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Salvini “manganella” anche i magistrati

La notizia è di quelle pesanti: Il Ministero degli Interni ha avviato una attività di dossieraggio e ricorsi su alcuni magistrati che avevano prodotto sentenze, o comunque decisioni, diverse o contrarie ai diktat ministeriali.

In particolare, a far infuriare Salvini (e i sindaci e i prefetti che si erano subito adeguati alle nuove circolari degli Interni), sono stati alcuni stop dei giudici amministrativi della Toscana sulle “zone rosse” a Firenze – ritenute dai magistrati apertamente anticostituzionali – e le decisioni dei tribunali civili di Firenze, di Bologna e di Genova, che in base alle leggi oggi in vigore hanno autorizzato i richiedenti asilo ad essere iscritti all’anagrafe.

Salvini, per tutta risposta, ha annunciato il ricorso al Consiglio di Stato contro il provvedimento del Tar di Firenze sulle “zone rosse urbane”. E ne annuncia anche altri sulle sentenze che hanno permesso l’iscrizione all’anagrafe dei migranti. 

Ma la notizia più grave è soprattutto il ricorso all’Avvocatura dello Stato “per valutare se i magistrati che hanno emesso le sentenze avrebbero dovuto astenersi, lasciando il fascicolo ad altri, per l’assunzione di posizioni in contrasto con le politiche del governo in materia di sicurezza, accoglienza e difesa dei confini.

In pratica il ministro degli Interni ritiene che i magistrati dovrebbero passare le carte ad altri qualora ritenessero di doversi pronunciare in “contrasto con le politiche del governo”.

Un vero e proprio orrore istituzionale e costituzionale su almeno tre aspetti:

la violazione dell’autonomia del potere giudiziario dal potere esecutivo;

il venir meno dell’obbligo dell’azione penale da parte dei magistrati davanti ai fascicoli aperti;

infine – ma non certo per importanza – una vera e propria intimidazione da parte del governo contro i giudici che ravvedono nei provvedimenti adottati elementi di incostituzionalità.

Il Viminale, per conto del suo responsabile temporaneo (perché questo è un ministro), dovrebbe così monitorare le uscite pubbliche dei magistrati firmatari delle sentenze, e i loro rapporti divicinanza e collaborazione con chi difende gli immigrati contro il Viminale. In pratica, una “inchiesta” sulla massa dei magistrati per registrarne le opinioni – giuridiche e/o politiche – e il grado di discrepanza con gli orientamenti del ministro di polizia.

La gravissima iniziativa del ministro degli Interni e leader della Lega, forse niente affatto casualmente, ha scelto un momento assai rognoso per dispiegarsi. Sono i giorni in cui dentro l’Associazione Nazionale Magistrati e lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura è in corso una velenosa resa dei conti. L’Anm ha reagito con un documento approvato all’unanimità, nel quale chiede che il Csm effettui tutti i passaggi necessari a tutela della collega Luciana Breggia (una dei magistrati “dossierati” dal Viminale, ndr), presidente della sezione specializzata in materia di immigrazione del Tribunale di Firenze, e dell’autonomia e indipendenza della giurisdizione.

LAnm nel documento denuncia che: In seguito a un provvedimento collegiale che ha dichiarato inammissibile il reclamo del ministero dell’Interno, si è ipotizzato l’intento ‘politico’ del giudice diretto a disapplicare norme di legge, a fronte di un provvedimento sgradito. La critica non si è rivolta quindi al contenuto del provvedimento, ampiamente motivato, ma alle supposte ‘idee politiche del giudice’ e alla sua partecipazione a convegni, peraltro di carattere scientifico, in ragione dei partecipanti e dei relatori evidentemente loro sgraditi.

Il documento dell’Anm richiama infine il caso di un post pubblicato su facebook dallo stesso Salvini, che “riportando un articolo de ‘Il Giornale’ nel quale sono contenuti i medesimi attacchi alla persona del giudice, è stato seguito da commenti contenenti insulti e minacce che non risultano essere stati rimossi”.

La dott.ssa Luciana Breggia, in una intervista a Famiglia Cristiana, aveva affermato che i Centri di accoglienza straordinaria sono unlimbo di insicurezza, e chele leggi che costituiscono il diritto non sempre vanno nella direzione della giustizia, ricordando le leggi razziali.

Un accostamento sgradito che, come noto, era già costato una sanzione (poi revocata) all’insegnante di Palermo per non aver stroncato l’accostamento fatto da uno studente e che giungeva alle medesime conclusioni. Inoltre la giudice viene accusata di aver partecipato alla presentazione del libro “’L’attualità del male, la Libia dei lager è verità processuale”, un volume scritto dall’avvocato Maurizio Veglio, presentato insieme ad Alessandra Sciurba, portavoce della Ong Mediterranea.

Relativamente allo stop del Tar della Toscana alle “zone rosse” nel centro di Firenze, per esempio, c’era stata una sentenza favorevole al ricorso presentato dall’Aduc (una associazione di consumatori, ndr) sulla vicenda di Matteo Innocenti, attivista di Potere al Popolo denunciato per possesso di cannabis e per questo considerato “pericoloso”.

Dov’è il fattore davvero insidiosissimo di questo vero e proprio strumento di intimidazione del ministero degli Interni contro alcuni magistrati?

Sta nel fatto che che una volta avviato il meccanismo, in assenza di contrasto o altolà istituzionali, questo diventi una “prassi normale”. Il ministro può cambiare, ma intanto viene messa a sistema la schedatura dei magistrati per impedire che determinati fascicoli arrivino a “quelli sbagliati” (nell’opinione del ministro dell’interno).

Sarebbe interessante sapere, sul punto, cosa ne pensi ad esempio il Capo della Polizia, Gabrielli, il quale, in una intervista al Corriere della Sera alcune settimane fa, ci aveva tenuto a precisare che il corpo da lui diretto “era al servizio dello Stato, nell’interesse di tutti i cittadini”.

Ma se le le disposizioni di un ministro diventano diktat svincolati dal rispetto della Costituzione e dal vaglio della magistratura, quale mostro giuridico si va a produrre?

Come diciamo spesso, è sempre meglio evitare che un orrore diventi un fatto, perché poi recedere da un fatto compiuto diventa enormemente più difficile. E doloroso.

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