piano straordinario per gli investimenti in infrastrutture ed in reti», che più che un «forte elemento di inclusione perché uniscono territori, città, paesi», sono due tra i campi più importanti su cui si gioca la partitia con gli altri blocchi. La nuova via della seta e lo scontro sullo sviluppo del 5G è tutta lì.

Nel secondo, si chiede di «rafforzare gli ormeggi europei» per «dotarsi degli strumenti per competere nel nuovo contesto globale». Come? La ricetta è la solita neoliberal-liberista: «il completamento del mercato unico: dal mercato dei capitali, decisivo per il rilancio dell’industria europea», al «mercato dell’energia» a quello del «digitale». Solo così si potrà cominciare a parlare di una «politica industriale europea» che sia in grado di dare «peso politico internazionale» all’Unione, a cui andrà affiancato un deciso «rafforzamento istituzionale».

Il terzo si preoccupa di rafforzare, o per meglio dire, di creare ex novo, una comunità sociale riconoscibile: dalla politica sull’immigrazione (che governi il fenomeno  come «necessario presupposto per presidiare e rendere effettiva la libertà di circolazione nell’U.E.»), alle politiche fiscali (se la politica economica è già stata esautorata ai governi nazionali, quella fiscale è il vero obiettivo a cui tendere per togliere ogni possibilità di scelta autodeterminata ai signoli paesi), a quelle del lavoro (certo solo appannaggio di quei sindacati che promuovono l’intero impianto dell’Unione, e cioè, genuflessi alle esigenze del padroni).

«Per queste ragioni noi Parti Sociali italiane siamo più che mai convinte che il colpo d’ala europeo sia storicamente maturo, necessario, possibile. Esso rappresenta la risposta coerente ed efficace per preservare e sviluppare, nella complessità del nostro tempo, il patrimonio di civiltà costruito nei secoli dall’Europa nel quale trovano compendio gli ideali di progresso economico, giustizia sociale, democrazia, pace».

Più che un colpo d’ala, l’appello rassomiglia più a un colpo di coda che la borghesia italiana – in evidente difficoltà dinanzi al coraggio imprenditoriale che servirebbe di fronte a un contesto di profondo mutamento, coraggio che invece non ha mai fatto parte del suo “dna” – tenta di sferrare per dar vita, accodandosi, a un nuovo progetto imperialista, il cui costo ricadrebbe per intero sulle spalle della popolazione.

Come sintetizzato bene dallo striscione che campeggia nella foto in apertura di questo articolo a firma di Noi Restiamo, dinanzi a tutto ciò, non resta che prendere parte dall’altra parte della barricata, magari di fianco (oltre che al genuino sindacalismo di base ancora conflittuale) a quei movimenti sociali che esprimono con la “lotta lottata” il rifiuto dello stato di cose presenti.

Che gli Stati Uniti d’Europa fossero un progetto che non potessero non (provare a) sorgere sotto la stella del conservatorismo più reazionario, d’altronde, era già stato annunciato.

 

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1 Commento


  • Fabrizio

    Sarebbe il caso visto che giustamente Potere al Popolo non si presenta alle prossime elezioni europee, dare indicazione per l’astensione. Pensare in qualche modo di far convergere indirettamente qualche voto all’accozzaglia putrescente rifondarola sarebbe davvero esiziale

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