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Cercasi infermieri, ma se si presentano nessuno risponde

Le testimonianze del personale medico, infermieristico, paramedico e delle pulizie negli ospedali, da qualche giorno descrivono una situazione decisamente diversa da quella raccontata dai media mainstream. Se va avanti in questo modo “NON andrà tutto berne”

In questa lettera, una infermiera diplomata, abilitata, pronta per entrare in servizio, spiega come i bandi per le assunzioni (temporanee!) vengono scritti, pubblicati, ma non sono operativi. Non c’è nessuno che risponda, neanche al “numero verde” indicato in calce nel bando. Che, tra l’altro, risulta INESISTENTE!

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Di questa emergenza sanitaria globale, sono in molti a rivolgere parole di sostegno nei confronti degli operatori impegnati in prima linea.

Si esalta la figura dell’infermiere, alla quale mi appello, facendo parte della categoria, si anticipano sessioni di laurea e questi nuovi Dottori e Dottoresse in scienze infermieristiche, si ritrovano impegnati a dare il loro prezioso contributo nella loro regione, che, dato il collasso, si è rivolto a loro.

E loro, coraggiosamente, accettano.

mi arriva una mail mi si propone un contratto di lavoro di 12 mesi, devo rispondere entro 24 ore altrimenti resto fuori dai giochi, in cui è scritto «La presa in servizio dovrà avvenire entro 5 giorni dall’accettazione della proposta» penso subito «dajie è la mia occasione!». Chiamo però il numero citato nel testo della mail partita dal Responsabile delle Risorse Umane della Regione Lazio perché vorrei avere la certezza di essere impiegata nell’area covid-19, ma il numero che compare in più di 4000 o non so quante mail partite finora, è inesistente. Attenzione, non ho detto inattivo o ufficio chiuso, INESISTENTE.Accettano perché è giusto così.

Accettano perché non si è eroi soltanto durante un’emergenza, si è eroi sempre, anche durante le semplici cure igieniche ad una persona allettata, piagata, maleodorante e incontinente, durante l’educazione alla famiglia, durante una risata o una battuta o una carezza, che agisce prima di qualunque farmaco, soprattutto se data all’inizio del giro letti come buongiorno.

Si è eroi sempre da infermieri. Solo che fino all’altro ieri alla domanda che la gente mi porgeva «che lavoro fai?» – «sono infermiera» la maggior parte delle risposte che ricevevo era o la totale indifferenza, oppure un banale – «ah va beh pulisci i culi».

Di questa emergenza sanitaria globale, sono in molti a rivolgere parole di sostegno nei confronti degli operatori impegnati in prima linea, sono in molti a complimentarsi per il personale in quiescenza che ha accettato e sta contribuendo ad alleggerire il peso di questo minuscolo e invisibile virus, che per quanto si è detto -«è solo influenza» – adesso lascia tanto spazio vuoto attorno e dentro di ognuno di noi. Ma porta via così tante persone che persino il cimitero non ne può più.

Di questa emergenza sanitaria globale, sono in molti a rivolgere parole di sostegno nei confronti degli operatori impegnati in prima linea, nessuno però ha pensato a rivolgersi al personale regolarmente iscritto all’Ordine delle Professioni Infermieristiche, in disoccupazione.

L’Italia s’è desta un po’ tardi, c’è quarantena obbligatoria, ma lei fa le ore piccole.

C’è qualcuno che gioca al di là delle case chiuse, delle chiese chiuse, le moschee chiuse, i bar chiusi, le scuole chiuse, i parchi chiusi, e il tutto ormai chiuso.

Nel mio caso, quel che mi rende insonne e mi da un senso di vergogna profonda inspiegabile è non poter essere d’aiuto, è quello di essermi laureata nel 2016, e specializzata nel 2017, aver nel mentre lavorato 3 anni tra tira e molla burocratici che una volta si chiama Job Act, poi Decreto Dignità. Tutti escamotage per promuovere la precarietà del lavoratore, con la differenza che prima precario per precario almeno per tre anni “speravi de tirà a campa”, ora è diverso , dopo due anni dovrai inventarti qualcosa. E’ solo questione di tempo.

