La Commissione europea ha recentemente presentato le sue priorità economiche e sociali per il 2019, che porranno le basi per le riforme nazionali e le future priorità di bilancio di ciascuno Stato membro. Come uno spot commerciale in vista delle elezioni europee di maggio, e mentre i governi liberali e social-liberali perdono ovunque terreno a causa della rabbia sociale, il messaggio principale della Commissione nelle sue previsioni per il 2019 è: “mantenete la calma e abbiate fiducia nell’Unione europea”.
Il numero di lavoratori poveri è in costante aumento e raggiunge ora un allarmante 9,6% nell’UE, mentre il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale rimane elevato. 75 milioni di persone nell’Unione europea soffrono di forme di deprivazione materiale o sociale. In alcuni paesi europei la crescita dei salari reali è in calo o stagnante, mentre nella maggior parte degli altri paesi europei l’andamento dei salari reali rimane indietro rispetto all’andamento della produttività.
O la visione economica positiva adottata dalla Commissione europea è falsa o va a beneficio solo di un numero molto limitato di persone che si arricchiscono a spese della gran parte delle persone.
L’esplosione dei contratti a breve termine, il lavoro a tempo parziale, l’arrivo di contratti a zero ore, il falso lavoro autonomo, la perdita di velocità nella contrattazione collettiva, indicano che nel mercato del lavoro europeo la tendenza è verso l’indebolimento dell’occupazione stabile a favore di condizioni di lavoro più precarie, più sfruttate, più instabili e sempre più difficili, e datori di lavoro, grandi aziende e liberali etichettano questi lavori come forme di lavoro innovative e “atipiche”, invece di dire quello che sono veramente: precarie.
Ad esempio, dall’inizio della crisi nel 2008, il lavoro a tempo parziale è in aumento e rappresenta ora il 21,2% dell’occupazione nell’Eurozona. Nel 2017, l’UE aveva quasi 9 milioni di lavoratori a tempo parziale involontari. Ci sono 18 milioni di disoccupati, il 17 % di bassi salari. Il 14% dei posti di lavoro è a tempo determinato e il 2% dei lavoratori è impiegato a tempo determinato. Il 4% dei lavoratori ha persino dovuto trovare un secondo lavoro per sopravvivere. Il 25% della forza lavoro in Stati membri come il Portogallo o la Spagna è impiegato a tempo determinato, mentre l’80% di loro vorrebbe avere un contratto a tempo indeterminato.
La crisi finanziaria del 2008-2012 ha offerto agli Stati membri e alle istituzioni europee un’occasione d’oro per radicalizzare la mercificazione di tutti gli aspetti della nostra vita, compreso il lavoro; in quasi tutti gli Stati europei sono state attuate politiche di austerità per ridurre il costo delle politiche e dei sistemi di protezione sociale; la conseguente insicurezza sociale ha costretto molte persone in Europa ad accettare tagli salariali e riforme del mercato del lavoro per aumentare la flessibilità dei contratti di lavoro.
Nell’Unione Europea, la protezione sociale dei lavoratori è considerata incompatibile con i principi del “mercato interno” e con le direttive che la tutelano, in nome della “libera prestazione di servizi transfrontalieri”. Le conseguenze per le persone sono reali e concrete: concorrenza salariale per standard più bassi, limitazione del diritto dei lavoratori a intraprendere azioni collettive, compreso il diritto di sciopero, segregazione e divisione del lavoro, promozione della xenofobia e del razzismo, ecc. Non c’è rispetto per i diritti dei lavoratori in Europa, non esiste un “modello sociale europeo”.
Queste forme di lavoro precario hanno portato ad un aumento della quota di profitti nelle economie nazionali a scapito della quota di salari. Lo sviluppo del lavoro non retribuito, l’intensificazione del lavoro e il dominio del capitale finanziario hanno reso i mercati più instabili, ridotto la domanda solvibile e indebolito gli investimenti: tutto questo ha alla fine messo le scelte più fondamentali per il nostro tempo (transizione ecologica, sviluppo regionale, metropolizzazione…) nelle mani di agenti privati in breve tempo. Da allora, tutti pagano per garantire buoni tassi di profitto speculativo per i più ricchi invece di costruire un futuro collettivo sostenibile.
Una vera e propria agenda per combattere il lavoro precario e promuovere i diritti sociali deve coniugare la lotta per il riconoscimento (dei cittadini senza accesso alla rappresentanza collettiva dei loro interessi) con la lotta per la redistribuzione (cambiamento del modello economico in cui la precarietà è un mezzo di sfruttamento eccessivo). La sfida consiste nell’estendere il diritto a un contratto dignitoso per tutti e combattere lo sviluppo di forme contrattuali precarie (come il lavoro temporaneo, il subappalto, i contratti a breve termine, il falso lavoro autonomo), a riconoscere realtà spesso rese invisibili (come il lavoro intermittente, il lavoro domestico o il lavoro scientifico) e a garantire i diritti sociali dei lavoratori indipendenti e degli imprenditori autonomi.
La lotta contro la precarietà, la disoccupazione e i diritti sociali in Europa è una priorità e la piena occupazione è una condizione per la democrazia.
Noi facciamo appello a un “protocollo sociale” che inverta la gerarchia tra i diritti sociali dei lavoratori e le libertà economiche delle imprese. Né le libertà economiche né le regole di concorrenza dovrebbero essere superiori ai diritti sociali fondamentali e al progresso sociale. In caso di conflitto tra diritti sociali e libertà economiche, i diritti sociali fondamentali dovrebbero sempre prevalere. Il diritto fondamentale dei lavoratori a intraprendere azioni collettive, compreso il diritto di sciopero, deve essere indiscutibile.
Chiediamo che l’Unione Europea ratifichi le convenzioni più avanzate dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e le sostituisca con il diritto comunitario quando sono più vantaggiose per i lavoratori.
Vogliamo porre fine alla direttiva sul distacco dei lavoratori e conferire ai parlamenti nazionali il potere di fare leggi sui principi applicabili al lavoro distaccato nel proprio paese. I lavoratori distaccati non sono un’estensione della libera circolazione delle persone, ma semplicemente una strategia di dumping volta a ridurre i costi del lavoro e ad aggirare le normative in settori ad alta intensità di manodopera come l’edilizia, i trasporti o l’agricoltura. La libera circolazione dei lavoratori dovrebbe basarsi sul principio dell’integrazione dei lavoratori nel mercato del lavoro del paese ospitante, con gli stessi diritti, garanzie e contributi dei lavoratori del paese ospitante.
Chiediamo misure per combattere le disuguaglianze, per una più equa ripartizione della ricchezza e contro la disoccupazione: per far rispettare il divieto di licenziamento nelle imprese a scopo di lucro, per garantire che i salari guadagnati siano sufficienti a soddisfare le esigenze di tutti e siano un baluardo contro la povertà, stabilendo una proporzione massima tra i salari più bassi e quelli più alti nella stessa impresa.
Vogliamo una clausola di non-regressione, per impedire a qualsiasi governo nazionale di abbassare le condizioni di lavoro con il pretesto di recepire il diritto dell’Unione nel diritto nazionale.
Proponiamo nuovi strumenti per combattere il lavoro informale e le trasgressioni giuridiche, tenendo conto dell’enorme divario esistente tra la legge scritta e la legge così come viene applicata. Proponiamo di rafforzare i servizi di ispezione del lavoro nei nostri Stati membri, conformemente alla Convenzione 81 dell’ILO, in collaborazione con i sindacati. Inoltre, il settore pubblico dovrebbe essere un esempio di pratiche lavorative, sia come datore di lavoro che come cliente.
Chiediamo l’abrogazione della “direttiva per gli azionisti” e il divieto di qualsiasi scandaloso pagamento di dividendi, cioè in eccesso rispetto all’utile netto.
Chiediamo la creazione di nuovi meccanismi di protezione sociale e di regolamentazione: ad esempio, i lavoratori autonomi non godono di una protezione sociale e beneficiano di sistemi di deduzione della sicurezza sociale iniqui; ai lavoratori autonomi, come quelli che lavorano a intermittenza, dovrebbero essere garantiti i diritti alla disoccupazione, i congedi retribuiti e l’orario di lavoro legale.
“Affittare delle persone” non deve essere legalizzato. Le agenzie di lavoro interinale creano una particolare forma di mercificazione dei lavoratori che è simile all’”affitto di persone”.
Vogliamo combattere il calo dei salari limitando l’esternalizzazione dell’occupazione. La crescente esternalizzazione del lavoro sia nel settore pubblico che in quello privato sta trasformando il lavoro in “fornitura di servizi”. Questa viene utilizzata come strategia per ridurre i costi del lavoro, ridurre i salari e aggirare il diritto del lavoro.
Chiediamo la promozione di una contrattazione collettiva più forte e la limitazione dei contratti a breve termine. I contratti a breve termine dovrebbero essere strettamente limitati a situazioni eccezionali, quali, ad esempio, attività stagionali indiscutibili o la sostituzione di un lavoratore in congedo parentale. Tutti i posti di lavoro devono essere mantenuti sulla base di contratti a tempo indeterminato. La pratica della contrattazione collettiva dovrebbe essere incoraggiata.
* Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) del comunicato congiunto di “Maintenant le peuple” (E ora il popolo!), cofirmato da Leïla Chaibi (candidato all’Europeo per La France Insoumise, Francia), Idoia Villanueva (senatrice e candidato alle elezioni europee, Podemos, Spagna), José Gusmao (candidato alle elezioni europee, Bloco de Esquerda, Portogallo), Ali Esbati (deputato, Partito della Sinistra, Svezia), Nikolaj Villumsen (deputato e candidato europeo, Alleanza Rosso-Verde, Danimarca): https://lafranceinsoumise.fr/2019/05/03/lemploi-pour-tous-lutter-contre-la-precarite-et-pour-les-droits-sociaux-en-europe