Non lasceremo trascorrere anche questo 2 agosto 2019 senza rinnovare il ricordo della tragica strage della Stazione di Bologna: quell’esplosione tremenda, quell’orologio fermo alle 10,25 del mattino, quelle vittime ignare colpite dal fulmine nel crocevia delle vacanze.
Sarà come per tanti altri fatti della storia d’Italia più recente, che non intendiamo far cadere nell’oblio: fatti che ci ricordano il doppio stato, i segreti, i misteri che hanno resto la nostra democrazia, quella scritta nella Costituzione Repubblicana, monca, distorta, lontana dai reali bisogni delle grandi masse.
Correva l’anno 1980 fu messa alla prova la democrazia e che si concluse con i 35 giorni alla Fiat e la marcia dei cosiddetti “quarantamila”.
In quel 1980 si mise in evidenza, almeno agli occhi degli osservatori più attenti ma inascoltati, non tanto il “ritorno” al terrorismo fascista (che pure si era verificato) ma l’esigenza di una “teoria politica del terrorismo” che, almeno da Piazza della Fontana in avanti, aveva rappresentato uno degli elementi costitutivi della gestione del potere nel nostro Paese.
Furono svolti alcuni tentativi di analisi in questa direzione, di collegamento tra il terrorismo stragista di evidente matrice “nera”, i servizi segreti, la massoneria occulta della quale la Loggia P2 appariva come l’espressione più evidente .
Il 1980, sempre per cercare di non dimenticare, fu anche l’anno in cui Sergio Turone e Gherardo Colombo scoprirono gli elenchi di Castiglion Fibocchi che comprendevano anche le prove del collegamento tra P2 e Mafia, attraverso logge coperte siciliane provviste anche di diramazioni nel Ponente Ligure: tanto per ricordare che, quanto alla mafia al nord, nessuno ha scoperto nulla di nuovo.
Altri denunciarono il fatto che, in quella direzione, non si fosse mai svolta una valutazione di fondo: il Centro di Riforma dello Stato, diretto da Pietro Ingrao, convocò un convegno su questo tema, proprio ad Arezzo; alcuni coraggiosi tentarono analisi anche in sede locale.
Intanto che le indagini sulla strage marcavano il passo qualcuno rispose che sarebbe stata sufficiente la riforma dei servizi segreti e che una collocazione diversa della sinistra nel quadro politico (c’erano già stati il “governo delle astensioni” e la “solidarietà nazionale”) avrebbe rappresentato un’ulteriore garanzia per il successo dell’operazione di riforma che tendeva a cambiare il modo di agire d’interi pezzi dello stato e che, comunque, il terrorismo nero, cui si era accompagnato quel tipo di attività dei servizi di sicurezza fosse ormai in declino, se non addirittura in via di estinzione.
Di fronte a questa sconcertante analisi che pure, a sinistra, ebbe piena cittadinanza, si replicò – pur nel rischio di rimanere profeti inascoltati – al riguardo della necessità di vedere lo stragismo attraverso una nuova lente, da parte di una sinistra istituzionalmente matura e capace di vedere lo spessore del meccanismo statuale, che riproduceva abilmente se stesso attraverso l’espansione dei corpi separati, aggiungendo come, almeno da Piazza della Fontana in avanti, analizzando i passaggi procedurali si poteva ben vedere come vi fosse stata una gestione politica dei procedimenti.
La sinistra, all’epoca, sulla base di queste analisi avrebbe dovuto elaborare un’idea di riforma dello Stato non attraverso una serie di “elemosine riformistiche”, ma realizzando, non tanto e non solo una magari ottima serie di proposte di legge, ma lavorando a realizzare una trasformazione radicale del quadro politico.
Al centro, insomma, doveva ritornare, secondo questa ipotesi, il tema della “volontà politica”.
Ciò non avvenne, per molteplici ragioni che non ho qui lo spazio per analizzare e che comunque riguardano l’intero corso della storia d’Italia, e abbiamo così assistito – da quel fatidico 2 agosto 1980 – al realizzarsi progressivo di quel meccanismo di autoritarismo, negazione della democrazia, affermazione di poteri occulti contenuti proprio nel documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975, proprio dalla Loggia P2 di Licio Gelli, che in tempi successivi tornò a sostenere che la strage non c’era mai stata.
Memoria, quindi, assolutamente da mantenere accompagnata da un’analisi di ciò che è stato allora rispetto alla realtà del nostro sistema politico e di ciò che sta avvenendo adesso in un quadro di pericolosa presenza di tentativi limitazione dell’agibilità democratica.
Vale la pena ogni volta che si scende alla stazione di Bologna, fermarsi a leggere i nomi scolpiti nella lapide che ricorda quel tragico giorno: un utile esercizio della memoria di un momento fondamentale nella storia d’Italia, non soltanto di tragedia per le famiglie delle vittime ma di dramma per la qualità della nostra democrazia
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa