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Roma, Milano, Emilia. Come la mafia insidia e si insedia negli altri territori

Gestione dei parcheggi negli aeroporti ma anche reti di imprese con finanziamenti pubblici; depositi di legname ma anche supermercati; e poi tanti, tanti esercizi commerciali e nella ristorazione. I capitali sporchi della ‘ndrangheta stanno aprendo (spesso con la forza) e riempiendo (con tantissima liquidità finanziaria) molte caselle dell’economia di città e regioni molto distanti da quelle meridionali sempre indicate come “ad alta densità mafiosa”.

Sono gli appalti, i servizi nella logistica e le attività commerciali nei medio-piccoli comuni del Nord, soprattutto in Lombardia ed Emilia-Romagna, a veder crescere l’attività di insediamenti degli affari mafiosi. Per la Capitale, ormai è da tempo che i fatti si sono incaricati di demolire la tesi secondo cui a Roma “c’è la malavita ma non c’è la mafia”. Anche se, e va detto, l’inchiesta conosciuta come Mafia-Capitale sembra aver scoperchiato una frazione molto piccola del giro d’affari e delle reti mafiose.

E poi ci sono i rapporti con la politica, con un canale quasi privilegiato con i partiti di destra, soprattutto Fratelli d’Italia, abili a ergersi da moralizzatori nazionali in televisione, ma reticenti a guardare seriamente all’interno delle proprie file. “Siamo le scarpe di fango e le mani pulite” dice, facendo un bel pò di confusione su dove mettere le mani e le scarpe, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni.

Adesso, in meno di dieci giorni,  due esponenti istituzionali locali di Fratelli d’Italia sono finiti in carcere nel milanese ed a Piacenza per associazione mafiosa in rapporto con la ‘ndrangheta calabrese.

Ma la memoria è importante per riconnettere i molti fili. A febbraio di quest’anno l’ex sindaco neofascista di Roma, Gianni Alemanno, è stato condannato a sei anni di carcere e all’interdizione dai pubblici uffici (è ricorso in appello, ndr). Fu durante la sua stagione che i fascisti o postfascisti “de panza e de governo” cominciarono a percorrere praterie che fino a qualche anno prima gli erano ostruite dai partiti tradizionali.

Una volta apertesi le praterie, i fascisti “de panza e de governo” ci si sono buttati ventre a terra, con famelicità ma anche rivelando un pò ovunque una certa familiarità verso ambienti mafiosi.

Non abbiamo memoria di una smentita da parte di Alemanno della mail inviata dal suo account a tale Giovanni Campennì, sospettato di legami con il clan Mancuso di Limbadi, provincia di Vibo Valentia, con le istruzioni per far votare dagli amici calabresi il candidato al parlamento europeo Gianni Alemanno. Alle elezioni europee del 2014 Alemanno ha ottenne 44.834 preferenze (ma Fratelli d’Italia non superò il quorum).  E, come risulta dall’archivio elettorale del Viminale, in Calabria i risultati migliori Alemanno li ha ottenuti nelle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria.

Ma veniamo ai fatti degli ultimi dieci giorni.

Roma. Mafia-Capitale, quella seria

Alcuni noti esponenti della ‘ndrangheta calabrese radicati a Roma sono stati coinvolti nella maxi operazione della polizia che mercoledi ha sequestrato beni per un valore di oltre 120 milioni di euro, tra cui anche 173 immobili. Il blitz della Divisione anticrimine della Questura di Roma ha interessato non solo la Capitale ma anche altre 10 questure del Lazio e ha portato al sequestro di beni intestati a esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese trapiantata a Roma e provincia fin dagli anni Ottanta. Tra i nomi degli ndranghetisti colpiti dal provvedimento emergerebbero gli Scriva, i Morabito, i Mollica, i Velonà e i Ligato.

Gli immobili sequestrati sono collocati tra Roma, Rignano Flaminio, Morlupo, Campagnano Romano, Grottaferrata e in altre province italiane..
Risulta sequestrato anche un contratto di rete di imprese, costituito tra 50 aziende, e un fondo patrimoniale da 100 mila euro finanziato dalla Regione Lazio. Per gli inquirenti la “forma giuridica” del contratto di rete di imprese era “uno strumento idoneo e perfettamente funzionale alla realizzazione degli scopi illeciti dell’organizzazione criminale” che  attraverso la Rete di Imprese si era “recentemente aggiudicata l’assegnazione di un finanziamento pubblico di 100 mila euro da parte della Regione Lazio, oggi in sequestro”.
I settori economici di diretto riferimento delle cosche sono risultati quelli della distribuzione all’ingrosso di fiori e piante; della vendita di legna da ardere; dell’allevamento di bovini e caprini; bar/ gastronomia e commercio di preziosi e gioielli, mentre attraverso prestanome sono penetrati nel settore edilizio/immobiliare, della panificazione, della vendita di prodotti ottici e dei centri estetici ed anche in quello della  grande distribuzione attraverso punti vendita della catena “Carrefour”. L’azienda francese di  supermercati ha precisato: “Carrefour Italia si dichiara totalmente estranea. I supermercati oggetto di sequestro sono infatti gestiti da un imprenditore locale terzo, autonomo e indipendente rispetto a Carrefour Italia che rimane a disposizione delle autorità”.