Quel tempo che a me separa circa un anno dal mio ultimo giorno di servizio in reparto. E non crediate che non mi manchi quel ritmo, ma data la mia iscrizione come da procedura d’altronde per accedere alla disoccupazione, al centro per l’impiego, che in un anno non ha mai evidentemente reputato nella mia figura una persona da reclutare, dato i miei sacrosanti interessi attraverso il quale sono riuscita persino a conoscere un’organizzazione di Medicina Tattica per farmi capire che forse tutto quel tempo passato sui libri e in corsia era veramente la mia strada probabilmente nel momento in cui ero volta a cambiar pagina, dato le richieste di lavoro mai risposte, dato le risposte alle richieste di lavoro da parte di cooperative che tanto generosamente mi obbligavano all’apertura di una partita iva per un compenso lordo di 12 € l’ora, dato la fissazione di colloqui alle 14 del giorno stesso in cui ricevevo la chiamata alle 12.30 per cliniche private sull’Appia, io che so de Roma Nord, dato i contratti a somministrazione che ti vedono giorno per giorno ad avere turnistica senza riuscire mai a sapere esattamente cosa farai domani.

Forse è colpa mia se sto in disoccupazione.

Perché a questi ricatti alla quale siamo costretti a lavorare, dovrei piegarmi. E favorire il lavoro in nero così almeno guadagnerò di più rispetto alla disoccupazione, sarei potuta essere forse adesso una persona fra quelle che scrive che andrà tutto bene e sta in reparto davanti a uno specchio coi capelli sciolti bella truccata e la mascherina chirurgica, dovrei esse probabilmente fra quelli che si stanno prendendo le ferie perché hanno famiglia, capisco hanno giustamente paura, ma al sol ricordo delle notti che ci facevo insieme, loro chiusi in medicheria dalle 21 alle 6.50 a dormire lasciando a me il reparto intero, vi garantisco, ho la stessa paura anch’io.

Ora d’accordo non bisognerà generalizzare, basta lamentarsi sempre. Però non ci riesco.

Non ci riesco perché non fa notizia, eppure ne ho testimonianza, che i miei colleghi stanno lavorando in trincea con il pianto negli occhi, la positività in circolo, ma di malattia, non di stato d’animo. Che da un giorno all’altro son state stravolte le vite di tutti, e io non riesco a prender sonno.

Il mio pensiero è fisso. Manca personale, manca personale, manca personale. Fatemi lavorare! Voglio lavorare! Devo lavorare!

Ho diritto a un contratto a tempo indeterminato perché sono in graduatoria di concorso pubblico ufficializzata a gennaio 2020.

Ma la Regione Lazio ieri si è accorta di me. A metà mattinata mi arriva una mail mi si propone un contratto di lavoro di 12 mesi, devo rispondere entro 24 ore altrimenti resto fuori dai giochi, in cui è scritto «La presa in servizio dovrà avvenire entro 5 giorni dall’accettazione della proposta» penso subito «dajie è la mia occasione!». Chiamo però il numero citato nel testo della mail partita dal Responsabile delle Risorse Umane della Regione Lazio perché vorrei avere la certezza di essere impiegata nell’area covid-19, ma il numero che compare in più di 4000 o non so quante mail partite finora, è inesistente. Attenzione, non ho detto inattivo o ufficio chiuso, INESISTENTE.

Che faccio penso fra me e me? La Lombardia mi risponderà, ho mandato la disponibilità da qualche giorno, chiamo il Numero Unico Regionale disponibile dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 19, prima un operatore incompetente che mi chiedeva le Asl dove fossero collocate secondo il municipio di appartenenza, poi l’insinuazione «questo non è un centralino». Poi si sa come va a finire, l’operatore quando sta in difficoltà si prende tempo, fa finta di schiacciare due tasti sulla tastiera e, riattacca il telefono in faccia.

Sarò impaziente, probabile. Sarà che stare a casa per me è vergognoso. Mi vergogno di dire che sono infermiera disoccupata e sto a casa.

Ai colleghi della Regione Lombardia, vorrei dirvi solo di non preoccuparvi perché andrà tutto bene, perché è grazie a voi che ci stiamo preparando e informando per prevenire qui da noi.

Siete un esempio di forza di volontà ammirevole, scusatemi tanto se non ho saputo prima come candidarmi per la disponibilità, scusatemi se l’ultimo dei vostri pensieri è quello di reclutare un’infermiera romana potenzialmente infetta che dovrà farsi nel caso una bella sfacchinata perdendo ulteriore tempo prezioso. E’ che io questa storia del coronavirus se dovessi superarla e dovessi mai avere un figlio un giorno, vorrei dirgli che io c’ero. Non riuscirei mai a ripensare a questo tragico momento, e dire che ho accettato un’ennesima ritorsione alla quale ancora non ricevo ancora risposta da due giorni, che data l’emergenza sanitaria e la grave mancanza di personale, sarebbe dovuta non dico pervenire, ma almeno rispondere alla mia domanda.

Ma è solo questione di tempo.

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