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La Nota del Ministero sulla Didattica a distanza

Il 17 marzo il Ministero dell’Istruzione ha diramato una Nota sull’educazione a distanza che lascia stupiti per il suo dirigismo autoritario e per le sue inaccettabili posizioni, sia pedagogiche sia sindacali.

Dal punto di vista pedagogico, senza ripetere quanto ho già scritto in un precedente articolo, la Nota sembra voler fare intendere che la scuola “a distanza” possa sostituire quella in presenza.

Ormai sappiamo che le iniziative a distanza che molti insegnanti stanno faticosamente mettendo in campo sono soprattutto un tentativo di tenere i contatti con gli studenti e tra gli studenti, ma non sono in grado di garantire una reale didattica per tutti e con tutti. E non è nemmeno giusto fingere che ciò non sia vero e che la scuola possa continuare come se nulla stesse accadendo.

Come fare lezione, per esempio in Lombardia, sui vassalli, valvassori e valvassini, ignorando la drammaticità della situazione sanitaria, che vede tra l’altro coinvolte le famiglie e gli affetti di molti studenti? Come ignorare pensieri e sensibilità degli allievi e cinicamente richiamarli a un lavoro scolastico che è solo una simulazione della normalità?

Mi chiedo anche se al Ministero si sappia che in questi primi giorni di lavoro a distanza, ci si è resi conto che molti studenti non riescono a partecipare alle iniziative delle scuole, sia per mancanza di mezzi sia per difficoltà individuali e che chi le segue sono soprattutto i ragazzi che hanno genitori in grado di accompagnali avendo tempo e competenza per farlo.

Peraltro, i primi ritorni dei ragazzi su questa esperienza, soprattutto per i più giovani, mettono in luce come essi rilevino difficoltà a concentrarsi sulle lezioni online, soffrano la presenza solo virtuale dei compagni e la difficoltà a porre domande e chiedere spiegazioni ai docenti. In pratica, secondo i ragazzi, questa didattica, e come dar loro torto, non è come la scuola.

Eppure, il Ministero sostiene che in una situazione come quella odierna le iniziative a distanza possono garantire il diritto allo studio. Un diritto che purtroppo è stato irrimediabilmente leso dalla pandemia che impedisce la frequenza scolastica, presupposto per una didattica con tutti e per tutti che, mentre scrivo, apprendo sarà probabilmente impossibile sino al mese di maggio.

I consigli di classe, dice la Nota, dovrebbero adattare la programmazione didattica alle nuove condizioni. Purtroppo, anche i consigli di classe, come tutti gli organi collegiali, non possono riunirsi se non virtualmente (quindi in modo informale, dal punto di vista legale), e anche in questo caso appare improponibile sostenere che possano fare lo stesso delicato lavoro di progettazione che si svolge a inizio d’anno.

Purtroppo, su questo adattamento della programmazione la Nota innesta quella che è forse la sua parte più grave, vale a dire il tentativo di imporre la valutazione del lavoro svolto dagli studenti per via telematica, sinora solo ventilata, ma ora messa per iscritto. Una valutazione che sarebbe assolutamente posticcia, basata su dati privi di valore e anche legalmente contestabile.

Ma soprattutto, come valutare gli studenti che, per le più diverse ragioni, non hanno potuto partecipare alle iniziative telematiche? L’unica soluzione ragionevole resta la formalizzazione delle operazioni di fine anno, con l’ammissione d’ufficio di tutti gli allievi e gli studenti all’anno successivo.

Resta poi da discutere l’aspetto sindacale, che non è separato ma come sempre complementare a quello didattico-pedagogico. Il dirigismo espresso dalla Nota è assoluto poiché si dà mandato ai dirigenti d’imporre la didattica a distanza e d’ispezionare la sua realizzazione da parte dei docenti. Questi ultimi stanno già facendo ogni sforzo possibile, utilizzando tra l’altro propri strumenti informatici, per garantire il contatto con gli studenti, in una situazione nuova e difficile e non è certo il caso di opprimerli con ulteriori azioni ispettive o richieste burocratiche.

Inoltre, la situazione d’emergenza non può mettere in discussione alcune forme fondamentali della catena gerarchica e di comunicazione della scuola, che non possono essere rimpiazzate con chat o con messaggistica istantanea, di cui l’uso peraltro era vietato nella scuola sino a pochi giorni fa proprio per le ambiguità e i malintesi a cui può portare. L’emergenza esiste, ma deve essere affrontata rimanendo all’interno del sistema istituzionale e non può dar luogo a distorsioni delle normali procedure professionali e democratiche.

Per queste ragioni i sindacati USB scuola e Unicobas hanno chiesto le dimissioni dell’estensore della Nota, Marco Bruschi, capo dipartimento del Ministero. Mi chiedo tuttavia se la ministra Azzolina non abbia, come credo, letto e approvato prima della pubblicazione il testo del suo collaboratore.

Resta da segnalare un ultimo punto, inquietante. Per la didattica a distanza il Ministero dell’Istruzione ha chiesto e ottenuto un finanziamento di ben 85.000.000 di Euro. Un tale investimento, raro per l’istruzione, in un momento così difficile per l’Italia, fa pensare a un progetto non per l’emergenza bensì a lungo termine.

Un investimento quindi che fa temere che sia dal punto di vista pedagogico che sindacale al Ministero qualcuno stia pensando di trasferire l’emergenza nella normalità. In effetti, leggendo la nota di cui abbiamo discusso, si rileva che qualcuno a viale Trastevere non ha compreso l’enorme differenza che esiste tra frequentare una scuola e simularla attraverso internet.

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