Se Roma piange Milano non ride

Nella provincia di Milano invece 34 persone sono finite agli arresti (27 in carcere, 7 ai domiciliari) al termine di un’indagine dei carabinieri, coordinati dalla Dda di Milano per aver ricostituito la rete locale della n’drangheta tra Legnano, nel Milanese, e Lonate Pozzolo, paese in provincia di Varese.

Gli investigatori ritengono che nelle mani degli accusati fossero finite anche la gestione dei parcheggi dell’aeroporto milanese della Malpensa, un obiettivo ambito anche perché fino ad ottobre l’altro aeroporto, Milano Linate, rimarrà chiuso per lavori. Si tratta del Parking Volo Malpensa e il Malpensa Car Parking.

In totale il decreto ha consentito di sequestrare beni per un valore complessivo di 2 milioni di euro. I carabinieri sono riusciti a documentare summit criminali durante i quali, oltre alle questioni legate ai rapporti con la politica locale,  c’era anche la pianificazione imprenditoriale della cosca, i cui proventi erano investiti in parte nell’acquisto di ristoranti e di terreni per la costruzione di parcheggi poi collegati con navette all’aeroporto.

Le persone arrestate in 8 province italiane, da Cosenza ad Aosta, sono accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, danneggiamento seguito da incendio, estorsione, violenza privata, lesioni personali aggravate, minaccia, detenzione e porto abusivo di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, truffa aggravata ai danni dello Stato e intestazione fittizia di beni, accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.

Tra gli arrestati c’è anche Enzo Misiano (autodefinitosi Don Ciccio) un consigliere comunale di Fratelli d’Italia che guida l’amministrazione di Ferno. Secondo l’accusa degli investigatori, Misiano teneva rapporti con responsabili della cosca mafiosa come Giuseppe Spagnolo, Mario Filippelli, Emanuele De Castro. Nell’ordinanza che lo ha portato in carcere è stato indicato come l’uomo designato da Spagnolo (elemento di spicco della cosca Farao-Maricola) come referente politico dei “calabresi” sul territorio, veicolando un considerevole pacchetto di voti. Misiano è stato sollevato da ogni incarico di partito nel territorio.

Gli inquirenti avanzano analoghi sospetti anche sull’elezione dell’ex sindaco di Lonate, Danilo Rivolta, che dopo l’elezione, in questo caso con Forza Italia, nel 2017 è stato arrestato e ha poi patteggiato 4 anni per corruzione.

E poi c’è la prospera Emilia-Romagna

Il 25 giugno 2019  è stato inferto un colpo alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. A Piacenza,  la Polizia ha eseguito 16 arresti nei confronti di presunti appartenenti alle cosche che da tempo operano nella regione e che sono storicamente legate al clan dei Grande Aracri di Cutro. Dei 16 arrestati 13 sono in carcere e 3 sono finiti ai domiciliari.

Tra gli arrestati c’è anche Giuseppe Caruso, attuale presidente del consiglio comunale di Piacenza ed unico esponente di Fratelli d’Italia in Comune (eletto con solo 155 preferenze). Viene ritenuto dai magistrati come un appartenente al gruppo mafioso dei Grande Aracri. Interrogato si è rifiutato di rispondere ed è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Voghera. Anche lui è stato sospeso dagli incarichi di partito.

Gli arrestati sono accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso, estorsione, tentata estorsione, trasferimento fraudolento di valori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, danneggiamento e truffa aggravata. Uno degli arrestati, Francesco Grande Aracri, era stato già condannato per associazione mafiosa, viveva a Bresciello, in provincia di Reggio Emilia. Il Comune è  stato il primo in Emilia- Romagna che venne sciolto, a fine 2107, proprio le infiltrazioni della criminalità organizzata.

“L’Emilia-Romagna non è terra di mafia, ma la mafia c’è e rischia di colonizzare la regione: si presume che il suo fatturato oscilli intorno ai 20 miliardi di euro. Non dobbiamo abbassare la guardia” è scritto in un rapporto sulle mafie in Emilia-Romagna, voluto dalla Camera di commercio di Reggio Emilia e curato dalla Fondazione Antonino Caponnetto . Sono 49 i clan presenti che si spartiscono il territorio, 26 ‘ndrine calabresi, 13 famiglie legate alla camorra, 7 a “cosa nostra”, 3 alla sacra corona unita, con una presenza economia alta e un alto rischio colonizzazione a Bologna, Modena, Parma, Rimini e Reggio Emilia

Le organizzazioni criminali, anche nel centro-nord,  scelgono sempre più i comuni medio piccoli per fare i loro affari. Queste amministrazioni gestiscono allo stesso modo delle grandi città gli appalti, i bandi e i finanziamenti ma hanno strutture più fragili perché hanno bacini elettorali minori e quindi più influenzabili dalle cosche.

Ma su questo spostamento al Nord delle organizzazioni mafiose, continua ad esserci un tarlo che ci divora e che, come Pasolini, ci fa dire: “lo sappiamo ma non abbiamo le prove”.

La funzionaria di polizia che ha tenuto la conferenza stampa dopo il blitz di mercoledi contro la ‘ndragnheta a Roma, ha affermato che l’espansione delle cosche al di fuori dei loro territori storici è iniziata nei primi anni Novanta. Qualcuno insieme a noi ha memoria che la trattativa Stato-Mafia, che mise fine alla stagione stragista mafiosa, viene collocata nel 1993? E se tutta questa espansione nel business legale al centro-nord fosse la prevista e prevedibile conseguenza di quella pax fatta in nome della ragion di Stato? E’ un dubbio, ma che continua a martellare.

 

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